QUEGLI ATTI DI VIOLENZA ANTISEMITA (corriere.it)

di Paolo Mieli

L’insensibilità

Non fosse stato per lo scontro tra Israele e Hezbollah ai confini del Libano e per l’affiliato siriano all’Isis che a Solingen ha ucciso tre persone, forse i media avrebbero dato maggior risalto al tentato incendio della sinagoga della Grande-Motte in Camargue per il quale è sospettato un trentatreenne algerino.

O forse no. Ormai ci si è quasi abituati a considerare questi atti di violenza contro ebrei e istituzioni giudaiche come una ritorsione, per così dire, fisiologica dei torti fatti ai palestinesi. Soprattutto a sinistra è sempre più raro che gli atti di antisemitismo vengano stigmatizzati con il tono che tale stigmatizzazione meriterebbe.

Come se l’orrore che coloro i quali (come chi scrive) provano per le vittime di Gaza avesse partorito per vie naturali indifferenza o, peggio, una diffusa insensibilità nei confronti degli atti ostili agli israeliti da ogni parte del mondo. Incredibile. Eppure, è così. L’ebreo che va a pregare in una sinagoga della Camargue per qualcuno è «colpevole» di quel che accade a Gaza. E merita di morire nel fuoco.

Tutto ciò è iniziato ben prima del 7 ottobre 2023. Poi le cose sono peggiorate. Un censimento per necessità incompleto di sinagoghe date alle fiamme all’indomani del pogrom d’inizio ottobre prende le mosse dalle bombe incendiarie scagliate, dieci giorni dopo la strage, contro Kahal Adass Jisroel (Berlino).

P oi è stata la volta delle sinagoghe di Varsavia, Madrid, Malmö (Svezia), Tilburg (Olanda), Trappes (Francia), Duchère (Lione), Rue de Bons enfants (a Rouen, ma qui l’attentatore fu «neutralizzato» per tempo), Makhachkaia e Derbent (in Daghestan, dove è stata incendiata anche una chiesa ortodossa), Pomona alla periferia di New York.

Altrettanto incompleto è l’elenco di città e Paesi in cui cimiteri israelitici sono stati vandalizzati: New York, Salonicco, Francia, Germania, Belgio, Danimarca, Ungheria, Ucraina, Moldavia, Bulgaria, Finlandia, Romania, Polonia. Il record spetta al Sudafrica (tre in una settimana). Purtroppo, ce n’è stato anche per l’Italia (Mantova, Musicco).

Massiccio è poi il numero dei monumenti dedicati alla Shoah che hanno subito analoga sorte. Incalcolabile la quantità di bambini e ragazzi ebrei bullizzati solo perché non nascondevano la loro appartenenza religiosa. «Le Parisiene» ha pubblicato un sondaggio Ifop secondo il quale «il 91% degli studenti ebrei in Francia è stato vittima di un atto antisemita durante il percorso scolastico di quest’anno».

«Le Figaro» ha documentato come, conseguentemente, i bambini francesi di religione israelitica stiano «abbandonando massicciamente l’istruzione pubblica». Per «motivi di sicurezza». L’Osservatorio italiano sull’antisemitismo ha calcolato che in tutta Europa gli atti ostili agli ebrei — già in costante aumento, come si è detto, prima del 7 ottobre — sono cresciuti del 400 per cento.

Fortunatamente non tutta la sinistra europea si è mostrata insensibile al tema. In Italia una consistente parte del Pd ha dato prova di attenzione a questo genere di violenza che, ad ogni evidenza, non può trovare giustificazione nella volontà di contrastare questo o quell’atto del governo israeliano.

Il 14 gennaio 2024 Keir Starmer, non ancora premier ma già leader del Labour, partecipando alla giornata del Movimento laburista ebraico, è stato assai preciso: «Non vogliamo incoraggiare l’idea che l’antisemitismo britannico sia nato il giorno dopo il 7 ottobre… In questo partito sappiamo amaramente che non è vero».

Dopodiché ha così rassicurato l’uditorio: «Non permetteremo mai che l’antisemitismo torni a insinuarsi nel Partito laburista». Laddove agli astanti è stato chiaro che l’uso di quei verbi («non permetteremo che torni ad insinuarsi») intendeva rendere esplicito che, a giudizio di Starmer, fino a poco tempo fa quel morbo aveva infettato il partito. Almeno in parte.

Perfino il leader di «France Insoumise» Jean-Luc Mélenchon, che certo non può essere definito un simpatizzante della causa di Netanyahu, alla vigilia delle elezioni del giugno scorso, ha costretto al ritiro il candidato di Loir-et-Cher, Reda Belkadi, nel momento stesso in cui sono venuti alla luce alcuni suoi tweet esplicitamente antisemiti. E lo ha espulso dal partito.

