Propaganda russa che diffonde annunci falsi sulla ricerca di camion frigoriferi a Sumy a causa delle “elevate perdite” dell’Ucraina nella regione di Kursk (ukrinform.net)

di Andriy Olenin
I propagandisti promuovono le loro narrazioni 
attraverso la pseudo-pubblicità e il blogger 
anti-ucraino di Pryluky
Nel mezzo dell’operazione dell’Ucraina nella regione russa di Kursk, l’esercito del paese aggressore perde territorio, materiale e manodopera e il suo personale militare si arrende in massa.
La propaganda russa cerca di “nascondere” i fallimenti russi sul campo di battaglia.

Ukrinform ha recentemente pubblicato un fact check che smentisce l’ennesimo falso dei propagandisti russi riguardo alle “enormi perdite” dell’Ucraina nella regione di Kursk. Sembra che questo sia l’argomento principale della campagna di disinformazione della Russia riguardo all’offensiva ucraina nella regione di Kursk.

Il nostro team ha scoperto che i media russi, i canali Telegram favorevoli alla guerra e i bot su stanno pubblicando foto di annunci pubblicitari che sarebbero stati scattati vicino a un ospedale di Sumy. Il testo afferma che l’amministrazione dell’ospedale è alla ricerca di camion refrigerati, presumibilmente a causa di “elevate perdite” nelle forze armate ucraine.

Questo è un falso. Il numero di telefono di contatto indicato in questi annunci appartiene presumibilmente a un uomo di nome Dmytro. Tuttavia, utilizzando l’applicazione mobile Getcontact, abbiamo scoperto che questo è il numero di telefono di una ragazza di nome Daria.

Ha detto a un corrispondente di Ukrinform che non ha pubblicato tali annunci. La ragazza ha detto che vive a Kiev e non è mai stata a Sumy.

Inoltre, la foto del frigorifero, che i propagandisti russi hanno utilizzato per creare un falso annuncio, è stata pubblicata in precedenza sul sito web di un negozio online russo.

Un altro falso, che i canali Telegram russi hanno iniziato a diffondere, è stato prodotto in Ucraina. In un video su TikTok, un blogger soprannominato oleksandr_inform racconta in ucraino, seduto nella sua auto, che l’esercito ucraino avrebbe subito “pesanti perdite” nella regione di Kursk e che gli obitori nella regione di Sumy sembrano essere sovraffollati.

Questo è un falso. Questo blogger di TikTok vive a Pryluky, nella regione di Chernihiv, e registra regolarmente video falsi e manipolati sulla situazione economica, la mobilitazione e la guerra in Ucraina.

Nei suoi numerosi video, tra cui quello sulle “perdite nella regione di Kursk”, non fornisce alcuna prova, ma esprime semplicemente la sua opinione personale non supportata.

La propaganda russa in precedenza aveva diffuso un falso su un sacerdote della Chiesa ortodossa ucraina che pregava per il riposo di Trump.

Ukrinform ha riferito in precedenza che le forze armate ucraine avevano preso il controllo di oltre 1.000 chilometri quadrati di territorio e dozzine di insediamenti nella regione di Kursk.

Il comandante in capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrskyi ha affermato che le truppe ucraine sono avanzate da 1 a 3 chilometri in alcuni settori della regione di Kursk.

Fantasie siberiane. Quando Lilin si è inventato tutto (lastampa.it)

