Un Putin spiazzato e furente. Perché dopo questo schiaffo il leader potrebbe rilanciare (corriere.it)

di Lorenzo Cremonesi

L’analisi

I 30 mesi di conflitto e le reazioni «irrazionali» dello zar

Ancora una volta, Vladimir Putin viene spiazzato dagli sviluppi della guerra in Ucraina. L’offensiva delle truppe scelte di Kiev nella regione di Kursk ha colto lui e i suoi generali di sorpresa. Si erano illusi di essere prossimi alla vittoria, guardavano fiduciosi alle lente avanzate nel Donbass, contavano sulla stanchezza europea nel sostegno a Zelensky e magari nella vittoria di Trump a novembre.

Ma, da 5 giorni, si stanno preoccupando di difendere la zona del gasdotto per l’Europa e adesso temono che le truppe nemiche possano raggiungere la grande centrale nucleare di Kurchatov, 70 chilometri dal confine ucraino, uno dei centri nevralgici che fornisce energia alla Russia meridionale. «Putin è furioso. Si è beccato un potente schiaffo in faccia, che ha un enorme valore simbolico», osservano i commentatori della Chatham House di Londra.

Dobbiamo guardare con attenzione a quest’ennesima vampata di frustrazione del dittatore russo. Abbiamo già visto in questi 30 mesi di guerra che, tutte le volte che è stato messo con le spalle al muro, la sua retorica minacciosa sul ricorso alle armi nucleari si è fatta particolarmente virulenta. Joe Biden nella primavera del 2022, quando le truppe russe si erano appena ritirate dalla regione di Kiev con la coda tra le gambe, inaspettatamente battute dalla volontà di resistenza ucraina, aveva definito Putin «un leader razionale che si è sbagliato e adesso deve rivedere i suoi piani».

Ma, da allora, abbiamo appreso che la «razionalità» di Putin umiliato ha forti limiti e viene soverchiata dalla sua biografia di ex dirigente del vecchio Kgb sovietico determinato più che mai a vedere rinascere la Russia imperiale. Il signore del Cremlino — lo Zar che da un quarto di secolo tiene le redini del potere e ha cambiato tutte le regole interne pur di non andare in pensione, ha messo in carcere, ucciso e fatto sparire oppositori politici, giornalisti critici e chiunque intralciasse i suoi piani — non si fermerà.

Ogni battuta d’arresto lo vedrà rilanciare più determinato di prima, anche a costo di stringere alleanze con regimi criminali come la Corea del Nord, abbracciare la teocrazia sciita iraniana e tramare con le mafie organizzate su scala internazionale.

Adesso la sua retorica torna a rispolverare uno dei punti forti della sua ideologia tesa a magnificare quelli che considera i momenti più fulgidi della storia nella «grande guerra patriottica» contro la Germania hitleriana. Putin ha ordinato alla sua macchina della propaganda di ricordare la battaglia di Kursk nella Seconda Guerra Mondiale. In verità, non c’entra nulla.

I mille o duemila soldati ucraini penetrati martedì all’alba in Russia dalla regione di Sumy con un centinaio di mezzi corazzati non sono certo paragonabili al gigantesco scontro tra l’Armata Rossa e l’esercito tedesco consumatosi in quelle pianure tra il 5 luglio e il 23 agosto 1943.

Allora furono coinvolti 6.000 carri armati, due milioni di uomini, 4.000 aeroplani: è considerata «la più grande battaglia tra tank della storia». Il parallelo è assolutamente fuori luogo. Eppure, serve a Putin per ricordare a lui stesso e a tutti i russi che loro sono le forze del «bene» contro il «male» occidentale e il «neonazismo del regime di Zelensky».

Dopo le frustrazioni, le delusioni e le rabbie del primo anno di guerra (quando era certo di vincere in poche settimane e si trovò sulla difensiva), seguite dalle ansie via via placate nel 2023, dal febbraio 2024 si era sentito rassicurato. Ora non più, le incertezze del conflitto tornano a gettare ombre scure sul futuro.

Se Travaglio lo chiama “Carletto Mezzolitro”, Nordio è sicuramente spacciato (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

Lo stile è l’uomo, e il direttore del Fatto conduce la sua requisitoria ripuntando sulla carta forte: qualcuno deve avergli detto che il ministro beve, e che cosa c’è di più elegantemente satirico che sfottere uno che beve?