Qui da noi, un riconoscimento particolare va a Tomaso Montanari — per le cui posizioni su Israele vale lo stesso discorso fatto a proposito di Mélenchon — il quale, sul «Venerdì» di «Repubblica», ha stigmatizzato un atto di vandalismo con cui è stato oltraggiato il monumento di Amsterdam dedicato ad Anna Frank.

Con quell’atto, ha messo in guardia il rettore dell’Università per stranieri di Siena, «si varca il confine tra l’antisionismo (che Montanari apprezza, ndr. ) e l’antisemitismo». Questi monumenti, ha scritto Montanari, «abitano il nostro spazio come un vaccino, come un monito … ridurli al silenzio significherebbe ridare voce ai carnefici, alle loro criminali ideologie che oggi tornano al potere in Europa».

Fossimo stati in lui, avremmo evitato questa postilla. Il fuoco ad una sinagoga, la deturpazione di un cimitero israelitico, il danno a un monumento che ricordi lo sterminio degli ebrei, le molestie (o peggio) a ragazzi con la kippah, andrebbero considerati come una mostruosità in sé. Punto.

Indipendentemente da chi è al potere o potrebbe andare al potere in questo o quel Paese europeo.

Non è vero che nessun Paese Ue ha lo ius scholae (pagellapolitica.it)

di Carlo Canepa

Cittadinanza

Il ministro Matteo Piantedosi non dice la verità: per esempio in Grecia e in Portogallo la cittadinanza può essere data sulla base del percorso scolastico

Il 23 agosto, in un’intervista con Il Giornale, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha commentato il dibattito su una possibile riforma della legge che regola la concessione della cittadinanza italiana agli stranieri, in particolare ai bambini.

Nei giorni precedenti il leader di Forza Italia Antonio Tajani ha detto infatti che il suo partito è disponibile a discutere in Parlamento dell’introduzione in Italia dello ius scholae (dal latino, “diritto di scuola”). In base a questo principio, la cittadinanza italiana sarebbe concessa agli stranieri che hanno frequentato le scuole o concluso uno o più cicli di studio nel nostro Paese (i requisiti precisi devono essere contenuti in una legge approvata dal Parlamento).

Piantedosi ha dichiarato che «ogni dibattito pubblico sul tema è pienamente legittimo», ma alla domanda dell’intervistatrice Hoara Borselli: «In Europa nessuno applica lo ius scholae o sbaglio?», il ministro dell’Interno ha risposto: «Non sbaglia». Il giorno successivo, in un’intervista con Libero, anche il sottosegretario al Ministero dell’Interno Nicola Molteni (Lega) ha ribadito lo stesso concetto, dicendo che «il modello dello ius scholae non esiste in nessun Paese europeo».

Per controllare se questa dichiarazione è supportata dai fatti oppure no, abbiamo analizzato le leggi che nei 27 Stati membri dell’Unione europea regolano la concessione della cittadinanza agli stranieri. Sia Piantedosi sia Molteni sbagliano: non è vero che nessun Paese Ue ha lo ius scholae.

I vari ius

Prima di analizzare quali Paesi hanno una qualche forma di ius scholae, è utile mettere un po’ d’ordine tra i termini usati più di frequente nel dibattito politico, il cui significato può non essere noto a tutti.

In Italia la concessione della cittadinanza è regolata dalla legge n. 91 del 1992, che in oltre trent’anni è stata modificata solo marginalmente. Questa legge stabilisce che chi ha almeno un genitore italiano acquisisce alla nascita la cittadinanza italiana.

Questo è il principio dello ius sanguinis (dal latino, “diritto di sangue”), che si contrappone allo ius soli (dal latino, “diritto di suolo”): in base a questo secondo principio, chiunque nasce nel territorio di uno Stato diventa cittadino di quello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.

Lo ius soli è diffuso soprattutto in Paesi del Nord e Sud America, come gli Stati Uniti e l’Argentina, mentre nell’Ue esistono forme di ius soli con vincoli aggiuntivi. Per esempio un bambino nato in Francia da genitori stranieri ottiene alla nascita la cittadinanza francese se almeno uno dei genitori è nato in Francia (questo principio è chiamato “doppio ius soli”).

La legge n. 91 del 1992 stabilisce poi altri modi con cui gli stranieri possono ottenere la cittadinanza italiana. Per esempio uno straniero maggiorenne può ricevere la cittadinanza dopo aver vissuto legalmente per dieci anni in Italia, mentre un bambino straniero nato nel nostro Paese può ottenerla solo una volta compiuti 18 anni, se fino a quell’età ha risieduto legalmente in Italia senza interruzioni.

