Un patto oltre le fazioni (corriere.it)

di Gian Antonio Stella

I figli dei migranti

Sono passati quindici anni da quando Lihao Zhang vinse il premio di poesia in dialetto lumbard di Voghera con «La paciada» (la scorpacciata) sul sogno fatto dopo essere stato spedito a letto senza cena:

«Ghera una tavula / con tanti rob preparà / piat ad roba bona, / tut in bela vista / salam, antipast / pulastr e insalada…». Ventotto dal premio «Al Zempedon» per il dialetto bellunese vinto da Fang Xu con «An fià par on».

Quei bimbi cinesi che parlavano dialetto meglio di tanti figli nostri son oggi adulti. Eppure la politica, sulla cittadinanza ai figli degli immigrati, è ancora spaccata.

Di qua quelli che cocciutamente insistono sullo ius soli puro per dare il diritto automatico al passaporto a chi nasca sul territorio nazionale come accadeva nel 1948 in metà dei Paesi del mondo (47%) e oggi solo negli Usa (ammesso che Trump non vinca) e parte dei Paesi americani. Di là quanti cocciutamente negano la necessità di cambiare la legge base del ‘92.

Pensata, scritta e votata trentadue anni fa in un contesto immensamente diverso da oggi. E centrata sullo ius sanguinis. Con strascichi. Comprese certe forzature tipo l’idea di allargare la cittadinanza ai nipoti dei nipoti emigrati fino alla quinta generazione. Col risultato che il bresciano Mario Balotelli o la padovana Paola Egonu per diventare italiani han dovuto attendere di compiere i 18 anni e il brasiliano Jorginho, che tra i 16 trisnonni ne ha uno di Lusiana, diventò subito capitano degli azzurri.

Ma ha ancora senso dopo aver tutti esultato alle Olimpiadi (tolto Vannacci, ovvio, per tigna) davanti alle fantastiche ragazze d’oro del volley che intonavano felici, mano sul cuore, il «loro» Inno di Mameli (a partire dalla sicula-lombarda di genitori ivoriani Myriam Sylla che Sergio Mattarella chiama affettuoso «la mia concittadina») questo scontro testardo fra opposte e inconciliabili visioni del problema che paralizza da decenni ogni confronto?

È cambiato tutto, intorno. E come hanno (inutilmente?) spiegato Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi nel saggio «L’evoluzione delle leggi sulla cittadinanza: una prospettiva globale», moltissimi Paesi hanno cambiato le loro vecchie regole per adattarle a sistemi più flessibili. Un dato per tutti: i Paesi col sistema misto (si chiami «ius scholae» o «ius culturae» o «ius soli temperato») sono passati dal 12% a quote sempre più ampie. Soprattutto in Europa.

Poi, certo, ogni Paese si regola a modo suo. C’è chi riconosce la cittadinanza come Francia, Paesi Bassi, Spagna e Lussemburgo, col sistema del «doppio ius soli» ai bimbi d’origine straniera figli di immigrati nati a loro volta già nel territorio nazionale e chi preferisce esigere più che il luogo di nascita, dagli aspiranti cittadini, il loro coinvolgimento nei valori culturali del Paese scelto. C’è chi vuole uno o due cicli scolastici, chi pretende da due a otto anni di residenza regolare…

Scelte diverse via via proposte negli anni in Parlamento da sinistra (Laura Boldrini, Matteo Orfini, Giuseppe Brescia…) o da destra (Renata Polverini) ma sempre finite in un cul-de-sac. Con una parte della sinistra a chiedere lo ius soli puro sventolando il drappo rosso in faccia al toro leghista e la destra decisa a non mollare un millimetro.

Il tutto a prescindere dall’opinione degli italiani che secondo il Report Ansa «I migranti visti dai cittadini», diffuso nel 2012, non erano affatto ostili. Il 38,2% pensava bastassero cinque anni di residenza, il 10% riteneva che ce ne volessero dieci. Ma, diceva il sondaggio, il 72,1% era «favorevole al riconoscimento della cittadinanza a chi nasce in Italia».