Scusi, da che parte si trova Fiume Basso?
La mitica roccaforte degli Urca siberiani descritta da Nicolai Lilin nel suo Educazione siberiana (Einaudi) come la terra dove ha imparato il codice d’onore criminale, crescendo tra coltelli, pistole, icone e tatuaggi?
Gli abitanti di Bendery scrollano le spalle, poi suggeriscono di allontanarsi dal centro per un paio di isolati, nel «settore privato», come nella provincia ex sovietica si chiamano i quartieri di casette quasi rurali a uno-due piani, con orto e giardino. Ma è il quartiere dei siberiani? Denis Poronok è perplesso: «Chi sono? Mai sentiti».
Questa è la Transnistria, che nell’immaginario del lettore italiano si colloca a metà tra Corleone e Macondo. Una scheggia dell’impero sovietico tra l’Ucraina e la Moldova, che vive dal 1990 in un limbo giuridico e politico: falce e martello nella bandiera, guarda a Mosca, ma formalmente resta parte della Moldova, anche se si comporta con indipendenza.
La Siberia è lontana migliaia di chilometri, ma è qui che è nato il fenomeno letterario della stagione: la storia dell’adolescenza di Nicolai e della sua «famiglia» siberiana che animava una resistenza al regime con le armi in mano. Una storia descritta nei particolari, nomi, luoghi, circostanze, usi e costumi.
Tra i russi che hanno avuto modo di leggerla, la mitologia siberiana ha suscitato irritazione e perplessità. «La nostra è una città multietnica, russi, ucraini, moldavi, la zarina Caterina aveva mandato coloni tedeschi ed era numerosa la comunità ebraica. Ma i siberiani non si sono mai visti», dice Denis, fotografo e cameramen della tv locale. Una perplessità normale per i russi, per i quali i siberiani non sono un’entità separata, ma al massimo quei 36 milioni che abitano i 13 milioni di chilometri quadrati (tre volte l’Unione Europea) dagli Urali al Pacifico, composti da galeotti e scienziati, cacciatori indigeni e ingegneri dei pozzi petroliferi.
Secondo Lilin, gli Urca sarebbero una minoranza etnica «discendente degli antichi Efei» che viveva di caccia e rapina e che dalla Siberia venne deportata in Transnistria negli anni Trenta, quando era parte della Romania (sarebbe stata annessa all’Urss nel 1940, nella spartizione dell’Europa tra Stalin e Hitler). Così i comunisti avrebbero popolato «l’impero romeno», come lo chiama lo scrittore, di criminali russi sconfiggendo le cosche locali. «Assurdo», ride Pavel Polian, storico russo che da 25 anni studia le deportazioni di comunismo e nazismo: «Si deportava in Siberia, ma non dalla Siberia, meno che mai in Moldova. E gli Efei non sono mai esistiti». Anche degli Urca i dizionari etnografici non portano traccia. In compenso, vengono citati già nel 1908 nel vocabolario del gergo criminale di Trakhtenberg: urka, o urkagan, criminali di professione, ladri, bari, rapinatori. Una parola antica, un esercito criminale che dalle pagine di Solzhenitsyn, Shalamov e Herling appare dotato di una ferocia disumana, usato nel Gulag contro i detenuti politici.
Oggi i loro eredi preferiscono chiamarsi «vory», ladri. La «famiglia» di Lilin potrebbe essere una scheggia di quel mondo? «Non ho mai sentito parlare di una mafia siberiana separata con quelle tradizioni», dice Federico Varese, professore di criminologia a Oxford e uno dei massimi esperti di mafia russa. E l’arte segreta dei tatuaggi? «Fa parte della subcultura dei “vory”, con particolare enfasi sulle madonne, negli Urali esistono cosche “blu”, dal colore dell’inchiostro sulla pelle», dice Mark Galeotti, professore alla New York University che studia la criminalità postsovietica. «Ma sono comuni a tutti i criminali russi».
Secondo Lilin l’esistenza stessa degli Urca era un segreto del regime: una comunità quasi estinta, che aveva lasciato un segno profondo, vincendo da sola la guerra del 1992, quando la Moldova in preda a bollenti spiriti postsovietici ha invaso la provincia separatista. In Educazione siberiana si narra del trionfo dei «siberiani», riusciti a far esplodere uno dei due cinema di Bendery pieno di militari. Marian Bozhesku, ricercatore ucraino autore di Transnistria 1989-1992, lo studio più esaustivo sul conflitto, dice di non averne mai sentito parlare. «Per noi il ricordo della guerra è ancora vivissimo, abbiamo combattuto disperatamente, dire che sono stati i criminali a vincerla è ridicolo», s’indigna Denis Poronok, che ha la stessa età di Lilin e contesta la «versione di Nicolai»: «Il cinema esploso è una fiaba, e nel ’92 a Bendery c’erano quattro sale, non due».
La Macondo dei siberiani moldavi si sgretola così, un mondo dove geografia e storia diventano fiction. Resta la storia di un ragazzo cresciuto in periferia tra gang e degrado. Una biografia nella quale molti russi si riconoscerebbero. Ma Bendery è una città piccola, 80 mila abitanti dove tutti si conoscono. Conoscono anche Nicolai (anche se all’epoca portava un altro cognome), si ricordano i suoi genitori e il nonno Boris, «grande persona, ha lavorato fino all’ultimo», dice un coetaneo dello scrittore. Si frequentavano quando erano ventenni, è stato anche a casa sua: «Non c’erano icone, nè armi, nessun oggetto “siberiano”. Lui era uno curioso, leggeva molto». Nulla di criminale? «Mai sentito che fosse stato in galera, anzi si diceva che a un certo punto si fosse arruolato nella polizia».
L’ha rivisto quando Nicolai è tornato a casa, l’anno scorso, accompagnato da un italiano che presentava come produttore tv: «Voleva girare un film sulla Transnistria, diceva che in Italia ne hanno l’idea sbagliata di un luogo orribile, voleva mostrare che siamo gente normale, certo non stiamo benissimo, ma nemmeno così male. Gli avevo presentato artisti, intellettuali, giornalisti». Tra i quali anche Denis: «Mi aveva invitato in Italia a fare una mostra fotografica. Ora che ci penso, se ci fossi andato mi avrebbe spacciato per un Urca siberiano, tanto non avrei capito nulla».

