di Massimiliano Coccia
Ubriachi di propaganda
Federica Onori, deputata di Azione uscita dal M5s, denuncia la debolezza del nostro sistema politico informativo di fronte alle fake news diffuse dal Cremlino.
«Il prezzo più caro lo pagano il Paese e l’opinione pubblica», dice a Linkiesta
Federica Onori, deputata di Azione, lei è uscita dal Movimento 5 Stelle (M5s) per il posizionamento sulla politica estera. Ci può raccontare chi decide la linea del Movimento su questi argomenti? Solo tattica e posizionamento per prendere fette di elettorato?
Sono stata nel gruppo dei Cinquestelle alla Camera per poco più di un anno e per buona parte del tempo con il ruolo di capogruppo in Commissione Esteri. Ma dopo un anno e tre mesi di legislatura ho capito che non era più possibile per me rimanere nel gruppo.
La distanza su diversi temi della politica estera e comunitaria dalla guerra russa in Ucraina, al Mes, alla difesa del Paese, era diventata incolmabile. Evidentemente c’è chi ha potuto conoscere la realtà del Movimento meglio di me, ma per quello che ho potuto vedere mi è sembrato che lo staff della comunicazione avesse una grandissima importanza. A volte, almeno per quanto concerne la politica estera, sembrava che i ruoli tra chi siede in Parlamento e chi lavora nella comunicazione fossero proprio invertiti.
Ad esempio, quando intervenni in aula alla Camera sugli eventi del 7 ottobre, dovetti presentare in anticipo il mio intervento scritto alla comunicazione e ottenere il loro nullaosta. Se non lo avessi fatto non avrei potuto prendere la parola. Il video del mio intervento, che è stato poi messo sui social del M5s, fu comunque tagliato nella parte in cui dicevo “Il No ad Hamas deve essere senza se e senza ma”. Forse alla comunicazione quella frase non era piaciuta.
Durante il governo gialloverde, i Cinquestelle spinsero il nostro Paese nelle braccia della Russia e della Cina. Cosa è successo poi?
Conte era sembrato essere la persona giusta per traghettare il M5s, dopo un’intensa esperienza di governo, in una fase di maturità. Una fase in cui si potesse conciliare l’antico e nobile intento di riavvicinare le persone alla politica con la necessità di recidere i legami con galassie estremiste o stravaganti, come era stato fatto con quella dei Novax durante la pandemia. Molti ci sono cascati, ed io sono stata tra questi. Anche se il mio caso può forse fare poco testo, non avendo io una lunga esperienza politica alle spalle.
Penso però alle parole di Nicola Zingaretti, ex segretario del partito democratico ed ex governatore del Lazio che si era spinto a definirlo “punto di riferimento fortissimo dei progressisti”, dovendosi poi rimangiare quelle parole mille volte. È come quando si guarda un acquario vuoto ma molto molto sporco. Serve solo il tempo necessario a che si depositi sul fondale il materiale sospeso per accorgersi che dentro, in realtà, non c’è nulla. Che era solo acqua sporca. Quando tutto è chiaro, però, si deve anche avere il coraggio di unire i punti. E non sono pochi, questioni rimaste in gran parte irrisolte come la missione “Dalla Russia con amore”.
Per chi non lo ricordasse, anche se è tutto sulla stampa, durante la pandemia Conte aveva preso accordi al telefono direttamente con Putin, stranamente senza passare per il Consiglio dei Ministri, per far arrivare in Italia un contingente russo comprendente medici ma soprattutto militari. Dico soprattutto perché si seppe solo dopo che i medici erano solamente circa il trenta percento e che il restante del contingente fosse invece costituito di militari. Conte ha dichiarato che serviva per aiutare l’Italia nel momento più difficile della pandemia.
Ma non è ancora chiaro perché allora i russi insistevano cosi tanto per andare, ad esempio, in Puglia dove il virus praticamente non c’era, ma in compenso c’è ad Amendola, in provincia di Foggia, il più grande aeroporto militare d’Italia, dov’è di stanza il 32.mo stormo con le macchine tecnologicamente più avanzate, ovvero gli F-35. Sulla Cina invece, il discorso mi pare molto chiaro. Prendiamo la Via della seta (Bri) ad esempio. A seguito dell’accordo, l’export italiano in Cina è cresciuto in minima parte mentre quello cinese in Italia è esploso, tanto da portare il deficit dell’Italia verso la Cina a toccare il suo record. Addirittura, in questi anni, ci sono stati maggiori investimenti cinesi in Paesi europei (come Regno Unito, Germania e Francia) che non avevano firmato l’accordo.