Il tutto nella scia di una consapevolezza chiara due millenni fa agli autori dello Huainanzi, un’opera cinese nel II secolo avanti Cristo che parlava dei popoli dell’Impero di mezzo: «Quando presso gli Êrmâ, i Di o i Bodi nascono bambini, urlano tutti allo stesso modo. Ma una volta cresciuti non sono in grado di capirsi neppure con l’interprete. (…) Ma prendete un bimbo di tre mesi, portatelo in un altro Stato e in futuro non saprà neanche quali costumi esistono nella sua patria». Non è il luogo di nascita né il cognome o le fattezze fisiche a plasmare un cittadino: è molto di più.

Né la pensa diversamente Papa Francesco, figlio di emigrati in Argentina, che pur evitando di scendere nelle beghe politiche italiane a Natale del 2017 sottolineò così l’evento straordinario di Betlemme: «Maria e Giuseppe, per i quali non c’era posto, sono i primi ad abbracciare Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza».

Un tema rafforzato giorni dopo invocando «una legislazione sulla cittadinanza conforme ai principi fondamentali del diritto internazionale». Non fu data questa opportunità, del resto, ai nostri nonni in Sudamerica come ha ricordato giorni fa Sergio Mattarella a Rio? «Il Brasile dà una lezione di civiltà non soltanto con l’accoglienza e crescita sociale ai migranti, ma anche con la capacità di saper fare e rendere suoi cittadini persone venute da tante parti diverse del mondo. Tutti brasiliani, autenticamente e orgogliosamente brasiliani, pur venendo da altri Paesi».

Possibile che non si trovi un accordo anche tra avversari su questo tema centrale? Come spiegarono uomini diversi come Hannah Arendt, Helmut Kohl o Nelson Mandela, il compromesso non è necessariamente un punto basso della politica. Anzi.

Il compromesso, scrive Norberto Bobbio, non è affatto l’opposto della moralità. Nelle società democratiche, è una virtù, perché permette di conciliare interessi diversi e trovare un equilibrio tra posizioni contrastanti». Può essere nobile, un compromesso.

Del resto cosa dice l’adagio? Il meglio è nemico del bene. E il peggio è la palude.

La legge italiana sulla cittadinanza non è la più generosa in Europa (pagellapolitica.it)

di Carlo Canepa

Diritti

Nonostante i numeri suggeriscono il contrario, le regole in vigore in Italia sono piuttosto restrittive

Negli scorsi giorni vari politici della Lega e di Fratelli d’Italia si sono detti contrari alla proposta del leader di Forza Italia Antonio Tajani di riaprire il dibattito sulla riforma della legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri, in particolare ai bambini.

Gli esponenti di entrambi i partiti di centrodestra hanno usato la stessa argomentazione: le regole in vigore sono già generose e quindi non vanno modificate.

«La legge sulla cittadinanza c’è, funziona, non va cambiata. L’Italia è il Paese in Europa che concede più cittadinanze, oltre 130 mila all’anno, più di Francia e Germania», ha dichiarato per esempio il 12 agosto a La Stampa Nicola Molteni, sottosegretario della Lega al Ministero dell’Interno. Il 19 agosto il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti ha detto allo stesso quotidiano che «in termini di concessione della cittadinanza siamo al primo posto nell’Unione europea».

È vero che, secondo i dati più recenti e in valore assoluto, l’Italia è il Paese europeo che concede più cittadinanze agli stranieri. Ma se si rapportano i dati alla popolazione residente, l’Italia perde alcune posizioni in classifica, e non solo: in ogni caso il primato italiano non significa che il nostro Paese abbia la legge più generosa nel concedere la propria cittadinanza agli stranieri.

Le cittadinanze date nell’Ue

Partiamo dai numeri. Secondo Eurostat, nel 2022 l’Italia ha dato la propria cittadinanza a quasi 214 mila cittadini stranieri, il numero più alto tra tutti e 27 gli Stati membri, davanti a Spagna (oltre 181 mila cittadinanze concesse), Germania (quasi 167 mila) e Francia (più di 114 mila). Il numero delle cittadinanze italiane date nel 2022 è più alto di quello registrato nel 2021, quando le cittadinanze concesse erano state oltre 121 mila, un valore più basso di quello registrato in Germania (130 mila), Spagna (144 mila) e Francia (circa 131 mila).