Ieri, citando il memorabile explicit dell’intervista di Nordio al Corriere: “Possiamo arrivare a 15-20 mila detenuti in meno. Ecco risolto il sovraffollamento”, non dubitavo che Marco Travaglio, il mio pupillo, avrebbe infierito. Il suo ideale sono (almeno) 15-20 mila detenuti in più, e richiamare Bonafede a costruire carceri.

Lo stile è l’uomo, e Travaglio conduce la sua requisitoria ripuntando sulla carta forte: qualcuno deve avergli detto che Nordio beve, e che cosa c’è di più irresistibilmente umoristico, di più elegantemente satirico che sfottere uno che beve?

“Carletto Mezzolitro”, lo chiama: forte. Quasi come la trovata di chiamare le presunte riforme dei vari attori politici “schiforme”: geniale. E un intero giornale che si uniforma, nei titoli e nei testi.

Invenzioni destinate a restare. Come Carletto Mezzolitro: spacciato. Qualche riga oltre, per confermare di che stoffa è fatto, il mio beniamino – quello che diventa verde quando mi vede, e non ha nemmeno bevuto – cita una frase sulle nuove prigioni mancate, “perché nessuno le vuole alle proprie spalle”, e aggiunge, “manco fossero cetrioli”. Capito? Alle spalle – cetrioli. Forte.

Lo stile è l’uomo. Lo stile si trascina dietro, oltre a una redazione, un partito. Ci si può chiedere se Travaglio sia il Medvedev di Conte, o Conte il Medvedev di Travaglio. Non facile. Forse una situazione inedita: due Medvedev.

Bene, era per riparlare alla leggera di galera, a Ferragosto. Dico da decenni che più che chiedersi perché tanti detenuti si suicidino, occorre chiedersi come mai tantissimi altri non lo facciano. Sapete quell’espressione, “al fresco”. Secondo il vocabolario Treccani, “figurato, scherzoso”.

Ecco, pensateci, come se la sentiste per la prima volta oggi. Al fresco.

L’Ucraina tra buio e luce (linkiesta.it)

di 

L’arte della resistenza

I russi distruggono le infrastrutture elettriche perché vogliono che sul Paese che hanno invaso calino le tenebre.

Ma la cultura ucraina è forita nelle oscurità del Barocco e del Romanticismo ed è entrata nella contemporaneità attraverso il “Quadrato nero” di Malevych. Perché sono comunque sempre le tenebre a far nascere la luce

È l’autunno del 2022. I russi colpiscono di continuo con i loro razzi alcuni specifici luoghi strategici dell’Ucraina: il loro scopo è distruggere le infrastrutture energetiche, per far sprofondare il Paese nel buio e nel freddo. Vogliono che sull’Ucraina scendano le tenebre. Quando a Brovary, la cittadina nei pressi di Kyjiv in cui viviamo, manca la l’elettricità, mancano di conseguenza anche il riscaldamento, l’acqua e la connessione internet.

Non funzionano neppure i telefoni cellulari. Le persone più in difficoltà sono gli anziani e i genitori con bambini piccoli che si trovano a dover affrontare il problema di salire senza ascensore magari fino al decimo piano o addirittura fino al ventesimo. Voi vi arrischiereste a entrare in un ascensore pur sapendo che da un momento all’altro potrebbe mancare l’elettricità? Correreste il rischio di dover passare qualche ora in quello spazio chiuso e buio?

In uno dei momenti in cui c’è l’elettricità Volodymyr posta sui social media il quadro San Giuseppe falegname di Georges de La Tour. In quel dipinto è rappresentato San Giuseppe che lavora un pezzo di legno mentre, davanti a lui, un Gesù ragazzino con i capelli lunghi regge una candela. Volodymyr accompagna il post con questa didascalia: «San Giuseppe mette in moto un generatore durante il blackout a Brovary. Inizio del XVII secolo».

In un altro post di Volodymyr, dedicato a un quadro del pittore olandese del XVII secolo Gerard van Honthorst, si legge invece questa didascalia: «Chiaroscuro all’epoca dei bombardamenti missilistici». Sul quadro è rappresentata una festa a lume di candela. Oggi ci troviamo davvero in una nuova epoca barocca. Non ci troviamo, però, in quel Barocco nel quale lo spazio è dedicato al lusso, in quel Barocco nel quale i pittori e gli scultori riempiono quello spazio per scappare dal vuoto.