Complottismo. L’effetto Foegen e Armando Manocchia (butac.it)

Era da tanto che non ci veniva segnalato il sito di Armando Manocchia, Imola Oggi, così tanto che credevamo avesse chiuso.

Ma in realtà il sito, online dal 1997, è sempre stato attivo, solo meno visibile ai nostri lettori attuali, probabilmente più avvezzi a TikTok che al web 1.0, fatto di indirizzi url e home page da scrollare.

Ma la segnalazione che ci avete inviato è interessante, in quanto ci permette di parlare di una teoria pseudoscientifica venuta fuori durante la pandemia, l’effetto Foegen, citato da Manocchia nel suo articolo dal titolo:

La mascherina nuoce gravemente alla salute: “Effetto Foegen”

L’articolo di Imola Oggi riporta:

L’Oms, senza il minimo senso del pudore – quindi senza vergogna, perché la vergogna è un sentimento che prova solo chi ha dignità – consiglia ancora di indossare la mascherina. E su questo è opportuno dire e ribadire che ognuno può fare ciò che vuole; noi siamo per la libertà di scelta e ognuno può scegliere anche come e quando morire. Ma affinché un individuo possa decidere autonomamente, ci preme far sapere che chi consiglia, raccomanda o addirittura impone l’uso di queste “protezioni”, mente sapendo di mentire e lo fa perché sa che, purtroppo, il mondo è ancora pieno di persone ignare o affette da dabbenaggine, gente ipnotizzata dalla propaganda che, nonostante i milioni di morti e di invalidità gravi e permanenti, crede ancora a questi imbonitori governativi, a organizzazioni sanitarie corrotte, coadiuvati da medici spregiudicati, sicari mediatici, professionisti della mistificazione e della menzogna, opinionisti e virostar.

E poco sotto:

Le mascherine fermano le droplets (goccioline di saliva), che sono cariche di virus e che possono venire re-inalate con un aumento della carica virale: secondo la rivista “Medicine”, questo si chiama “Effetto Foegen” (REINALAZIONE profonda di goccioline ipercondensate o virioni puri) che potrebbe causare un aumento della mortalità soprattutto negli anziani ed in chi ha affezioni respiratorie pre-esistenti.

L’effetto Foegen di cui si parla è una teoria pseudoscientifica che afferma per l’appunto che l’uso della mascherina potrebbe aumentare la mortalità a causa della re-inspirazione di particelle virali, un concetto che non trova supporto nella letteratura scientifica degna di tale nome.