Nei dieci anni tra il 2013 e il 2022 gli stranieri che hanno ricevuto la cittadinanza italiana sono stati circa un milione e 463 mila, il numero più alto tra tutti i Paesi Ue. Seguono la Spagna, con un milione e 405 mila cittadinanze spagnole date a stranieri, la Germania, con un milione e 207 mila cittadinanze tedesche date a stranieri, e la Francia, con un milione e 101 mila cittadinanze francesi concesse a stranieri.

L’Italia perde il primato di Paese che concede più cittadinanze se si rapporta il numero di cittadinanze concesse con il numero di abitanti residenti nel Paese. Nel 2022 questo dato è stato pari a una cittadinanza concessa ogni 3.620 cittadini residenti in Italia, il quinto rapporto più alto dietro a Svezia, Lussemburgo, Belgio e Spagna.

Quanto è severa la legge italiana

Sulla base di questi numeri, verrebbe da pensare – come fanno gli esponenti della Lega e di Fratelli d’Italia – che tutto sommato la legge che regola la concessione della cittadinanza italiana è tra le più generose, se non la più generosa nell’Ue, ossia quella con vincoli meno restrittivi. In realtà le cose non stanno così.

La legge che contiene le norme sulla concessione della cittadinanza italiana è vecchia di oltre trent’anni, essendo stata approvata nel 1992. Nel nostro Paese è in vigore il cosiddetto ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”): ottiene alla nascita la cittadinanza italiana chi ha almeno un genitore italiano.

Un bambino straniero che nasce in Italia può ottenere la cittadinanza italiana, su richiesta, una volta compiuti i 18 anni di età e se ha sempre vissuto ininterrottamente nel nostro Paese. Per avere un ordine di grandezza del fenomeno, secondo i dati più aggiornati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, circa il 65 per cento degli studenti stranieri nelle scuole italiane è nato nel nostro Paese.

Un cittadino straniero maggiorenne deve invece aver risieduto legalmente in Italia per almeno dieci anni se vuole chiedere la cittadinanza italiana. Queste sono le norme principali: ci sono poi varie casistiche, dai coniugi agli adottati, per cui valgono tempistiche diverse.

Anche per questo motivo, confrontare le leggi sulla cittadinanza in vigore nei 27 Paesi Ue non è un compito facile: ogni Stato infatti ha le sue peculiarità che lo rendono più o meno restrittivo a seconda dei vincoli imposti per ottenere la propria cittadinanza.

Possiamo comunque dire che, per quanto riguarda i bambini nati da genitori stranieri, le norme in vigore negli altri grandi Paesi Ue sono meno severe di quelle italiane. Un bambino straniero nato in Francia riceve la cittadinanza francese se almeno uno dei due genitori è nato in Francia.

In più in Francia un bambino straniero può ottenere la cittadinanza una volta compiuti i 18 anni, se ha vissuto in Francia per cinque anni a partire dagli 11 anni di età, o può riceverla anche prima, a partire dai 13 anni, se risiede in Francia dall’età di 8 anni. In Germania i bambini stranieri ricevono la cittadinanza tedesca se, al momento della loro nascita nel Paese, almeno uno dei genitori risiede legalmente in Germania da cinque anni, con un permesso di soggiorno permanente.

In Spagna la legge è più permissiva: per chi è nato nel Paese è infatti sufficiente risiedervi legalmente per un anno prima di poter richiedere la cittadinanza.

Il Barcelona Centre for International Affairs, un centro di ricerca spagnolo che si occupa di relazioni internazionali, e il Migration Policy Group, un think-tank con sede in Belgio che studia i fenomeni migratori, curano il Migrant Integration Policy Index (MIPEX), un indice che valuta le politiche di integrazione dei cittadini stranieri in 56 Paesi del mondo, tra cui l’Italia. Il valore di questo indice può andare da zero a 100, a seconda di quanto un Paese abbia politiche più o meno favorevoli all’integrazione.