Negli ultimi anni il dibattito politico si è concentrato su quest’ultimo requisito, in particolare sulla possibilità di concedere la cittadinanza italiana sulla base di un altro ius, chiamato ius culturae (dal latino, “diritto di cultura”) o ius scholae (dal latino, “diritto di scuola”). Come suggeriscono i due nomi, sia lo ius culturae sia lo ius scholae legano la concessione della cittadinanza all’aver frequentato le scuole in Italia.

Di ius culturae si è parlato soprattutto a proposito della proposta di legge approvata nel 2015 dalla Camera, poi bloccata al Senato. Tra le altre cose, questa riforma proponeva che i bambini stranieri arrivati in italia prima dei 12 anni di età potessero ottenere la cittadinanza italiana dopo aver frequentato cinque anni di scuola nel nostro Paese.

Questa è una delle possibili forme che potrebbe prendere lo ius culturae (o scholae). Nel 2014 la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si era espressa a favore dello ius culturae, ma inteso in un senso più restrittivo. All’epoca, secondo l’attuale presidente del Consiglio, la cittadinanza italiana andava data ai minori stranieri che avessero finito la scuola dell’obbligo in Italia, che va dai sei ai 16 anni di età.

Di ius scholae si è parlato con più insistenza nella scorsa legislatura, quando è stata discussa alla Camera – senza essere approvata – una proposta di legge che chiedeva di concedere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che avessero concluso un ciclo di studi in Italia (per esempio, dopo aver finito le scuole elementari o le scuole medie).

È bene sottolineare che quando in questi giorni si parla di ius scholae o culturae, non necessariamente si fa riferimento alle proposte di legge del passato o a una precisa proposta di legge presentata in Parlamento dopo le elezioni del 2022.

Fino a oggi, in questa legislatura sono state presentate varie proposte per cambiare la legge sulla cittadinanza italiana, con lo ius scholae declinato in modi diversi. Proprio in modi diversi questo principio è adottato in alcuni Paesi europei, sebbene siano una minoranza.

Dove c’è lo ius scholae

Come detto, per verificare le dichiarazioni del ministro Piantedosi e del sottosegretario Molteni abbiamo analizzato le norme sulla cittadinanza nei 27 Paesi Ue. Partiamo dagli altri tre grandi Paesi, ossia dalla Germania, dalla Francia e dalla Spagna.

Di recente, abbiamo spiegato in un altro articolo che la legge italiana per la concessione della cittadinanza ai bambini stranieri ha i requisiti più stringenti tra i quattro grandi Paesi Ue. Detto altrimenti, in Germania, Francia e Spagna i minori stranieri possono ottenere più facilmente la cittadinanza tedesca, francese o spagnola.

Germania, Francia e Spagna non legano però la concessione della loro cittadinanza al sistema scolastico, come vorrebbero i sostenitori dello ius scholae, anche se ci sono un paio di eccezioni. In Francia un minore straniero che ha vissuto nel Paese dall’età di sei anni può ottenere la cittadinanza da maggiorenne se ha concluso la scuola dell’obbligo in Francia e se ha un fratello o una sorella che possiede già la cittadinanza francese.

In Germania i tempi per ottenere la cittadinanza tedesca possono essere ridotti se si dimostra «un livello eccezionale di integrazione», per esempio con il raggiungimento di «risultati eccellenti a scuola».

Il principio dello ius scholae è comunque presente in una qualche forma in altri quattro Paesi Ue. L’esempio più vicino alle proposte di legge fatte negli scorsi anni in Italia è la Grecia. Qui l’articolo 1 della legge che regola la concessione della cittadinanza è molto simile a quello della legge italiana: chi ha almeno un genitore greco ottiene alla nascita la cittadinanza greca.

Ci sono poi due norme che permettono a un minore straniero di ottenere la cittadinanza greca sulla base della sua frequentazione del sistema scolastico greco. Se un bambino straniero nasce in Grecia da almeno un genitore che ha vissuto regolarmente nel Paese nei cinque anni precedenti, può chiedere (art. 1a) la cittadinanza greca quando dimostra di essersi iscritto al primo anno delle scuole elementari.

Un bambino straniero non nato in Grecia, invece, può ottenere (art. 1b) la cittadinanza greca dopo aver completato con successo nove classi di istruzione primaria e secondaria o sei classi di istruzione secondaria. Come è evidente, questo è a tutti gli effetti un caso di legge sulla cittadinanza che contiene lo ius scholae.

