Germania, la Cdu lavora con l’Afd (italiaoggi.it)

di Roberto Giardina

In tedesco non c’è la parola inciucio, si usa 
fauler Kompromiss, un compromesso marcio. 
A livello locale i due partiti vanno 
d’accordo su tutto

Creiamo un Brandmauer, un muro, una barriera antincendio, per isolare l’Afd, il partito dell’estrema destra, aveva proclamato Friedrich Merz, il leader dei cristianodemocratici, e probabile futuro Cancelliere. Chiunque collabori con gli estremisti verrà espulso. Ma è il muro a cadere a pezzi, è in rovina, scrive Der Spiegel. A livello locale, nelle regioni, nei municipi, si lavora insieme, e da tempo.

Le parole sono importanti. In tedesco è impossibile tradurre inciuciovizio politico che sarebbe sconosciuto in Germania, Per spiegare quel che avviene in Italia, si usa fauler Kompromiss, un compromesso marcio, tradotto letteralmente. Ma ora che cominciano a cadere in tentazione anche i politici tedeschi, si parla di pragmatismo imposto dalle circostanze. Il traduttore non è mai neutrale e fedele, a ogni livello.

Nel calcio, gli italiani erano maestri nella tattica sleale del catenaccio. Quando giocò in difesa anche la nazionale tedesca, la popolare Bild Zeitung elogiò l´antica arte della difesa prussiana.

Il duello elettorale a Dresda in Sassonia

Venerdì, l’Ard, il primo canale pubblico, ha dedicato molti minuti del Tagesschau, il telegiornale delle 20, il più seguito, al duello elettorale a Dresda, in Sassonia dove si vota il primo settembre, tra Michael Kretschmer, 49 anni, leader della Cdu, e Jörg Urban, 60 anni, leader dell’Afd.

Sono entrambi nati nella regione. Primo l’uno e poi l’altro hanno pronunciato un discorso molto simile: basta con le armi all´Ucraina, invece di sprecare miliardi per il riarmo bisogna investire sulla sanità, Friede über alles, la pace sopra tutto. Siamo in crisi dopo la rinuncia al gas di Putin? Torniamo all’energia nucleare. Basta con l’ideologia suicida dei verdi.

Vanno d´accordo su tutto, ma escludono di andare al governo insieme. Sarebbe un suicidio politico. Ma anche l’Spd e i liberali sono divisi sugli aiuti a Kiev. Solo i verdi, che erano pacifisti, oggi vogliono continuare il conflitto fino alla vittoria di Kiev, e la sperata caduta di Putin.

Kretschmer è l´attuale premier del Land, non vuole perdere il posto, e ignora gli ordini del suo capo Merz. Nell’ultimo sondaggio, grazie a lui, la Cdu in Sassonia è riuscita a riconquistare il primo posto con il 34 per cento, cinque punti in più, superando l´Afd che tuttavia sale di due punti, dal 29 al 31. Kretschmer si è attirato le critiche dei suoi compagni di partito a Berlino, ma sta vincendo. Verdi e socialdemocratici sono distaccati, appaiati al sei per cento, appena sopra il limite per entrare in Parlamento (il 5).

In crescita l’attenzione dei media

Quel che conta è il rilievo dato dal Tagesschau, fino a qualche settimana fa impossibile al confronto tra Kretschmer e Urban. E la conservatrice Frankfurter Allgemeine dedica un lungo reportage alla collaborazione locale tra politici cristianodemocratici con l’Afd.

Non tutti quelli che votano per il partito dell’estrema destra sono neonazi razzisti, condannare gli elettori che votano per protesta è un boomerang.

Certamente, questi servizi – diciamo – più obiettivi, sono accompagnati da articoli che denunciano i leader dell´AfD che continuano a pronunciare discorsi inaccettabili, ripetendo slogan che ricordano quelli nazisti, come Bjorn Höcke, il capo dell´Alternative für Deutschland in Turingia, dove si vota come in Sassonia tra due settimane.

L’articolo della Frankfurter rompe un tabù e comincia a informare sulla realtà all´est. A Tüttleben, vicino a Gotha in Turingia, l’Afd loda e sostiene il sindaco della CduKlaus Lewald, «una brava persona». Il paesino ha appena 752 abitanti. Qui, alle europee, l’Afd ha raggiunto il 43 per cento.