Una delle dimensioni analizzate dal MIPEX riguarda proprio la concessione della cittadinanza ai cittadini stranieri. Secondo i dati più aggiornati, relativi al 2019, l’Italia aveva un punteggio pari a 40 nella concessione della cittadinanza agli stranieri, il quattordicesimo valore più basso tra i 27 Stati Ue. Detto altrimenti, 13 Paesi europei avevano norme sulla cittadinanza più favorevoli per gli stranieri rispetto all’Italia.

A conclusioni simili riguardo la severità della legge italiana sulla cittadinanza è arrivato anche un altro progetto di ricerca, il Global Citizenship Observatory (Globalcit), che raccoglie diversi report sul tema per i singoli Paesi del mondo.

L’obiettivo delle opposizioni non può essere solo «mandare a casa» la destra (linkiesta.it)

di

Cercasi leader

Da troppo tempo, la sinistra in Italia si trova inchiodata a un bivio: rimanere ancorati a un’identità rassicurante o abbracciare il coraggio della trasformazione.

Una scelta da prendere non solo in vista di future elezioni, ma per dare una risposta al Paese su sanità, lavoro, stipendi, produttività e competitività delle aziende

Non è dato sapere se il governo guidato da Giorgia Meloni arriverà o meno a fine mandato, ma sembra sempre più evidente che la coalizione di destra sia meno solida e meno compatta rispetto alle premesse e al risultato delle elezioni politiche. In altre parole, si può sconfiggere al voto.

Ma costruire un’alternativa alla destra significa anzitutto scegliere quali occhiali indossare per guardare il mondo: in che direzione vogliamo andare, che tipo di società e quali priorità abbiamo in mente, quali speranze vogliamo alimentare. Da troppo tempo, però, la sinistra in Italia si trova inchiodata a un bivio: rimanere ancorati a un’identità rassicurante o abbracciare il coraggio della trasformazione.

Una scelta da prendere non tanto e non solo in vista di future elezioni, ma per dare una risposta a chi vede ogni giorno peggiorare le proprie condizioni di vita, diventare sempre più inadeguati stipendi e pensioni, la sanità pubblica andare sempre più in sofferenza, il proprio futuro divenire incerto e insicuro. E non da oggi e non solo per conseguenza delle scelte dell’attuale governo.

In Italia, dopo la sconfitta del 2022, la sinistra ha scelto una strada identitaria. È comprensibile, e in parte è stata una scelta quasi obbligata per costruire un’opposizione in Parlamento e non solo. Ma non basta. Non può bastare per voltare pagina.

La politica identitaria conferma i giudizi, le simpatie, le antipatie, gli entusiasmi e persino i pregiudizi del proprio elettorato. E proprio per questo riesce a mobilitare, galvanizzare, riaccendere entusiasmi. Ma è un percorso minoritario, che rinuncia a convincere e a coinvolgere anche chi proviene da altre culture, da altre esperienze. Che ci isola nelle nostre certezze mentre il mondo intorno cambia, a volte troppo velocemente.

Abbiamo visto leader come Jeremy Corbyn, Alexis Tsipras, Jean-Luc Mélenchon scegliere sostanzialmente questa via. Proposte tra loro diverse, ma accomunate da una leadership che si limita a parlare in modo convincente solo a una parte del proprio popolo, facendo appello a orgoglio e coerenza, ma restando confinata nel proprio perimetro, senza riuscire ad allargare lo sguardo.

Serve invece il coraggio di indossare nuovi occhiali, di proporre una visione chiara del presente e del futuro dell’Italia. Che offra ai cittadini la possibilità di sceglierla non solo per radici e idealità, ma soprattutto per le risposte concrete e innovative che è in grado di dare ai problemi e alle tante questioni aperte.