Ci troviamo in un Barocco diverso, in un Barocco esistenziale, drammatico, pessimistico. È il Barocco di Caravaggio, di Rembrandt, di van Honthorst, di de La Tour, di Shakespeare e di Pascal. È il Barocco del chiaroscuro, in cui la luce è soltanto un raro barlume, un lusso, un’eccezione in questo regno buio, nero e cieco.

(…) Sia la luce sia le tenebre possono dirci qualcosa. Non c’è una superiorità dell’una sulle altre o viceversa. La luce aiuta a vedere, il buio aiuta a sentire. La luce ci permette di porre dei limiti tra le cose, le tenebre aiutano le cose a compenetrarsi. La luce dà la possibilità di sapere, le tenebre danno la possibilità di sprofondare seguendo l’istinto e l’emozione. La luce è piena di ipocrisia, le tenebre sono piene di pericoli.

La luce rende il mondo neutrale, le tenebre dividono il mondo in “noi” e “gli altri”, in vicini e lontani, in persone amate e nemici. L’epoca della luce è stata il Rinascimento. Guardate gli affreschi di Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina a Roma: in quegli affreschi la luce non è solo onnipresente, ma è la materia stessa della pittura. Le cose, i corpi, l’aria, la terra sono fatti di luce, sono scolpiti dai suoi raggi. Si vede tutto anche le natiche erotiche del Padre.

Il mondo appare trasparente grazie a chi lo ha creato. Non si nasconde da noi neanche nei suoi aspetti più ambigui. Finalmente il mondo si è disposto a mostrarci tutto quanto. Ci ha dato la perfezione e le leggi della proporzione, ci ha dato la sezione aurea e la successione di Fibonacci. Guardate! Ammirate!

Un altro periodo connotato dalla luce è stato il Rococò, che si è sviluppato nel XVIII secolo, nell’epoca dell’Illuminismo e dello scavo artigianale nelle tenebre. Avanzando di un millimetro dopo l’altro, si estraeva il lume del sapere dalle tenebre dell’oscurantismo. Proprio su questo meditava Diderot mentre componeva la sua Enciclopedia.

La lotta per riconquistare i territori che erano stati rubati dalle tenebre è stata condotta con una cura certosina, attraverso centinaia e migliaia di révolutions légères, attraverso decine di volumi dell’Enciclopedia nei quali, con scrupolo e senza essere frettolosi, si raccontava il significato delle parole e del mondo e si spiegava come creare delle cose utili.

Ma il XVIII secolo è stato anche il secolo del Rococò, il secolo dell’aria, delle stoffe leggerissime, della pelle quasi trasparente oltre la quale si intravede il rosso dell’eccitazione, della confusione. È il secolo della pittura fatta di aria di Fragonard, nella quale i vestiti se servono soltanto per mettere in mostra le mobili curve dei corpi umani.

Ci sono però anche delle epoche delle tenebre. La nostra preferita è il Barocco, il XVII secolo. Il secolo delle fratture confessionali e delle guerre religiose. Il secolo che ha conosciuto una sua “guerra mondiale”, la guerra dei Trent’anni, che in alcune parti d’Europa dimezzò il numero dei vivi.

Quel secolo non ha saputo appoggiarsi alla luce, alla trasparenza, all’ottimismo, al godimento derivante dalla contemplazione. Guardare significa godere, se guardi la bellezza. Ma guardare significa soffrire, se guardi la morte, la malattia, la mutilazione e lo spegnersi delle cose. Il Barocco ritiene che la normalità sia costituita non dalla luce ma dalle tenebre.

La sua pittura è il chiaroscuro di Caravaggio e di Rembrandt, di van Honthorst e di de La Tour. È una pittura che considera la luce una rarità, un deficit, una meraviglia, un evento. Ma se la luce non è naturale, allora è sovrannaturale. La luce appare solo quando c’è di mezzo la divinità, quando arriva Dio a perforare questo mondo con la freccia della sua rivelazione.

Un’altra epoca delle tenebre è il Romanticismo del XIX secolo. I suoi personaggi, quelli di Novalis e di Hofmann per esempio, vivono nella notte. La sua musica è la musica della notte, la musica dei Notturni di Chopin. Il Romanticismo ritiene che le tenebre possano svelare“altre” verità non accessibili alla luce del sole, come quella vicinanza che è impossibile durante il giorno. La luce divide i corpi, e segna delle linee ben visibili come quelle che appaiono negli affreschi di Michelangelo che sono tutti incentrati sul disegno, sulla divisione, sull’ordine, sulla classificazione.