Lewald, 73 anni, dichiara: «Io sono stato eletto da tutti, e lavoriamo tutti insieme per il nostro paese». Alcune proposte dell’Afd sono ragionevoli, Il suo collaboratore Heinz Kurz, commenta: «Non importa da chi viene un´idea, perché dovremmo respingerla se è utile per la nostra comunità?». Miriam Kütter, dell’Afd, figlia di emigranti spagnoli, riconosce: «Una barriera antincendio a Tüttleben non esiste».

Sono sicuro che la stragrande maggioranza dei tedeschi ignori dove si trovi Tüttleben.

Ma la Frankfurter ritiene che sia interessante descrivere la vita nel paesino a pochi giorni dal voto. Tüttleben come Brescello, il paese di Don Camillo e Peppone?

L’alleato e le parole che pesano (corriere.it)

di Paolo Mieli

Noi e Zelensky

Vatti a fidare dell’Italia come alleato.

A fronte dello sconfinamento ucraino in territorio russo, l’Europa con una dichiarazione ufficiale ha sentenziato: «L’Ucraina ha diritto ad attaccare il nemico ovunque lo ritenga necessario». Gli Stati Uniti, tramite il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, ha detto più o meno la stessa cosa: «Spetta all’Ucraina decidere in merito a questa offensiva». Pur se poi l’ha esortata a non spingersi troppo «oltre il confine».

L’Italia se n’è apertamente dissociata ed è la prima volta che accade dall’inizio della guerra. Come prima cosa il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto ha ribadito che mai arma italiana avrebbe sparato un sol colpo al di là del confine che divide l’Ucraina dal Paese invasore.

E fin qui niente di nuovo, restiamo nel tradizionale ipocrita distinguo tra uso «difensivo» e uso «offensivo» delle armi fornite alla resistenza ucraina. Tra l’altro le nostre dotazioni, a quel che se ne sa, non sono tali da essere prese in considerazione per un’offensiva del genere di quella attuata da Zelensky in territorio russo.

Tant’è che lo Stato maggiore di Kiev, sempre a quel che risulta, non ne ha predisposto l’impiego. Il ministro si poteva fermare qui. Però, invece, ha ritenuto di aggiungere che «nessun Paese deve invadere un altro Paese». Mettendo così implicitamente sullo stesso piano le due «invasioni», quella russa e quella ucraina.

H a poi aggiunto che siccome, a parer suo, «il conflitto diventa ancor più duro se si sposta sul territorio russo», l’attacco in direzione Kursk «allontanerà sempre di più la possibilità di un cessate il fuoco». In altre parole, l’Ucraina non ha affatto il diritto di attaccare il nemico (come sostengono Usa ed Europa) «ovunque lo ritenga necessario» ma deve combattere soltanto entro i propri confini. Altrimenti l’Ucraina si rende colpevole d’aver impedito ogni prospettiva di pace. La prossima volta si dirà che Zelensky, pur di mantenersi al potere, vuole che la guerra continui all’infinito.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, con voce flebile, si è accodato. Matteo Salvini, come era prevedibile, ha esultato riproponendo la messa in discussione dell’intera politica di invio di armi a Kiev. Una parte pur minoritaria del Pd — Quartapelle, Guerini, Sensi — s’è allarmata per questo cambio d’abito del ministro.

Con l’ironia che non gli manca, il costituzionalista Michele Ainis ha suggerito a Crosetto (sul Fatto quotidiano ) di fare un passo ulteriore e proporre alla Nato l’invio di F16 alla Russia «invasa» dagli ucraini. In funzione difensiva, beninteso. E nel rispetto della seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione.

In tutto ciò, Giorgia Meloni, ha lasciato trapelare, per la consueta via delle note ufficiose, un borbottio di disapprovazione nei confronti del ministro. Ma le note di Meloni sono a tal punto ufficiose che non si capisce se il dissidio tra la presidente del Consiglio e il ministro sia o meno un gioco delle parti.

In realtà, per uscire da tutto ciò che ha un sentore d’ipocrisia, va detto che ad ogni evidenza la missione di Zelensky in terra russa appare come qualcosa di più di un contrattacco per colpire le basi da cui partono i micidiali missili che colpiscono mercati, centrali elettriche e ospedali ucraini.

Sembra tendere piuttosto all’occupazione di un’area (al cui interno si trova anche una centrale nucleare) da poter barattare proprio per creare le condizioni di un cessate il fuoco. Ad esempio, con quella di Zaporizhzhia la centrale nucleare contro la quale i russi si stanno ancor oggi accanendo.