Perché la proposta identitaria diventa debole e ambigua nel confronto con la realtà, quando le scelte richiedono posizioni chiare e la determinazione ad assumersene la responsabilità. Lo vediamo già oggi all’opposizione, su molti temi le posizioni sono elusive e con lo sguardo rivolto al passato: dall’Ucraina alla giustizia, dal lavoro allo sviluppo economico, passando per il cambiamento climatico e per le politiche migratorie. Come si può pensare che l’ambiguità non si riproponga, amplificata, in un’esperienza di governo?

L’obiettivo non può essere solo «mandare a casa» l’avversario, ma rilanciare un Paese fermo da anni. Dove non funzionano più (o funzionano sempre meno) tanto lo stato sociale quanto il mercato, dove gli stipendi sono fermi da trent’anni e la competitività delle nostre aziende ha bisogno di forti iniezioni di innovazione per tornare e rimanere al livello europeo, dove una larga parte dell’economia è strutturalmente sommersa, dove incrostazioni corporative, regalie, bonus bloccano non solo la concorrenza, ma il futuro.

E allora va costruita una sfida nuova, guardando anche ai percorsi coraggiosi e vincenti intrapresi in Europa da Pedro Sánchez, Keir Starmer e Raphaël Glucksmann.

È il momento di scegliere. Di alzare lo sguardo e di mettere al centro del nostro discorso politico non solo le ragioni che ci hanno portato fin qui, ma anche quelle che ci porteranno avanti. Di uscire dalle nebbie della nostalgia e di abbracciare il coraggio di un futuro che dobbiamo ancora costruire. Siamo a un bivio, e la direzione che sceglieremo determinerà non solo il cammino di una parte politica, ma il futuro di milioni di italiani.

Non è solo una questione di vittoria elettorale. È una questione di giustizia, di progresso, di umanità. Di fronte a una destra che si nutre di divisioni e paure, il nostro compito è più alto: unire, trasformare, costruire. Al lavoro, dunque. Perché il futuro non aspetta.

*Tomaso Greco è editore e co-fondatore di Adesso!

(Shaylyn)

Germania: condannata all’età di 99 anni, era la segretaria di un campo nazista (euronews.com)

Nazismo

Furchern è stata condannata dopo che i giudici si sono detti convinti che fosse a conoscenza e che avesse “deliberatamente appoggiato” le uccisioni di 10.505 prigionieri nel campo di concentramento vicino a Danzica

Un tribunale tedesco ha respinto il ricorso di una donna di 99 anni, Irmgard Furchner, condannata per complicità in oltre 10.000 omicidi durante il periodo nazista.

La quasi centenaria è chiamata a rispondere del suo ruolo di segretaria del comandante delle SS del campo di concentramento di Stutthof, durante la Seconda Guerra Mondiale.

La Corte federale di giustizia ha confermato il verdetto per Furchner, che nel dicembre 2022 era stata condannata a due anni con la condizionale da un tribunale statale di Itzehoe, nel nord della Germania.

La donna è accusata di aver fatto parte dell’apparato che ha gestito il campo vicino a Danzica. La condanna per complicità in omicidio riguarda 10.505 casi e per complicità in tentato omicidio cinque casi.

Gli avvocati: “Era davvero consapevole di quello che accadeva?”

In un’udienza del tribunale federale di Lipsia, il mese scorso, gli avvocati di Furchner hanno messo in dubbio che fosse davvero complice dei crimini commessi dal comandante e da altri alti funzionari del campo e che fosse davvero a conoscenza di ciò che stava accadendo a Stutthof.

Secondo il tribunale, Furchner “sapeva e, attraverso il suo lavoro di stenografa nell’ufficio del comandante del campo di concentramento di Stutthof dal 1° giugno 1943 al 1° aprile 1945, ha deliberatamente sostenuto le uccisioni con le gassazioni e con le condizioni ostili del campo, con il trasporto al campo di sterminio di Auschwitz e con l’invio alle marce della morte alla fine della guerra”.

Durante il procedimento iniziale, i pubblici ministeri hanno affermato che il processo di Furchner potrebbe essere l’ultimo del suo genere.