Se all’inizio, forse, ancora si poteva discutere dell’opportunità o meno di questa mossa, credo che a fronte dei dati nessuno possa dire che la Bri sia stata conveniente per l’Italia. Tra l’altro, anche questo dobbiamo dirlo, Conte firmò questo accordo, che pure aveva valenze geopolitiche e di posizionamento internazionale importanti, senza passare per il parlamento, senza che ci fosse dibattito parlamentare. Proprio come ha fatto Meloni quando, nel dicembre, 2023 l’ha reciso.
Qualche giorno fa, Maria Zakharova prima e Nicolai Lilin poi, hanno attaccato i giornalisti Rai che hanno attraversato il confine ucraino e hanno seguito le truppe di Kyjiv a Kursk. In particolare lo scrittore moldavo ha dichiarato «vi siete scavati la fossa da soli». Non ha notato uno strano silenzio da parte del mondo della cultura e dell’informazione intorno queste parole? L’Ucraina è sconveniente sia dentro che fuori il palazzo?
Le parole di Nicolai Lilin in cui nella pratica si trova a minacciare di nostri i nostri giornalisti, tra l’altro con modi e toni mafiosi, sono a dir poco vergognose. Presenteremo interrogazioni parlamentari su questa vicenda e non lasceremo che passi inosservata. Ma vergognoso è anche il fatto che questo personaggio sia stato invitato per anni in importanti salotti televisivi a parlare della guerra russa in Ucraina, e che abbia avuto così tanto spazio per inquinare il dibattito pubblico nel nostro Paese.
E per rispondere alla sua domanda, sì sembra che in certi ambienti, politici, ma anche e soprattutto culturali, sia sconveniente criticare troppo la Russia. Non dobbiamo dimenticare che la Russia, anche se, non soprattutto, quella di Putin, ha goduto da sempre di ottime relazioni in Italia, a sinistra come a destra. Abbiamo avuto il più grande partito comunista in Europa, e questo ha lasciato segni evidenti anche nel mondo intellettuale.
D’altra parte, Berlusconi aveva un rapporto intimo con Putin, e la Lega di Salvini aveva siglato perfino un accordo di cooperazione con il partito di Putin. Importanti esponenti del M5s, inoltre, partecipavano ai congresso di Russia Unita, il partito di Putin. Per quanto riguarda Conte, all’inizio aveva fatto sperare in una discontinuità in questo senso.
Penso al fatto che, subito dopo l’aggressione russa su vasta scala dell’Ucraina, il M5s aveva votato a favore del primo pacchetto di sostegno militare, e che il senatore Vito Petrocelli, Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato, che poi esplicitò le sue posizioni filorusse, venne espulso per aver scritto un post con la “Z”, simbolo dell’invasione della Russia in Ucraina.
Col tempo si è fatta poi strada una posizione “pacifista”, dapprima ponendo maggiore accento sullo sforzo diplomatico e un maggior coinvolgimento del parlamento italiano, ma che poi prese sempre più le forme di una giustificazione delle azioni di Putin e di un’adesione totale ad una narrazione totalmente antioccidentale. Fino a dover prendere tristemente atto del fatto che Andrea Lucidi, definito da molte testate come tra i più prolifici diffusori della propaganda pro Cremlino in lingua italiana arrivi a rallegrarsi sui suoi canali social delle posizioni di Conte e del Movimento.
L’Italia è vittima di un mulinello di disinformazione molto forte e le soluzioni non sembrano esser molte. Che idea si è fatta?
Forse ci sono banalmente troppe persone che guadagnano da una continua disinformazione. E il prezzo più caro lo pagano proprio il Paese e l’opinione pubblica. Mi spiego meglio: invitare in tv un personaggio come Nicolai Lilin o il professor Alessandro Orsini o presunti filosofi che parlano di “turbocapitalismo” procura solitamente dibattiti molto accesi che spesso sconfinano in veri e propri scontri tv che portano ascolti.
Dall’altra parte ci sono poi certi partiti “pacifisti”, che scelgono scientemente di rompere il fronte europeo di supporto all’Ucraina – e creare una crepa in cui Putin potrà facilmente insinuarsi – perché questo può portare loro dei voti.
O almeno questo è quello che dice loro la comunicazione. E in mezzo a questo rimpallo di cattivo, pessimo giornalismo e politica che cerca il facile consenso ci sono le persone. Quelle che ancora vorrebbero provare ad informarsi, che però vengono prese in giro da chi tutto ha a cuore tranne che fare in modo dignitoso il proprio lavoro e il bene del Paese.