Ammesso (e non concesso) che gli ucraini riescano nell’intento che è chiarissimo a Putin, l’operazione di Kursk — a differenza di quel che sostiene Crosetto — potrebbe dunque render possibile una trattativa di pace. Per questo Europa e Stati Uniti, pur intravedendone i rischi dal momento che non hanno dimenticato l’esito della controffensiva dell’estate scorsa, non l’hanno ostacolata.

A questo punto va detto, anche qui senza ipocrisie, che un’alta carica dello Stato quale è il ministro della Difesa dovrebbe prestare attenzione, grande attenzione, all’uso dei verbi e delle parole.

C’è una bella differenza tra chi «invade» un Paese per occuparlo (o comunque tenersene una parte consistente a tempo indefinito) e chi ne varca i confini per colpire le postazioni da cui provengono i missili che da due anni e mezzo provocano distruzioni e morti. O — se è verosimile l’ipotesi che abbiamo formulato — per avere qualcosa da «restituire» al fine di poter conservare una porzione di terra che appartiene all’Ucraina e che ancora non è stata del tutto conquistata dal nemico.

Lasciar intendere che si tratti di due «invasioni» equiparabili o comunque giudicabili con lo stesso metro non è leale.

Per di più farlo in questa maniera, laddove Europa, Gran Bretagna (ieri con una risoluta dichiarazione del premier Keir Starmer) e Stati Uniti assumono posizioni nettamente diverse, è l’ennesima dimostrazione che l’Italia dà prova, nei momenti difficili, di non essere un alleato affidabile. Per carità, Crosetto non è il primo e, temiamo, non sarà l’ultimo a tirarsi indietro quando all’orizzonte si intravede il rischio di sconfitta. E sarebbe un’ingiustizia far pesare sulle sue spalle un giudizio così severo sull’affidabilità del nostro Paese. Ma è pur vero che in momenti come questi da un piccolo dettaglio si vede di che stoffa sono fatte le nostre classi dirigenti.

Purtroppo, quasi sempre la stessa.

Giornalista ucraino smaschera Travaglio (lavocedilucca.it)

Pubblichiamo qui di seguito la Lettera scritta 
dal giornalista ucraino Vladislav Maistrouk

seguita dalla Risposta del direttore direttore del “Fatto Quotidiano” Marco Travaglio, apparsi il 14 giugno su tale quotidiano nella rubrica Lo Dico Al Fatto.

Vogliamo farle conoscere ai nostri lettori perché le riteniamo un ulteriore esempio della sistematica falsificazione filoputiniana compiuta dal “Fatto” e dal suo direttore a proposito dell’Ucraina, della sua storia e infine dell’aggressione nazizarista scatenata il 24 febbraio 2022 per cancellarla come nazione libera, indipendente, sovrana e integrale e inglobarla nel nuovo impero sognato da Putin.

Il giornalista ucraino Vladislav Maistrouk cerca di confutare la spregevole falsità secondo la quale l’Ucraina sarebbe un paese nazista, governato da un premier nazista, popolato di nazisti e da sempre storicamente schierato dalla parte dei nazisti.

E lo fa in modo dialettico e convincente, richiamando la sua personale storia familiare quale “bisnipote di due combattenti ucraini dell’armata Rossa” e raffrontando con dati alla mano le vicende parallele che attraversarono Italia e Ucraina nei confronti del nazismo durante la Seconda guerra mondiale.

Eppure Travaglio esordisce accusandolo di ricorrere a “giudizi sprezzanti” per poi ripetere, lui sì in modo sprezzante e disonesto, la tesi apodittica: “come gran parte dell’Italia fu filofascista almeno fino al 1943, gran parte dell’Ucraina fu filonazista”. Una tesi doppiamente falsa, che dimentica il contributo fondamentale dato dall’Ucraina alla nascita dell’Urss, quando nel 1922 vide la luce grazie all’adesione libera, volontaria e paritaria delle Repubbliche socialiste sovietiche di Russia, Ucraina, Bielorussia e Transcaucasia.

E poi il contributo importante dato dalla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina alla sconfitta del nazifascismo durante tutta la seconda guerra mondiale. Un contributo che fu riconosciuto innanzitutto dall’ONU, dove l’Ucraina ebbe sin dalla fondazione di questa organizzazione internazionale, insieme alla Bielorussia, un seggio all’Assemblea e nel Consiglio di sicurezza come membro non permanente, mentre l’Unione Sovietica ebbe un seggio all’Assemblea e fu membro permanente al Consiglio di sicurezza.