Tuttavia, un ufficio speciale della procura federale di Ludwigsburg, incaricato di indagare sui crimini di guerra dell’era nazista, ha dichiarato che altri tre casi sono pendenti presso procuratori o tribunali in varie parti della Germania. Poiché tutti gli imputati sono ormai in età avanzata, si pone sempre più spesso il problema dell’idoneità a sostenere un processo.

Complicità nell’omicidio

Il caso Furchner è uno dei tanti che negli ultimi anni si sono basati su un precedente stabilito nel 2011, con la condanna dell’ex operaio dell’Ohio, John Demjanjuk, ritenuto complice di un omicidio in base alle accuse di aver prestato servizio come guardia nel campo di sterminio di Sobibor. Demjanjuk, che ha negato le accuse, è morto prima che il suo appello potesse essere ascoltato.

In precedenza i tribunali tedeschi richiedevano ai pubblici ministeri di giustificare le accuse presentando le prove della partecipazione di una ex guardia a un omicidio specifico, un compito spesso quasi impossibile.

Tuttavia, durante il processo a Demjanjuk a Monaco di Baviera, i pubblici ministeri hanno sostenuto con successo che aiutare un campo a funzionare era sufficiente per condannare una persona come complice di omicidi commessi lì. Un tribunale federale ha poi confermato la condanna del 2015 dell’ex guardia di Auschwitz, Oskar Gröning, sulla base dello stesso ragionamento.

Il campo di Stutthof

Inizialmente punto di raccolta per ebrei e polacchi non ebrei allontanati da Danzica, Stutthof fu in seguito utilizzato come “campo di addestramento al lavoro” dove i prigionieri, principalmente cittadini polacchi e sovietici, venivano mandati a scontare le pene e spesso morivano.

Dalla metà del 1944, decine di migliaia di ebrei provenienti dai ghetti dei Baltici e da Auschwitz riempirono il campo, insieme a migliaia di civili polacchi coinvolti nella brutale repressione nazista dell’insurrezione di Varsavia.

Vi furono rinchiusi anche prigionieri politici, criminali, persone sospettate di attività omosessuali e testimoni di Geova. Più di 60.000 persone furono uccise nel campo.

L’incursione dell’Ucraina in Russia potrebbe cambiare tutto, dice Mark Kelly (politico.com)

di David Cohen

"Questo ha davvero rimesso Putin sui suoi passi", 
ha detto del presidente russo.

Il senatore Mark Kelly ha dichiarato domenica che la decisione dell’Ucraina di contrastare l’invasione russa in corso attaccando la Russia stessa potrebbe cambiare il modo in cui si svolge la guerra.

Parlando a “Face the Nation” della CBS, il democratico dell’Arizona ha dichiarato: “130.000 russi hanno dovuto lasciare le loro case e, a questo punto di questo conflitto, penso che gli ucraini abbiano fatto qualcosa di imprevedibile che potrebbe davvero cambiare le sorti di come si svolgerà questo conflitto”.

Al momento dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, si temeva che se l’Ucraina e i suoi alleati avessero esteso la guerra al territorio russo, sarebbe potuto scoppiare un conflitto regionale o globale. La guerra, tuttavia, si è in gran parte stabilizzata in una situazione di stallo, almeno fino a quando le forze ucraine non hanno attraversato la regione di Kursk in territorio russo.

“Sono a questo punto”, ha detto Kelly. “Gli ucraini sono stati attaccatiDomenica, la conduttrice Margaret Brennan ha chiesto a Kelly se si sentiva a suo agio con le armi americane utilizzate sul suolo russo ora. illegalmente da Vladimir Putin. … Sta uccidendo intenzionalmente donne, bambini, anziani. È stata un’invasione illegale. Questa incursione, e per ora la caratterizziamo in questo modo. Non credo che gli ucraini vogliano tenere intenzionalmente il territorio russo per un lungo periodo di tempo, ma questo ha davvero rimesso Putin sulle calcagna”.