In Portogallo un minore straniero può ricevere (art. 6) la cittadinanza portoghese, una volta raggiunti i 16 anni di età, se ha frequentato almeno un anno di istruzione prescolare o di istruzione di base, secondaria o professionale. Anche in questo caso la richiesta della cittadinanza è legata all’aver frequentato le scuole portoghesi.

In altri due Paesi la concessione della cittadinanza può essere concessa agli adulti stranieri sulla base del loro percorso di studi. In Lussemburgo un adulto straniero può chiedere (art. 27) la cittadinanza lussemburghese se vive almeno da un anno nel Paese e se ha completato almeno sette anni di scuola pubblica o privata nel Lussemburgo.

La legge sulla cittadinanza in Slovenia consente (art. 12) di diventare sloveno agli stranieri che hanno frequentato e completato con successo almeno un programma di istruzione superiore nel Paese, a patto che abbiano vissuto in Slovenia per almeno sette anni, di cui almeno ininterrottamente un anno prima della presentazione della richiesta di cittadinanza.

Ricapitolando: non è vero come dicono il ministro Piantedosi e il sottosegretario Molteni che il principio dello ius scholae non è presente in nessun Paese europeo.

Questo principio può essere declinato in vari modi e, in una qualche forma, è presente in Grecia, Portogallo, Lussemburgo e Slovenia.

Cieca obbedienza, negazionismo climatico e distruzione dello Stato di diritto: i video di indottrinamento della destra di Trump (valigiablu.it)

di

Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali 
americane, cresce sempre di più il sentire comune 
che il 5 novembre 2024 segnerà il corso della 
politica non solo statunitense ma globale. 

Uno dei temi della campagna elettorale indica tra le poste in palio per quella data qualcosa di molto più grande della presidenza degli Stati Uniti: la concezione stessa di democrazia.

Lo stesso Trump lo ha lasciato intendere senza mezzi termini: “Se votate per me non avrete più bisogno di votare”.

In questo clima è arrivato lo scoop della testata investigativa ProPublica, che ha pubblicato in esclusiva sul proprio canale YouTube ventitré “video di formazione privati” (più di quattordici ore di girato in totale) di Project 2025 (Progetto 2025).  Dietro questo nome si cela il cosiddetto “piano per la transizione presidenziale” steso dalla Heritage Foundation, l’influente think-tank conservatore di matrice cristiana e nazionalista vicino a Trump.

Tra le proposte del Project 2025, troviamo provvedimenti come l’introduzione di molteplici flat-tax per aiutare ricchi e corporazioni, ma anche un incoraggiamento dell’home-schooling e della rimozione dei ragazzi dalla scuola, accusata di fare “propaganda di sinistra” su temi come il razzismo e le problematiche di genere. Troviamo anche proposte per un sistema sanitario che non prevede l’aborto, e che proibisce trattamenti per la transizione di genere riservato alle persone transgender.

Rispetto alle proposte consultabili sul sito di Project 2025, i video pubblicati da ProPublica sono una sorta di tutorial rivolto a giovani repubblicani che mirano a far carriera nel mondo della politica, per favorire “un futuro esecutivo politico conservatore”.

“Gli americani che votano per i conservatori” dice in uno dei video Alexei Woltornist, ex funzionario del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti, “non leggono il New York Times o il Washington Post, anzi se qualcosa compare su quei giornali partono dal presupposto che sia falso. L’unico modo di raggiungere questi elettori consiste nel parlare con i media conservatori”.

Tra i relatori di questi video troviamo figure come Max Primorac, ex vice amministratore dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, o Matthew Spalding, vice presidente dell’Hillsdale College, prestigioso e potente college di orientamento politico conservatore e cristiano, vero e proprio epicentri della nuova cultura conservatrice statunitense dove insegnano molti degli ideologhi di Trump.

Ufficialmente sia Trump che la Heritage Foundation hanno più volte preso le distanze pubblicamente l’uno dall’altra, seppure in modi contraddittori o ambigui. John McEntee e Russell Vought, che hanno ricoperto incarichi alla Casa Bianca durante l’amministrazione Trump, hanno ruoli di alto profilo all’interno di Project 2025.

La CNN ha contato almeno 140 persone coinvolte nel progetto che hanno lavorato nell’amministrazione Trump. Karoline Leavitt, portavoce nazionale per la campagna 2024 di Trump, compare in un video di reclutamento della Heritage Foundation e in uno uno dei video pubblicati da ProPublica.