Tali seggi alle due repubbliche socialiste furono fortemente voluti dal governo dell’Unione Sovietica affinché venisse evidenziato il contributo fondamentale di queste due nazioni, che si trovarono in prima linea nell’eroica lotta al nazifascismo. Come ebbe a sottolineare Stalin: “ Fu con le epiche vittorie sul fronte di Stalingrado (settembre 1942-gennaio 1943) e di Char’kov in Ucraina (luglio-agosto 1943) che l’Armata Rossa cambiò strategicamente le sorti della guerra .”

La tesi dell’Italia “gran parte filofascista” esposta da Travaglio non è nuova ma comune ai fascisti e ai filofascisti di allora, come il suo maestro e mentore Montanelli, anticomunista viscerale ed “entusiasta” fascista almeno fino agli ultimi anni Trenta, che cercavano in tal modo di giustificare sé stessi e le mostruosità compiute da Mussolini e Hitler in quanto quest’ultimi avrebbero goduto del quasi unanime supporto dei loro popoli.

Travaglio si rifiuta di considerare le prove storiche che lo smentiscono, come la disparità tra i “200 mila ucraini che effettivamente collaborarono con i nazifascisti” a fronte dei “6 milioni che combatterono nelle file dell’Armata rossa” e si riduce a ripetere tutte quelle falsità che ha inventato Putin per giustificare l’invasione con la necessità di denazificare l’Ucraina.

Anche sulla questione degli accordi di Istambul, le parole usate da Travaglio sono vergognose perché copiate pari pari dalle invettive terroristiche e guerrafondaie sputate quotidianamente da Putin e dai suoi portavoce imperiali, Lavrov, Peskov, Medvedev, Zakharova, ecc.: se la guerra continua sarebbe colpa non della Russia ma unicamente dell’Ucraina, che si ostinerebbe a rivendicare un Paese libero, indipendente, sovrano e integrale.

Travaglio esalta quegli accordi di Instambul esattamente come ha fatto ancora una volta in questi giorni Putin quando ne ha ricordato le finalità: capitolazione dell’aggredito e trionfo dell’invasore, ovvero mutilazione dell’Ucraina delle 4 regioni di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk (oltre che della Crimea annessa nel 2014) solo parzialmente occupate dalle truppe russe di invasione e trasformazione dell’Ucraina in un paese a sovranità limitata.

Leggendo questa Lettera del giornalista ucraino e l’imbarazzante risposta del direttore del“Fatto”, vedrete smascherato Travaglio ancor più del passato come un incorreggibile anticomunista filoputiniano.

La Lettera del giornalista ucraino Vladislav Maistrouk Come cittadino ucraino, che da oltre due anni è sottoposto alla “roulette russa” ogni volta che va a dormire, e come bisnipote di due combattenti ucraini dell’armata Rossa, posso affermare che Travaglio mente quando scrive che l’Ucraina stava coi nazisti nel 1944-45. A fronte di circa 200 mila ucraini che effettivamente collaborarono con i nazifascisti, altri 6 milioni combatterono invecenelle file dell’armata Rossa, dato ovviamente taciuto nell’articolo.

Oltre 3 milioni di soldati ucraini e 5 milioni di civili morirono nella Seconda guerra mondiale. In Italia per ogni partigiano 6 soldati italiani erano nell’esercito nazifascista: ciò non fa del presidente Mattarella, presente alle celebrazioni dello sbarco in Normandia un intruso. Tantomeno lo era quindi Zelensky.

Quanto agli accordi di Istanbul, i russi volevano la capitolazione dell’Ucraina e da quell’incontro a oggi l’esercito ucraino ha liberato il 40% dei territori che i russi avevano occupato dal 24 febbraio 2022.

Gli ucraini non sono nazisti. Nel Parlamento ucraino non ci sono esponenti di estrema destra. In Ucraina usare simboli nazisti può costare anche 5 anni di carcere. Scoraggia, dal punto di vista umano, l’insistenza con la quale Travaglio disumanizza un popolo attraverso epiteti come “nazisti”, distorcendo fatti storici e recenti, vedi accordi di Istanbul, nonché la supercazzola che si è concesso sullo sbarco in Normandia, definendolo un inutile “massacro di soldati”.