Kelly ha aggiunto: “Da quando è iniziata l’invasione, ora, più di due anni fa, abbiamo periodicamente, come dovremmo rivalutare, come ci comporteremo per quanto riguarda l’uso da parte degli ucraini dell’assistenza alla sicurezza che forniamo loro. E penso che sia opportuno continuare a guardare a quali sono le loro esigenze”.

L’invasione del territorio russo da parte dell’Ucraina questo mese è ampiamente vista come un tentativo di allentare la pressione sulle sue forze che difendono il loro territorio dagli invasori russi, oltre a mettere l’Ucraina in una posizione migliore per eventuali colloqui di pace che potrebbero aver luogo.

Domenica è stato riferito che le forze ucraine avevano distrutto un secondo ponte nella regione di Kursk, limitando la capacità della Russia di rifornire le sue forze.

Kursk fu il luogo di una massiccia battaglia di carri armati tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista nell’estate del 1943; la vittoria sovietica mise i tedeschi praticamente in ritirata permanente sul fronte orientale della seconda guerra mondiale. Nell’agosto 2023, Putin ha commemorato quella vittoria definendola “per sempre uno dei pinnacoli delle grandi imprese del nostro popolo”.

Kelly ha detto che l’offensiva dell’Ucraina dovrebbe insegnare ai russi che il presidente Vladimir Putin non è l’impareggiabile protettore che si è fatto credere.

“Ha sempre cercato di caratterizzarsi come qualcuno che proteggerà la Russia”, ha detto Kelly. “Penso che i suoi cittadini stiano vedendo i risultati di ciò che ha fatto in Ucraina e che ora sono in qualche modo a rischio”.

Oms: Ucraina, subiti 1.940 attacchi a strutture sanitarie (ladiscussione.com)

Forze Russe conquistano Zalisne. Negoziati sempre 
più lontani

Continua l’avanzata ucraina nel Kursk: “Priviamo il nemico delle capacità logistiche”.

Mosca conquista la città di Zalisne (Artyomov in russo), a 70Km da Pokrovsk, snodo strategico. Oms: “1940 attacchi a strutture sanitarie” dall’inizio della guerra. Mosca: “inopportuno” negoziare dopo incursione a Kursk.

Zelensky: stiamo raggiungendo gli obiettivi

“L’aviazione dell’aeronautica continua a privare il nemico delle capacità logistiche con attacchi aerei di precisione”, ha affermato il comandante dell’aeronautica ucraina Mykola Oleshchuk su Telegram, pubblicando un video aereo di un’esplosione che ha sventrato un ponte vicino alla città russa di Zvannoye. Si tratta di un ponte chiave nella regione di Kursk, distrutto nel tentativo di interrompere le rotte di rifornimento di Mosca: “Meno un altro ponte”, ha affermato Oleshchuk.

“Stiamo raggiungendo i nostri obiettivi. Questa mattina abbiamo un altro rifornimento del ‘fondo di scambio’ (i prigionieri di guerra) per il nostro Paese”, ha affermato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ieri, ribadendo che l’obiettivo di Kiev di creare una “zona cuscinetto” in Russia.

Forze russe avanzano nel Donetsk

Mentre la controffensiva delle forze russe si dirige verso l’area del Donetsk, considerata uno snodo strategico, Serhii Dobriak, responsabile dell’amministrazione militare della cittàdi Pokrovsk ha dichiarato a Radio Free Europe/Radio Liberty rilanciate da Ukrinform che i civili dovranno evacuare la zona entro una o due settimane al massimo.

Due settimane per lasciare Pokrovsk

“Ad oggi, ha detto il responsabile, tutto a Pokrovsk funziona ancora”, ma “sappiamo che entro una settimana, queste operazioni si ridurranno gradualmente”. Secondo Dobriak, ogni giorno circa 500-600 persone lasciano la zona, mentre “4.788 bambini sono rimasti nella comunità”, aggiungendo di ritenere che “in settimana arriveremo a trasferimenti obbligati dei bambini”.