Il Centre for Climate Reporting, a metà agosto ha pubblicato una videoinchiesta sotto copertura in cui con Russel Vought, uno dei co-autori del documento organizzativo e politico intorno al Project 2025, spiega apertamente come abbia lavorato alle bozze di ordini esecutivi da attuare in caso di un secondo mandato Trump. Tra questi, spiega Vought, alcuni hanno l’obiettivo di prendere il controllo della macchina governativa: “L’80% del mio tempo è dedicato ai piani necessari per prendere il controllo degli apparati burocratici”.

Il contenuto e il tono dei video ottenuti da ProPublica aiutano a capire il perché di questa strategia di negazione. Su Esquire il giornalista Charles P. Pierce ha paragonato i video a “una simulazione ONU dove Scientology ha preso il controllo”. Vengono coperti vari argomenti: da come difendersi dal “linguaggio della sinistra” a come gestire la transizione presidenziale, da come essere “professionali sul luogo di lavoro” a come costruire le coalizioni politiche. Tutto per “favorire l’agenda politica del Presidente”.

Il linguaggio utilizzato è aggressivo e sprezzante: in uno dei video parla Bethany Kozma, ex vice capo di stato maggiore presso l’US Agency for International Development nell’amministrazione Trump, che minimizza la gravità del cambiamento climatico.

Cita Orwell, che i conservatori stanno cercando di reclamare come autore vicino alla propria ideologia, affermando come fatto oggettivo che il cambiamento climatico è parte di un movimento per “controllare il linguaggio e quindi controllare il popolo” orchestrato dai nemici dell’America.

“Se il popolo americano elegge un presidente conservatore, la sua amministrazione dovrà eliminare i riferimenti al cambiamento climatico da ogni parte del mondo”, dice Kozma.

In In un altro video Dan Huff, ex consulente legale dell’Ufficio del personale presidenziale della Casa Bianca sotto Trump, afferma che si dovrà essere pronti ad attuare cambiamenti significativi nel governo americano: “Se non siete d’accordo a contribuire all’attuazione di un drastico cambiamento di rotta perché temete che possa danneggiare le vostre future prospettive di lavoro, o che possa danneggiarvi socialmente, vi capisco”, dice Huff. “È un pericolo reale. Ma per favore: fate un favore a tutti noi e fatevi da parte”.

L’aggressività non è dunque rivolta solo al campo avversario, ma anche contro chi tra i conservatori stessi ha dubbi sulla bontà del progetto.  In diversi video si invitano i futuri giovani carrieristi a essere obbedienti e precisi coi propri capi e a fare riferimento solo ai loro voleri, ignorando per esempio i richiami dei “burocrati di professione”. L’implicazione è chiara: il piano di riforme politiche sarebbe così impopolare da incontrare resistenza persino presso molti legislatori repubblicani.

Un altro punto focale che emerge dai video è che il potere del presidente è incontestabile e sempre favorito. Non solo i ministri, ma anche il governo federale e i suoi lavoratori dovrebbero essere scelti direttamente da lui e dalla sua cerchia – in modo da poter così piazzare solo fedelissimi funzionari dello Stato che avrebbero come valore centrale l’obbedienza alla gerarchia, e non il rispondere all’opinione pubblica del proprio operato, o il mettere in pratica il dettato costituzionale statunitense attuale. Una vera e propria negazione dello Stato di diritto.

In un altro video Mike Howell, Tom Jones, e Michael Ding, dirigenti e membri di organizzazioni di orientamento conservatore allineate con Trump,  spiegano cosa comporta la supervisione governativa, i dettagli delle leggi sui registri pubblici e come gli incaricati politici dovrebbero pensare a cosa mettere o meno per iscritto, evitando le email e la tracciabilità delle comunicazioni in favore di meeting e incontri ravvicinati nei quali poter parlare “senza essere ascoltati”.

Non ci sono ancora commenti da parte di portavoce del Project 2025 su questi video o sul servizio di ProPublica. Mentre per la pubblicazione del video su Russel Vought, la risposta ufficiale data alla CNN dall’organizzazione diretta da quest’ultimo, il Center for Renewing America, è stata “Grazie per aver messo in onda la nostra conversazione perfetta, sottolineando che il nostro lavoro politico è totalmente separato dalla campagna di Trump”.

Un portavoce di quest’ultimo ha invece declinato l’invito a commentare i video, ribadendo che nessun’altra organizzazione è coinvolta nella stesura di provvedimenti per un secondo mandato. Karoline Leavitt, circa la sua presenza in uno dei video di Project 2025, ha dichiarato “l’Agenda 47 è l’unica agenda politica ufficiale della campagna di Donald Trump”.