Le tenebre aiutano invece i corpi a unirsi nell’amore e nella morte. Per questo il Romanticismo parla dell’amore e della morte, del penetrarsi e dell’assorbirsi. Novalis lo chiama Alcahest – cioè Allgeist, “ogni spirito”, “spirito universale”. Le tenebre cancellano i limiti, ci fanno entrare nel fume della vita.

La cultura ucraina non ha avuto i suoi momenti migliori nelle epoche della luce: è stata più rilevante nelle epoche delle tenebre. I suoi punti di forza sono il Barocco e il Romanticismo nonché l’Avanguardismo del Novecento, che era anch’esso ribelle alla trasparenza, si basava sulla linea, con la prospettiva che tagliava lo spazio e il tempo, spezzandolo in mille altri spazi, senza la possibilità di una ricomposizione. Il Quadrato nero di Malevych è il simbolo di questo avanguardismo ucraino.

È il buio del grande inizio. È il nero cosmico, il nero delle terre ucraine. Nel buio si vede male da lontano, ma, da vicino, ci si sente meglio. Ed è possibile vedere anche quello che gli occhi non vedono. Forse è per questo che nella sua pittura Taras Shevchenko, il figlio del Romanticismo, adora il chiaroscuro: soprattutto nel periodo del suo esilio, il chiaroscuro dei suoi disegni dona la parola e la luce a quelli che rimarrebbero nell’oblio se non ci fosse Shevchenko a parlarne. I contadini kazaki o baygush o i soldati imprigionati. È stato lui a sottrarli alla bocca delle tenebre e dell’oblio.

“Trasparenza” è poi diventata una delle parole di culto della fne del Novecento. Il glamour è la festa della trasparenza. Vivere per essere visti, vivere per essere fotografati, per essere ripresi in centinaia e migliaia di foto, per rimanere nelle teste, nelle memorie e nei cellulari di milioni e miliardi di persone. Il nostro mondo ucraino è diverso.

Noi cominciamo dalle tenebre. Le tenebre sono il nostro inizio, l’inizio della nuova esperienza, l’inizio della nuova sensibilità, l’inizio del nostro pensare e del nostro fare. Le tenebre illuminate dalla luce del fuoco e dalle rivelazioni.

Il buio del Maidan la sera e la notte. Il buio dei posti di blocco nella notte. Il buio delle quattro del mattino del 24 febbraio 2022. Il buio degli arresti e delle perquisizioni nei territori occupati dalla Russia, quando vengono a prenderti alle cinque del mattino prima della sveglia. Il buio dei blackout e dei razionamenti dell’elettricità, il buio delle strade in cui ti muovi con la lanterna in mano, il buio delle case nere, in cui le luci sono spente, il buio dei semafori accecati che non gestiscono il traffico stradale.

Ma sono comunque le tenebre a far nascere la luce, come accade nella fotografa La luce vincerà scattata all’Azovstal da Dmytro Kozatsky.

In quell’immagine un militare ucraino sta sotto il raggio della luce con le braccia aperte, come se stesse ricevendo la forza dell’altro mondo.

Solo una striscia sottile, ma presto si diffonderà, si rafforzerà, si rinvigorirà. Noi ci crediamo. La luce dell’Illuminismo poteva nascere solo dalle tenebre del Barocco. La luce del Rinascimento poteva nascere solo dalle tenebre del XIV secolo e della peste. Questa luce nasce come una freccia solitaria che dovrà riempire tutto lo spazio circostante. Solo allora un nuovo Michelangelo potrà dipingere un’altra volta degli affreschi come quelli della Cappella Sistina, solo allora si potrà bere la luce come fosse acqua, la si potrà respirare come fosse aria.

Ma per adesso non è così. Per noi questa luce si limita ancora a dei bagliori isolati, in mezzo al dolore, alle soferenze e alle perdite. Quei bagliori di luce sono come le gocce di un elisir che entrano nelle nostre vene attraverso una febo. Impossibile, per ora, assumerli per via orale. Per noi i bagliori di questa luce sono dei messaggeri che a volte aspettiamo invano e a volte invece no. Sono loro che decidono quando venire e quando andare via, chiedendoci di essere forti e resilienti. La luce è come un evento raro, come una rivelazione che apprezziamo ancora di più perché potrebbe lasciarci da un momento all’altro.