La risposta del direttore del “Fatto Quotidiano” Marco Travaglio. Tralascio i suoi giudizi i sprezzanti e il dibattito storiografico sullo sbarco in Normandia, e vengo all’Ucraina. Le confermo che, come gran parte dell’Italia fu filofascista almeno fino al 1943, gran parte dell’Ucraina fu filonazista, per ragioni storiche (la grande carestia staliniana e altro) che manca lo spazio per riepilogare.

Ovviamente, come una minoranza di italiani salvò la faccia e l’onore dell’Italia con la Resistenza, anche una minoranza di ucraini fece altrettanto combattendo contro il nazismo. Perciò è bizzarro che alle celebrazioni dello sbarco in Normandia mancassero i rappresentanti dell’ex Urss (che alla liberazione dell’Europa dal nazifascismo sacrificò 28 milioni di morti), sostituiti da quelli dell’Ucraina e dell’Italia (su questo almeno concordiamo).

Purtroppo la tolleranza che tuttora protegge i battaglioni tipo Azov e Dnipro e le formazioni ultranazionaliste, fascistoidi e nazistoidi nelle forze armate e nel Parlamento ucraini, così come il culto tuttora riservato al criminale filonazista Stepan Bandera, confermano ciò che ho scritto. Quanto agli accordi di Istanbul, non furono imposti da Putin né prevedevano alcuna capitolazione di Kiev.

Come le sarà facile leggere in approfondite inchieste come quella di Foreign Affairs, con testimonianze di negoziatori russi, ucraini, turchi e israeliani (il premier Bennett in primis), furono concordati con l’Ucraina: infatti per tre volte nel marzo-aprile 2022 Zelensky disse che Kiev non sarebbe entrata nella Nato. Cosa che, se l’avesse detta prima, ordinando il cessate il fuoco in Donbass e riconoscendogli l’autonomia promessa a Minsk, avrebbe evitato probabilmente l’invasione.

Lei è libero di ritenere che Kiev debba seguitare a combattere fino all’ultimo ucraino per sconfiggere la Russia, come s’illudevano di fare Napoleone e Hitler quando non era ancora una potenza atomica. Purtroppo i risultati della folle strategia li stiamo vedendo tutti e il Fatto, oltre ai migliori esperti, li aveva previsti. Io “disumanizzo” gli ucraini? Al contrario: penso che sia loro interesse un cessate il fuoco e un compromesso con la Russia che parta dalle intese di due anni fa (e di centinaia di migliaia di morti fa). L’interesse dei russi è continuare a occupare e a distruggere: il tempo gioca a loro favore.

(Articolo de “Il Bolscevico”, organo del PMLI, n. 25/2024 e pubblicato sul sito www.pmli.it)

La disumanità di Delmastro, fuma in carcere e si vanta di non aver incontrato i detenuti. Caiazza: “Appicca il fuoco, è inadeguato” (ilriformista.it)

Il sottosegretario continua a raschiare il fondo

Raschiare il fondo. E’ forse questo l’obiettivo del sottosegretario alla Giustizia del Governo Meloni. Andrea Delmastro fa quel che vuole.

Dopo la raccapricciante vicenda dello sparo di Capodanno e il caso Cospito (dove è imputato per rivelazione di segreto d’ufficio), il fedelissimo di Giorgia Meloni ne combina un’altra. Non solo va in carcere e si fa fotografa mentre fuma una sigaretta con alle spalle il divieto di fumare (immagine pubblicata sui social e poi cancellata dopo la gaffe), ma addirittura gira due penitenziari pugliesi senza incontrare i detenuti e verificare le condizioni disumane in cui sono ristretti, tra sovraffollamento e carenze strutturali.

Il non inchino alla “Mecca dei detenuti”

Anzi. Delmastro addirittura si vanta di non essersi inchinato alla “Mecca dei detenuti“, in un periodo storico dove tra escalation di suicidi in carcere (oltre 60 tra detenuti e agenti di polizia penitenziaria), sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie assai precarie il governo, e il ministro della Giustizia Carlo Nordio, continuano a fregarsene.

Anzi: con il decreto Caivano e il recente decreto carceri le patrie galere italiane saranno sempre più affollate, sempre ricche di nuovi ospiti arrestati per poco o niente.