Diffondendo i ventitré video, ProPublica ha messo ancora più in chiaro quale sia lo scenario politico che una certa cultura conservatrice, fanatica e reazionaria, sta attivamente promuovendo. Da questo punto di vista, i video sono uno sguardo nel futuro che potrebbe aspettarci.

Lo stesso Kevin Roberts, presidente della Heritage Foundation, ne ha dato un assaggio lo scorso luglio, commentando la decisione della Corte Suprema di concedere a Trump l’immunità parziale per le azioni compiute da presidente. “C’è una seconda Rivoluzione Americana in corso”, ha detto Roberts, specificando che “se la sinistra lo permetterà non ci saranno spargimenti di sangue”.

La corte filorussa di Robert Kennedy jr. e il suo ruolo nelle elezioni presidenziali (linkiesta.it)

di

Cavallo di Troia

Il nipote di Jfk ha ufficializzato il suo appoggio a Trump in vista del 5 novembre, portando in dote all’ex presidente repubblicano un’altra porzione di elettorato complottista, pro-Putin e antiamericana

Il ritiro di Robert F. Kennedy jr. dalla corsa presidenziale, e il conseguente appoggio a Donald Trump, hanno portato i giornali a interessarsi a questa figura marginale della politica statunitense. Buona parte del pubblico, soprattutto in Italia, ignorava la sua stessa candidatura alle elezioni, ma non c’è da biasimarli: i candidati indipendenti lasciano il tempo che trovano, attirando l’attenzione esclusivamente delle bolle di riferimento.

Ma quello di Kennedy jr. è un caso a parte. Il figlio di Bob si è ritagliato un suo spazio nel dibattito americano prima come affermato avvocato ambientalista (negli anni Novanta ha impedito la costruzione di dighe in Québec e in Cile oltre a far condannare la multinazionale della chimica DuPont) poi come complottista noto per le sue posizioni radicali contro le vaccinazioni, esasperate dopo la pandemia di Covid-19.

L’attivismo antiscientifico di Rfk jr. così come le più assurde storie sul suo conto, dal verme nel cervello all’episodio dell’orso morto, lo hanno reso una macchietta. Ma sappiamo bene quanto le macchiette possano essere pericolose e che per questo non vanno sottovalutate.

L’endorsement a Trump ha spinto la famiglia Kennedy a dissociarsi, ancora una volta, dal nipote di Jfk, che fino a quest’anno ha sempre rivendicato la sua appartenenza al Partito democratico (ha anche tentato di partecipare alle ultime primarie). Ma la convergenza con i repubblicani era scontata, ci sono troppi punti in comune tra la piattaforma indipendente dell’avvocato di Washington e il movimento “Make America Great Again”.

Se da una parte c’è chi minimizza riducendo Rfk jr. e i suoi sostenitori a un freakshow che può solo rendere più ridicolo il ticket di destra, dall’altra c’è chi sottolinea il pericolo di un suo possibile ruolo in un’ipotetica amministrazione Trump e il grado di influenza che i suoi possano esercitare su questa.

Perché oltre ai novax e gli avanzi dello star system hollywoodiano (Zachary Levi, Rob Schneider e altri soggetti caduti in disgrazia), Kennedy jr. porta in dote a Donald Trump una rete di accaniti filorussi, desiderosi di sabotare la politica di sostegno a Kyjiv della Casa Bianca.

Oltre i vaccini, infatti, Rfk jr. è un nemico dichiarato dell’Ucraina e della sua lotta contro la Russia e le sue sparate sono state riportate con una certa autorevolezza anche in Italia – come nel caso di Antimafia duemila che da mesi riporta le dichiarazioni dell’ex candidato indipendente sulla guerra e le presunte responsabilità del governo statunitense.

La posizione di Kennedy jr. non è dissimile da quella dei cosiddetti “pacifisti” nostrani: prima e dopo il 2022 ha sempre evitato di schierarsi apertamente con il Cremlino (in passato ha definito Vladimir Putin come un «gangster»), ma allo stesso tempo ha ripetuto tutti i cavalli di battaglia della propaganda di Sergey Lavrov, sostenendo l’idea dell’espansione a Est della Nato, la «guerra per procura» e la cessione delle regioni ucraine alla Federazione russa al fine di raggiungere una tregua che soddisfi le richieste di quest’ultima.

Al di là delle posizioni personali, è il network che ruota attorno all’ex candidato a dover preoccupare. Un esempio degno è quello di Scott Ritter. Ex ispettore Onu con un passato da ufficiale dei marines, Ritter ha costruito la propria carriera di opinionista cavalcando il sentimento antiamericano del dibattito post guerra in Iraq, presentandosi come sostenitore delle posizioni contro l’interventismo statunitense e in generale contro l’apparato militare degli Stati Uniti.