(…) Viviamo veramente in una nuova epoca barocca. Il mondo del Barocco è il mondo del cambiamento, il mondo in cui sono assenti le linee dritte. È il mondo dell’unione degli opposti. È il mondo in cui le cose non sono caratterizzate dalla staticità, in cui le cose diventano l’ombra di se stesse, come le sagome che appaiono sui negativi delle fotografe. È il mondo in cui il bianco diventa nero, in cui il bene diventa male, in cui la luce diventa buio, in cui la ragione diventa pazzia, in cui la forza diventa debolezza e viceversa.

È il mondo di Shakespeare. Le sue tragedie diventano il commento migliore per il XXI secolo. Il Macbeth è la storia della trasformazione di un guerriero in un criminale. Il Re Lear è la trasformazione della ragione in pazzia, della regalità in vagabondaggine. L’Otello è una storia in cui il bene può essere rappresentato come un male e viceversa.

Ed è anche una storia su come possiamo trasformarci rapidamente in pazzi. L’Amleto è una storia in cui, per prevalere, la ragione deve spacciarsi per pazzia e la virtù per crudeltà. In quei drammi il tempo si velocizza e si velocizza altrettanto il tempo della rovina. Non ci si accorge di come la propria civiltà possa presto trasformarsi un deserto.

Tutto quello che è fragile ha bisogno di protezione, della nostra protezione umana.

Traduzione di Yaryna Grusha. Questo brano è tratto dal libro “La vita sull’orlo” di prossima uscita in vari Paesi europei. È apparso per la prima volta sulla rivista The Ukrainians.

Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine L’età dell’insurrezione + New York Times Big Ideas in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia. E ordinabile qui.

(max-kukurudziak)

Vaiolo delle scimmie, ma non chiamatelo così. Ilaria Capua: «Con Mpox meno confusione e stigma» (open.online)

di Ugo Milano

Qual è la situazione in Africa e chi corre più 
rischi di contrarre la malattia per cui ieri 
l’Oms ha dichiarato l’emergenza sanitaria mondiale

«Per piacere, chiamatelo Mpox e non vaiolo delle scimmie.

Quest’ultimo nome è stato abbandonato dall’Oms perché crea stigma e confusione che durante un’emergenza sanitaria non aiutano». Così la virologa, divulgatrice scientifica ed ex deputata Ilaria Capua si appella ad organi di informazione e cittadini che in queste ore sono allarmati in seguito all’annuncio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: per il vaiolo delle scimmie è emergenza sanitaria mondiale.

Non sono pochi i commenti sotto il messaggio di Capua che si chiedono come mai si debba preferire un acronimo al nome esteso, dato che la emme di Mpox sta per «monkey». Scimmia, appunto. Attualmente, d’altronde, la pagina dell’Oms dedicata al virus riporta entrambi i nomi: Mpox (monkeypox) – Mpox (vaiolo delle scimmie).

L’aumento dei casi di vaiolo delle scimmie (Mpox) in Africa

Al di là della nomenclatura, la decisione dell’Oms, annunciata ieri dal direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, è arrivata in seguito a una significativa crescita del numero di casi registrata nell’Africa subsahariana. Particolarmente grave la situazione nella Repubblica Democratica del Congo, dove dall’inizio del 2024 sono stati registrati oltre 14 mila casi e 524 morti.

Cifre che, riporta il Guardian, sono già pari a quelle viste durante tutto il 2023, mentre alla fine dell’anno corrente mancano ancora quattro mesi e mezzo. Focolai della malattia sono stati registrati quest’anno per la prima volta anche in Burundi, Kenya, Ruanda, Uganda. Altri casi erano già stati monitorati in Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Liberia, Nigeria e Sudafrica. Gli esperti sono concordi nel ritenere la nuova variante del virus responsabile della maggiore diffusione.

Le categorie più a rischio per il vaiolo delle scimmie

Ad essere colpiti con tassi maggiori, come già era avvenuto durante l’epidemia del 2022, sono i bambini, a causa del sistema immunitario più debole, messo a dura prova dalla malnutrizione di cui molti sono vittime in Africa. Secondo i dati forniti dalla Repubblica Democratica del Congo, nel 2024, i bambini sotto i 15 anni rappresentano il 70% dei contagiati infetti e l’85% dei decessi.

Oltre a loro, anche sex worker e uomini gay mostrano tassi d’infezione maggiori. Per la malattia sono già stati sviluppati dei vaccini, ma affinché possano essere efficaci devono essere superati gli attuali problemi di distribuzione. Solo per l’Africa ne servirebbero 10 milioni. Una cifra enorme rispetto ai circa 200 mila disponibili attualmente.