Caiazza: “Delmastro deve dimettersi, rappresenta indegnamente ministero”

A criticare l’atteggiamento del sottosegretario, sempre al suo posto nonostante gli scandali degli ultimi anni, è l’avvocato Gian Domenico Caiazza, ex presidente delle Camere Penali, che su X commenta duramente l’atteggiamento dell’esponente del governo Meloni: “Le parole del sottosegretario alla Giustizia Delmastro delle Vedove, che sdegnosamente rivendica di aver visitato il carcere di Taranto per incontrare solo la Polizia Penitenziaria, perché lui non si inchina “alla Mecca dei detenuti”, sono di una gravità definitiva. E faccio fatica a comprendere – sottolinea Caiazza – come sia possibile che nessuno dei soggetti politici (partiti, associazioni) invece attenti e schierati nella denuncia della vergogna delle carceri, invochi le immediate dimissioni di una persona così inadeguata al ruolo, né chieda conto al Ministro Nordio cosa pensi di una simile, scandalosa dichiarazione del suo vice-Ministro”.

Caiazza: “Delmastro appicca il fuoco”

Per Caiazza “il Sottosegretario proprio non riesce a comprendere che i detenuti (siano essi i peggiori criminali, o persone innocenti in attesa di giudizio) sono affidati alla custodia e quindi alla responsabilità dello Stato e-specificamente- al Ministero che egli indegnamente rappresenta. E se costoro vengono custoditi nelle condizioni indecenti che tutti conosciamo, significa che Delmastro in quel momento rappresenta formalmente chi ha la responsabilità di quella indecenza (che naturalmente ha molti padri in questi ultimi decenni).

Se va in carcere e parla solo con polizia penitenziaria e il personale amministrativo, rivendicando con orgoglio di aver ignorato i detenuti, non solo appicca il fuoco di una contrapposizione esplosiva tra “buoni” e “cattivi”, ma dimostra di non avere la minima idea di quali siano il suo ruolo e le sue responsabilità. Chi confonde la politica con la propaganda becera delle proprie idee, non può avere responsabilità di Governo di questa importanza”.

Lo stesso Delmastro al termine della visita di ieri, ha chiarito che il governo non assumerà “mai nessun provvedimento svuotacarceri, già visto e già tristemente vissuto”.

“E dato che” in passato “è stata fatta una serie di svuotacarceri ed il sovraffollamento è identico, evidentemente è una misura fallimentare”. Poi ha aggiunto: “Questo governo ed il sottoscritto – ha aggiunto – in prima persona hanno sbloccato in 20 mesi 255 milioni di edilizia penitenziaria per recuperare settemila dei diecimila posti detentivi mancanti. Questo ci fa ben sperare per recuperare gli altri tremila nel corso del mandato e risolvere strutturalmente il problema del sovraffollamento”.

La disumanità di Delmastro, fuma in carcere e si vanta di non aver incontrato i detenuti. Caiazza: “Appicca il fuoco, è inadeguato”

Al 41bis si può leggere Il Dubbio. Ma strappando prima le pagine… (ildubbio.news)

di Valentina Stella

Carcere

Nel carcere di Novara censurano le copie indirizzate a un detenuto abbonato al nostro giornale. La denuncia del legale: «In gioco il diritto all’informazione»

A.D.A. è un condannato definitivo a 19 anni e 8 mesi di carcere per associazione mafiosa, detenuto nel reparto 41 bis del carcere di Novara. Dopo una laurea in Giurisprudenza, con una tesi sul regime del “carcere duro”, l’uomo punta ora a un altro titolo: si è infatti iscritto a Filosofia e sta sostenendo gli esami da detenuto. Insomma un detenuto che potremmo definire modello e che ha scelto di ampliare la sua cultura volendo leggere, dall’inizio di quest’anno, anche il nostro giornale.

Peccato che la direzione del carcere si è opposta perché esso non era contemplato dal modello 72, concernente i quotidiani nazionali acquistabili nel cosiddetto sopravvitto in base ad una circolare del Dap del 2017. Tuttavia già nel 2020 una decisione della Cassazione aveva stabilito che non si può negare il diritto all’informazione anche per i reclusi al 41 bis senza verificare prima le testate, anche se non rientrano nella lista della circolare del 2017 dove si sono uniformate le regole del regime speciale.

Per questo ed altri motivi, il Magistrato di Sorveglianza di Novara ha accolto il ricorso del detenuto e gli ha concesso di potersi abbonare al Dubbio, «trattandosi di quotidiano di informazione politica giudiziaria a tiratura nazionale», «assimilabile» «ai quotidiani contenuti nell’elenco» e perché «trattasi peraltro di stampato inerente all’esercizio del diritto fondamentale all’informazione». Così veniva deciso a marzo.