La presunta buonafede del suo attivismo viene smontata dal rapporto organico tra Ritter e il Cremlino: il commentatore, già condannato per reati su minori, ha collaborato con Russia Today e Sputnik (i principali organi della disinformazione russa, banditi in Europa dopo l’invasione dell’Ucraina) e ha visitato la Russia più volte dopo il 2022, portando il suo sostegno alla cosiddetta “operazione speciale” nel corso di numerosi incontri istituzionali con le autorità del regime, almeno fino al giugno scorso quando ha dichiarato (senza prove) che il governo statunitense avrebbe «sequestrato» il suo passaporto per impedirgli di tornare a Mosca.

Ritter è più di un utile idiota, è una quinta colonna in Occidente, una delle più attive nel tentativo di inquinare il dibattito sulla questione. Due anni fa il Centro per la contro disinformazione del governo ucraino lo ha inserito nella lista dei propagandisti al soldo di Putin.

Ritter sostiene da due anni che la Russia stia «vincendo la guerra» (un memento mori che ripete con cadenza quasi mensile) e ha dimostrato la sua malafede quando all’inizio del 2024 è volato in Cecenia per arringare i soldati di Ramzan Kadyrov radunati nella piazza principale di Grozny.

Proprio questo mese, Scott Ritter ha pubblicato una foto in compagnia di Robert F. Kennedy jr. al bancone di un pub. Un appoggio informale esplicitato dalla descrizione – «Burgers with Bobby!» – che però sta a esplicitare una convergenza sul tema chiave del rapporto con la Russia.

Questo filone che riunisce complottisti e autoproclamatisi liberi pensatori al soldo del regime di Mosca è stato accolto a braccia aperte dal Gop a trazione trumpiana, sempre più irriconoscibile dal partito di Ronald Reagan, John McCain e Mitt Romney – l’appello del repubblicano Geoff Duncan alla convention democratica in favore di Kamala Harris è stato il più recente esempio di resistenza interna all’egemonia Maga – abbandonati in favore della peggiore classe dirigente mai espressa dalla destra statunitense.

In tanti hanno definito quest’alleanza come l’ennesimo, ridicolo, tentativo di Donald Trump di risalire nei sondaggi corteggiando l’elettorato antisistema, ma il pericolo è più grande di quanto si possa immaginare. Rfk jr. sapeva che quei pochi punti percentuale avrebbero potuto fare la differenza nello scontro a due con i democratici e il favore fatto al candidato repubblicano verrà ripagato con gli interessi.

I russi hanno capito che i partiti minori possono rivelarsi decisivi per portare alla vittoria il proprio uomo di fiducia: dopo aver fatto rientrare Kennedy jr. all’ovile, fermando la potenziale emorragia di voti dell’ala filorussa, coincidenza vuole che questo mese i bot che popolano il fu Twitter stiano spingendo la leader dei Verdi, Jill Stein, per convincere l’elettorato di sinistra a votarla in chiave anti Harris, rea di non rappresentare la vera sinistra.

Manca sempre meno al voto e la macchina di Mosca sta lavorando incessantemente per ottenere ciò che vuole.

La teoria del complotto di un «ex vicepresidente di Pfizer» e l’inesistenza del virus Sars-Cov-2 (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

L’ex dipendente Pfizer è diventato negli anni un “Guru No Vax”

Diverse condivisioni Facebook riportano quanto dichiarato dal dottor Michael Yeadon, l’«ex vicedirettore di Pfizer divenuto anti-vax hero», come lo hanno definito i colleghi Steve Stecklow e Andrew Macaskill di Reuters. Dalle affermazioni dell’ex dipendente Pfizer emerge un presunto complotto sull’inesistenza del virus allo scopo di vendere i vaccini mRNA. Avevamo già “incontrato” questo personaggio in una analisi precedente. Era la fonte di Hal Turner: conduttore di estrema destra, No vax, negazionista dell’Hiv e del SARS-CoV-2. Come vedremo le idee di Yeadon si sono rivelate attendibili tanto quanto chi che le cita.

Analisi

La definizione «ex vicepresidente di Pfizer» è corretta, non di meno va precisato che Yeadon abbandonò l’azienda nel 2011, per fondare un’altra società. Quando parla di Coronavirus inventato chiaramente non si basa su conoscenze di prima mano.