Vi riportiamo dalle pagine della McGill University:

Where does the name “Fögen effect” come from? Why, it comes from Dr. Zacharias Fögen, the sole author on this paper. On his website, Dr. Fögen describes himself as “a doctor from Kassel, Germany.” He has a page on ResearchGate, where researchers list their scientific publications, and his sole contribution is the present paper (accompanied by three preprints that are versions of this paper). A search on PubMed of his name only returns the current paper. Said paper declares that every aspect of this study, from its conceptualization to its writing, reviewing and editing, was done solely by Dr. Fögen. And he named the effect after himself.

Che tradotto:

Da dove deriva il nome “effetto Fögen”? Deriva dal dott. Zacharias Fögen, l’unico autore di questo articolo. Sul suo sito web, il dott. Fögen si descrive come “un medico di Kassel, Germania”. Ha una pagina su ResearchGate, dove i ricercatori elencano le loro pubblicazioni scientifiche, e il suo unico contributo è il presente articolo (accompagnato da tre preprint che sono versioni di questo articolo). Una ricerca su PubMed del suo nome restituisce solo l’articolo attuale. Detto articolo dichiara che ogni aspetto di questo studio, dalla sua concettualizzazione alla sua stesura, revisione e modifica, è stato svolto esclusivamente dal dott. Fögen. E ha chiamato l’effetto con il suo nome.

Come sa chiunque abbia approfondito un minimo come funziona la scienza, non è che io domani mi invento una teoria, pubblico un testo e la battezzo col mio nome, al massimo le do un nome generico e tra anni – se quella teoria si dimostrasse fondata e io fossi l’unico ad averla sostenuta – qualcuno potrebbe decidere di chiamarla col mio nome.

Il comportamento del “dottor” Zacharias Fögen è davvero inusuale, oserei dire un filo egocentrico, ma più che altro manca di fondamento – difatti, come riportato dagli autori della McGill, lo studio ha vari problemi metodologici, che abbiamo riassunto con l’aiuto di ChatGPT.

  • Fallacia ecologica: Lo studio di Foegen utilizza dati a livello di popolazione (contee del Kansas) per arrivare a delle deduzioni, ma è un errore noto come fallacia ecologica. Questo significa che, anche se una area con obbligo di mascherina mostra più morti per COVID, non è possibile concludere che le mascherine siano la causa, poiché non abbiamo informazioni su come le persone in quella contea hanno effettivamente utilizzato le mascherine.

  • Correlazione vs causalità: Lo studio confonde correlazione e causalità. Il fatto che ci siano stati più decessi nelle contee con obbligo di mascherina non implica che le mascherine siano la causa. Molti altri fattori potrebbero influenzare i tassi di mortalità, come la capacità degli ospedali o la quantità di virus circolante.

  • Problemi di controllo delle variabili: Lo studio non tiene conto di variabili importanti come il livello di diffusione del virus, la gestione dei grandi raduni di persone o la capacità sanitaria locale, che possono influenzare i risultati più delle mascherine stesse.

  • Affidabilità generale: L’idea che le mascherine peggiorino il COVID-19 non è supportata da studi epidemiologici più ampi e robusti. Al contrario, la maggior parte delle ricerche mostra che le mascherine riducono la trasmissione del virus.

L’affermazione che le mascherine causino gravi danni alla salute è stata più volte smentita da studi scientifici e da organizzazioni sanitarie affidabili, che hanno dimostrato l’efficacia delle mascherine nel ridurre la trasmissione del virus, soprattutto in contesti ad alto rischio. Il cosiddetto “Effetto Foegen” non è riconosciuto dalla comunità scientifica, e l’idea che le mascherine siano armi di controllo o causino un aumento della mortalità è infondata.

Imola Oggi purtroppo sfrutta la propria popolarità tra sovranisti e populisti per diffondere l’ennesimo tassello disinformativo che contribuirà alla diffusione di questa ondata di Covid anche nel nostro Paese.