Purtroppo però, come ci ha segnalato il suo legale Federico Celano «sono state bloccate su segnalazione dell’Ufficio Censura le pagine 7 e 8 dell’edizione del 12.06.2024, 7 e 8 del 21.05.2024 e 9 e 10 del 16.05.2024». In pratica il detenuto ha ricevuto la copia del Dubbio ma con quelle pagine strappate.

Siamo andati a vedere di quali articoli si trattasse e abbiamo scoperto che uno riguarda le motivazioni della sentenza di primo grado dell’inchiesta Rinascita Scott sul maxi processo alla ‘ndrangheta vibonese, un altro l’indagine che coinvolse nomi noti del panorama politico calabrese, tra cui il sindaco Pd di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, un altro ancora la nuova direttiva europea sui beni confiscati alla mafia, l’ultimo sulla remissione del debito a un boss recluso al 41 bis.

«Nessuno di questi articoli ha a che fare con il mio assistito. Per adesso sappiamo che gli è stato comunicato il blocco di quelle pagine in forza del provvedimento ex articolo 18 ter dell’ordinamento penitenziario che colpisce il mio assistito e tutti i reclusi al 41 bis (1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi: a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa). Ora il provvedimento di blocco è al vaglio del magistrato di sorveglianza che potrà emettere un decreto di trattenimento o potrà decidere di restituire le pagine. Nel primo caso ci opporremo perché qui è in gioco il diritto alla libertà di informazione a tutto tondo, il diritto a dare le informazioni e il diritto a ricevere le informazioni».

L’avvocato si dice «preoccupato più per voi del giornale; il provvedimento di censura è personale, l’ipotesi è che Il Dubbio abbia voluto trasmettere al mio assistito una qualche informazione che viene ritenuta compromettente. Ma questo è impossibile. Un’altra spiegazione potrebbe essere che gli agenti addetti all’ufficio censura, spesso oberati di lavoro, abbiano superficialmente scartato quegli articoli, senza leggerli nel dettaglio, solo perché parlavano di organizzazioni criminali di stampo mafioso e di casi specifici di reclusi al 41 bis».

In attesa di scoprire i reali motivi del blocco, il nostro quotidiano non ha mai smesso di sostenere che il regime di 41 bis, oltre ad essersi trasformato da misura emergenziale a regime standard, non porta avanti soltanto l’obiettivo di spezzare i legami con le organizzazioni di appartenenza, ma mette in atto delle misure afflittive in più, spesso irragionevoli.

Ricorderete tutti che ad un detenuto fu negata la lettura del libro di Luigi Manconi e Federica Graziani, Per il tuo bene ti mozzerò la testa – Contro il giustizialismo morale, e ad un altro quello dell’ex Ministra Cartabia e Adolfo Ceretti, Un’altra storia inizia qui, nel quale si confrontano con il magistero del compianto arcivescovo Carlo Maria Martini.

Questo confronto non dimostra che i giudici del Regno Unito trattino gli stranieri meglio dei britannici (open.online)

di Fact-checking Team

FACT-CHECKING 

Il confronto nato in UK e condiviso anche Elon Musk è arrivato anche in Italia sortendo gli stessi effetti avuti in patria

Da qualche giorno, anche in Italia circola il confronto condiviso da Elon Musk in cui vengono comparati tre diversi criminali, due britannici e uno straniero, i reati da loro commessi e le relative presunte pene. Il confronto, così presentato, sostiene che il sistema giudiziario del Regno Unito sia più indulgente nei confronti degli stranieri che commettono crimini gravi rispetto agli autoctoni o ai bianchi.

Lo fa in un periodo in cui nel Paese si registrano tensioni per via delle manifestazioni anti immigrazione che si sono svolte, non senza violenza, in seguito all’attacco di Southport in cui un minorenne ha ucciso tre bambine.

Nei giorni prima e durante le manifestazioni, si erano diffuse notizie false secondo cui la strage sarebbe stata commessa da un immigrato clandestino di nome Ali Al Shakati. Ad ogni modo, il confronto proposto nei post social riporta informazioni fuorvianti.

Analisi

Vediamo lo screenshot di uno dei post oggetto di verifica (qui qui altri esempi). Nella descrizione si legge:

Lo capite cosa sta succedendo, vero?