Cos’è il vaiolo delle scimmie

Il vaiolo delle scimmie è una malattia virale causata dal Monkeypox virus, un parente stretto del virus del vaiolo. Sebbene sia stato scoperto per la prima volta nelle scimmie, il virus colpisce anche altri animali e può essere trasmesso anche da un essere umano all’altro come osservato per la prima volta negli anni Settanta.

I sintomi includono febbre, mal di testa, dolori muscolari, linfonodi ingrossati e un’eruzione cutanea che si evolve in vescicole piene di pus e croste. Si trasmette con grosse goccioline di droplet emesse da naso e bocca, o con il contatto tra fluidi corporei.

Nonostante il livello di emergenza si attualmente elevato, il vaiolo delle scimmie rimane una malattia la cui mortalità è considerata bassa. Nel 2022, un’epidemia di vaiolo delle scimmie ha colpito l’Europa, con centinaia di casi segnalati, soprattutto tra uomini che hanno avuto contatti stretti, spesso di tipo sessuale.

L’epidemia ha suscitato allarme per la sua diffusione insolita al di fuori delle aree endemiche africane. Da luglio 2022 a maggio 2023 sono stati registrati 90 mila casi il cui effetto è stato limitato da campagne di vaccinazione e altre misure preventive.

Canada, governo avverte: “Prepararsi a nuovo virus”/ “Peggiore del Covid: interruzioni cibo e rischio di…” (ilsussidiario.net)

di Raffaele Graziano Flore

Canada, il governo invita i cittadini a prepararsi 
a nuovi, ipotetici virus. 

Un vademecum immagina le dinamiche: “Sarà in due ondate e i focolai…”

CANADA, ALLARME PER NUOVO VIRUS: LA GUIDA PER I CITTADINI

Il governo canadese ha messo in allerta i propri cittadini , invitandoli a prepararsi all’arrivo di un nuovo ipotetico virus, molto peggiore di quello del Covid-19: l’allarme su una possibile, nuova epidemia arriva da Ottawa ed è stato già rilanciato dai principali siti di informazione soprattutto per i toni allarmistici con cui si spiega che, tra le possibili conseguenze di un altro ‘outbreak’ ci sarebbero pure delle interruzioni nella fornitura di cibo e di carburante.

Come riportato dal Daily Mail, a lanciare l’allarme è stato il “Centre for Occupational Health and Safety” che, attraverso la seconda edizione del suo manuale per garantire un piano di continuità operativa in caso di epidemie di influenza e altre malattie infettive, ha fornito ai cittadini del Canada e segnatamente ai datori di lavoro delle informazioni su come prepararsi a questa eventualità e quali misure mettere in atto.
Una vera e propria guida, pubblicata lo scorso giugno, e che, pur ragionando in modo solamente ipotetico, suggerisce quali potrebbero essere le conseguenze dell’arrivo di un ‘nuovo’ Coronavirus.
IPOTETICA EPIDEMIA? “RISCHIO DI INTERRUZIONI DI CIBO E CARBURANTE”
Nella nuova edizione della guida si spiega come l’esplosione di un’altra epidemia avrebbe conseguenze molto peggiori (“far worse”) del Covid-19 non solo in termini di contagi ma pure di decessi. E questo “sulla base delle tendenze della passata influenza pandemica”: la previsione è che il numero di morti potrebbe pure interessare gruppi di età ben differenti da quelli che tradizionalmente vengono colpiti durante i periodi del picco stagionale che tocca l’influenza ogni anno. Non solo: questo vademecum elaborato dal “Centro per la Salute e la Sicurezza sul Lavoro” ha pure provato a ipotizzare le dinamiche di questa ipotetica pandemia.
Nel documento, stando sempre a quanto riportato dal ‘Mail’, si legge infatti che una possibile, nuova pandemia arriverebbe in almeno due o tre ondate, costringendo nuovamente la popolazione a rimanere a casa, e in ciascuna di queste ogni focolaio separato dall’altro dai tre fino ai nove mesi.
Inoltre questo nuovo potrebbe avere una durata stimata in cicli di due anni e il rapporto del “Centre for Occupational Health and Safety” avverte anche che tra le priorità di aziende e datori di lavoro dovrebbe esserci anche quella di prepararsi per tempo a possibili interruzioni della catena di approvvigionamento (ad esempio i carburanti, ma anche alcuni prodotti alimentari, medicine, acqua e i servizi bancari e di telecomunicazione), riduzione della manodopera e repentini cambiamenti nella domanda dei consumatori.