Come si può arginare questa continua opera di mistificazione?
Bisogna certamente agire su più piani. Iniziando banalmente col parlare con costanza del tema, come fanno già alcune testate come la vostra. Proprio per questo ad esempio, il mese scorso ho promosso alla Camera, insieme con la Federazione Italiana dei Diritti Umani (Fidu), un evento sulla alfabetizzazione digitale, ovvero quell’insieme di competenze che servirebbero ai cittadini per orientarsi nell’infosfera che li circonda, distinguendo agevolmente tra un fatto e un’opinione o tra una fonte autorevole e una che non lo è.
L’evento è stato molto apprezzato e contiamo di continuare a lavorare in questa direzione, con tutte quelle realtà che si occupano di diritto ad una corretta informazione. In Commissione Esteri avevo poi proposto, ormai diversi mesi fa, un approfondimento con un ciclo di audizioni sulle ingerenze straniere e la disinformazione.
Spero nella collaborazione di tutti i colleghi perché si possa partire al più presto almeno con questa fase di acquisizione di informazioni sull’argomento. Nonostante poi oggi ci si informi molto anche su internet, un ruolo importantissimo continua ad averlo la tv. Diversi analisti o giornalisti molto preparati hanno deciso di non accettare più inviti in tv per non dover partecipare a quel “combattimento tra polli” che sono ormai diventate molte trasmissioni.
Ecco, questa è una grande perdita, perché abbiamo invece un gran bisogno di voci autorevoli che possano contrastare le fake news e la disinformazione. In questo senso, sarebbe forse utile la presenza di fact-checker in studio per verificare in diretta almeno una parte delle cose che vengono dette. E prevedere anche spazi per eventuali correzioni o rettifiche di inesattezze dette nella puntata precedente, che non si sia riusciti a verificare al momento.
Non voglio sostituirmi agli autori televisivi, sia chiaro! Ma non possiamo permetterci di continuare a prendere questo argomento sotto gamba. C’è una cosa poi sulla quale tutti possiamo fare molto: non guardare quelle trasmissioni tv dove vengono continuamente invitati personaggi che fanno chiaramente propaganda per le dittature. La reputazione è un bene non solo etico, ma anche economico. Meno persone guarderanno queste trasmissioni, meno sponsor saranno disposti a pagare la loro pubblicità in quegli spazi televisivi.
Il grimaldello politico per giustificare posizioni di allineamento a Putin è il pacifismo o presunto tale. È innegabile che c’è bisogno di pace e di una pace giusta, ma secondo lei la politica italiana è consapevole della partita in gioco?
Credo ci sia chi ignora molto della politica estera, e chi sceglie deliberatamente di non approfondire per facilitarsi la vita. C’è anche chi pensa che le posizioni di politica estera siano tutto sommato meno rilevanti di altre (la giustizia sociale, la sostenibilità ambientale, etc..) Ma non è affatto così.
Lei è eletta tra le fila degli italiani all’estero. La nostra debolezza nei confronti della propaganda russa come viene vissuta dai nostri connazionali?
Essere in costante contatto con chi vive all’estero aiuta a farsi un’idea di come stiano le cose in Italia, sia dal punto di vista politico che dell’informazione. L’opinione pubblica italiana è tra le più ricettive e penetrabili alla propaganda russa.
Siamo ad esempio tra i più inclini a giustificare le violazioni del diritto internazionale di Putin, a vedere il sostegno militare a Kyjiv come un modo per prolungare la guerra (proprio come dice Putin) piuttosto che come un giusto sostegno ad un Paese invaso militarmente oltre che ad un messaggio di deterrenza, nel caso non remoto che Putin pensasse di poter fare la stessa cosa in Georgia o in Moldova, con grande detrimento della stabilità della regione europea e del suo sviluppo economico e sociale.
È come se ci fosse una forma di isolamento dagli altri grandi Paesi europei, che è innanzitutto culturale. E un Paese fondatore dell’Unione europea davvero non potrebbe permetterselo. A questo scopo credo davvero sarebbe utile incoraggiare canali tv europei che si possano vedere in chiaro. Così come promuovere una più ampia partecipazione dell’Italia a progetti come quello di Arte.Tv, una rete televisiva franco-tedesca a vocazione europea di servizio pubblico. Un canale che tratta estesamente anche temi di politica internazionale dal punto di vista delle società. Sono convinta ci farebbe molto bene.