1 – Britannico. Bianco. Ha postato un commento razzista su Facebook: 3 mesi e mezzo di GALERA

2 – Britannico. Bianco. Ha venduto adesivi contro l’immigrazione: 24 mesi di GALERA

3 – Immigrato. Di colore. Ha più volte STUPRATO UNA BAMBINA DI 12 ANNI: 180 ore di servizi sociali. Neanche un minuto di galera

Quando prima o poi qualche politico e i suoi tirapiedi finirà impiccato, non stupitevi!

Perché se la Storia ci ha insegnato qualcosa è che prima o poi i popoli esplodono… Non è quindi questione di SE, ma di QUANDO…

Il confronto condiviso da Elon Musk

Il confronto tra i tre condannati è stato reso particolarmente famoso da Elon Musk che lo scorso 6 agosto lo ha condiviso su X, chiedendo alle community notes – il sistema di fact checking gestito dagli utenti all’interno del social che ha in gran parte sostituto la moderazione centrale – di verificare se il contenuto fosse accurato. Così facendo, Musk ha fatto sì che il contenuto sia stato visto oltre 85 milioni di volte.

Tutti e tre i soggetti mostrati nel confronto sono persone vere condannate nel Regno Unito. Ripercorriamo brevemente la storia di ciascuno di loro.

Shaun Tuck

Il primo uomo si chiama Shaun Tuck e – come riporta la Bbc – nel febbraio del 2024, quando aveva 37 anni, è stato condannato a 15 settimane di carcere per dei commenti razzisti fatti su Facebook nei confronti di un tifoso di un’altra squadra di calcio. Tuck, originario di Liverpool ha anche dovuto risarcire 155 sterline all’offeso e ha ricevuto un Daspo di sei anni.

Samuel Melia

Il secondo uomo si chiama Samuel Melia. Secondo quanto si legge sulla Bbc, nel marzo 2024, all’età di 34 anni, è stato condannato a due anni di carcere per una campagna di sticker razzisti e antisemiti con i quali lui e alcuni suoi seguaci membri di un gruppo Telegram hanno tappezzato numerosi luoghi pubblici del Paese. A casa di Melia, la polizia britannica ha trovato un poster di Hitler ed è stato rilevato che il condannato ha dimostrato un interesse ossessivo per Owald Mosley, il fondatore, negli anni Trenta, della British Union of Fascists.

Hamoud Al Soaimi

Il terzo uomo è Hamoud Al Soaimi, originario del Kuwait e 21enne nel 2024. É stato condannato per quattro diversi casi di violenza sessuale di cui uno con penetrazione avvenuti quando aveva 15 anni nei confronti di una ragazza 13enne all’epoca dei fatti, e di un’altra ragazzina, allora 12enne. Gli erano stati inflitti due anni di prigione, poi sospesi e in favore di 180 ore di lavoro non pagato. Come riportato dai colleghi di Logicallyfacts, Hamoud Al Soaimi è stato iscritto (per 10 anni) nel Violent and Sex Offender Register (ViSOR), un registro dedicato per coloro che vengono condannati per reati sessuali.

Perché il confronto è fuorviante: il condannato per stupro era minorenne

Visti i casi di cronaca, si nota come a distinguere Hamoud Al Soaimi dagli altri condannati è l’aver commesso i reati quando aveva meno di 18 anni. A causa della minore età, come si legge sul sito del governo del Regno Unito, il processo penale e l’applicazione delle pene differisce da quello per gli adulti. Nello specifico, viene esplicitamente evidenziato che ai bambini e ai ragazzi di età compresa tra i 10 e i 17 anni vengono inflitte pene diverse.

Quanto diverse? A chiarirlo è il Sentencing Council, l’organo pubblico del Regno Unito che ha il compito di elaborare linee guida per le sentenze giudiziarie. Nel caso di soggetti di età compresa tra 15 e 17 anni, viene consigliato di applicare una pena che va da metà a due terzi di quella che sarebbe data a un adulto in una situazione analoga.

Conclusioni

Un confronto tra tre criminali, i reati da loro commessi e le pene loro inflitte tenta di dimostrare che il sistema giudiziario britannico sarebbe più indulgente nei confronti degli stranieri, sostenendo che il terzo l’avrebbe fatta franca in quanto “non britannico” e pur avendo commesso il reato più grave. In realtà, l’assenza di una pena detentiva nei suoi confronti è dovuta alla minore età del condannato all’epoca del crimine, una condizione che vale per chiunque sotto processo nel Regno Unito.