Le forze russe catturano Artyomov

Nel frattempo, secondo il ministero della Difesa di Mosca, le forze russe hanno preso il controllo della località di Zalisne (Artyomov, in russo), a meno di 70 chilometri da Pokrovsk,nella regione ucraina di Donetsk. “Unità del gruppo centro delle forze russe hanno liberato Artyomov, uno dei principali insediamenti nel distretto di Dzerzhinsk, nella repubblica di Donetsk”, ha scritto il ministero.

Kiev: Russia ricatta il mondo con centrale a Zaporizhzhia

“Da oltre due anni, gli occupanti russi controllano la più grande centrale nucleare in Europa. La presenza russa costituisce una minaccia fondamentale per la sicurezza rispetto alle radiazioni del nostro Paese, di tutta l’Europa e del mondo”. Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un post su X in cui accusa la Russia di “ricattare il mondo con la minaccia di una catastrofe nella centrale nucleare di Zaporizhzhia”.

Mosca: non parleremo con Kiev

“A questo punto, data questa impresa, non parleremo”, ha dichiarato il consigliere presidenziale russo Yuri Ushakov in un’intervista al canale Telegram Shot citata dalle agenzie di stampa russe Tass e Interfax in seguito all’attacco ucraino nella regione del Kursk. Ushakov, sottolineando che le proposte di Putin “non sono state annullate, ma al momento il processo negoziale è del tutto inappropriato”.

Oms, 1.940 attacchi ad assistenza sanitaria da inizio guerra

L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) in occasione della Giornata umanitaria mondiale, che si è celebrata ieri ha dichiarato che l’86% di tutti gli attacchi della guerra in Ucraina che dura da oltre 2 anni e mezzo sono stati a strutture sanitarie, e in una parte significativa degli attacchi sono state impiegate armi pesanti. A partire da Dicembre 2023, inoltre, gli attacchi alle strutture sanitarie si sono intensificati, avvenendo quasi quotidianamente.

Secondo il rapporto sono stati registrati 1.940 attacchi a strutture di assistenza sanitaria in Ucraina, ovvero del numero più alto che l’Oms abbia mai registrato in un’emergenza umanitaria a livello globale fino ad oggi.
Dal febbraio 2022, in media, 200 ambulanze all’anno sono state danneggiate o distrutte in bombardamenti. L’accesso all’assistenza sanitaria per le comunità vicine al fronte è stato gravemente limitato, causando un aumento del rischio di malattia e morte per la popolazione civile.

Stiamo perdendo colleghi

Non solo le strutture, ma anche il personale sanitario è in pericolo. “Nel 2024 stiamo assistendo a molti attacchi a doppio tocco”, ha dichiarato Jarno Habicht, rappresentante dell’Oms in Ucraina riferendosi alla strategia di colpire sullo stesso luogo dopo il primo bombardamento.

“Ora abbiamo più bombardamenti di infrastrutture civili rispetto a prima. Stiamo perdendo colleghi: operatori sanitari, infermieri, medici, paramedici. Quest’anno, anche molti più operatori sanitari sono stati feriti rispetto al passato. Secondo i dati dell’Oms, i primi soccorritori e il trasporto sanitario hanno 3 volte più probabilità di subire danni dagli attacchi rispetto ad altro personale sanitario”.

Una “trappola” di Putin?

La propaganda russa comincia a far girare l’idea che L’incursione di Kiev in territorio russo sarebbe stata una “trappola” di Vladimir Putin ai danni di Volodymyr Zelensky. L’incursione nel Kursk dell’Ucraina sta dividendo gli analistiinternazionali tra chi sostiene che lo sconfinamento di Kiev sia una risposta efficace all’invasione di Mosca, e chi esprime dubbi sul senso di quest’azione, specie in ottica di eventuali perdite umane e di risorse militari, che potrebbero essere impiegate nel Donbass.

I media russi sostengono che Putin potrebbe avere campo più libero su altri fronti mentre l’Ucraina si concentra nel Kursk. Secondo fonti del ministero della Difesa russo, infatti, il leader del Cremlino potrebbe pensare a una nuova mobilitazione entro fine anno per “rimpinguare” il suo esercito.