COVID – Ex vicepresidente di Pfizer: “non esiste nessun virus, piuttosto c’è stato un attacco pianificato per uccidere i civili”

La narrazione mai dimostrata del Coronavirus inventato

Le condivisioni in oggetto sulla narrazione del Coronavirus inventato si accompagnano spesso a un post che riporta una parte della fonte originale, tratta dal sito Web Life Site. Il nocciolo della narrazione in oggetto vi è la clip di una intervista, dove Yeadon la prende ancor più larga, rivelando che sussisterebbero presupposti errati alla base della virologia, che avrebbero portato a concepire erroneamente l’esistenza dei virus respiratori:

«[Yeadon, Nda] ha raccontato che – riporta Life Site -, a seguito di conversazioni con colleghi scienziati giunti […]. E dopo una significativa ricerca personale, alla fine “si è reso conto nel tempo” di non riuscire “più a mantenere” la sua “comprensione dei virus respiratori” e, dopo aver ottenuto ulteriori informazioni, questo “ha fatto crollare la possibilità che i virus respiratori, come descritti, esistano. Non esistono”, ha concluso. Per almeno un paio di decenni, alcuni scienziati medici hanno sottolineato che “nessuna particella è mai stata sequenziata, caratterizzata, studiata con validi esperimenti controllati e dimostrata come adatta alla definizione di virus”, e quindi la virologia “ha costantemente fallito nel soddisfare i propri requisiti per dimostrare” che i virus esistono».

Queste affermazioni straordinarie non vengono supportate da evidenze altrettanto robuste. Tanto più che noi abbiamo tutta una serie di prove, continuamente verificabili, dell’esistenza dei virus respiratori e in particolare di SARS-CoV-2.

Un complotto che coinvolgerebbe milioni di finti pazienti e medici nel mondo

Senza contare che a seconda delle narrazioni, questo Coronavirus inventato lo sarebbe in quanto fatto in laboratorio, secondo altre tutti i virus non esisterebbero oppure sarebbero nostri “amici”. Insomma, tutto fa brodo, ma di evidenze a supporto di una tesi chiara e univoca non se ne vedono mai.

Sono anni che nelle nostre analisi continuiamo a ripetere che è impossibile inscenare una crisi delle terapie intensive collegate a un eccesso di gravi casi di Covid-19, la quale avrebbe coinvolto milioni di “finti pazienti” e personale medico-ospedaliero; inoltre esiste la possibilità di verificare con appositi test molecolari la positività a precisi patogeni escludendone altri.

Ecco alcune nostre analisi precedenti sul virus mai isolato:

Ricordiamo anche le narrazioni volte a screditare i test diagnostici:

Al solito riportiamo solo una minima parte delle nostre analisi, per rispetto della pazienza e dell’intelligenza dei lettori.

La parabola discendente di Yeadon, da vicedirettore di Pfizer a guru No vax

Su come sia possibile che un personaggio ed ex dipendente Pfizer come Yeadon abbia fatto affermazioni così “controverse” sull’inesistenza del virus Sars-Cov-2 e contro i vaccini Covid, rimandiamo al già citato lavoro dei colleghi Stecklow e Macaskill, che si sono avvalsi della letteratura scientifica e della consultazione di esperti vicini al personaggio. Riportiamo giusto alcuni estratti:

«Dopo aver perso il lavoro alla Pfizer nel 2011, Yeadon ha fondato una società biotecnologica chiamata Ziarco – riportano i colleghi di Reuters -. Volevano continuare a ricercare terapie promettenti che mirassero ad allergie e malattie infiammatorie, idee che la Pfizer aveva sviluppato ma che rischiavano di essere abbandonate. Yeadon è stato l’amministratore delegato di Ziarco. “Ho semplicemente mostrato sfrontatezza e ho chiesto alle persone più anziane nella linea di ricerca” alla Pfizer di supportare l’iniziativa, ha poi ricordato Yeadon in un’intervista con Forbes. “E loro hanno detto, ‘OK, supponendo che tu raccolga capitale privato’”».

«Nel 2012, Ziarco ha annunciato di aver inizialmente ottenuto finanziamenti da diversi investitori, tra cui il ramo di capitale di rischio della Pfizer. Altri investitori si sono poi uniti, tra cui un fondo di capitale di rischio aziendale di Amgen Inc. Amgen non ha risposto a una richiesta di commento. “L’intensità dello sforzo mi ha portato lontano quasi completamente dalla mia famiglia e da altri interessi per quasi cinque anni e hai solo una vita”, ha detto Yeadon a Forbes. […] Mentre era alla Ziarco, Yeadon ha anche lavorato come consulente per diversi anni presso due aziende biotech dell’area di Boston, Apellis Pharmaceuticals e Pulmatrix Inc. Entrambe le aziende hanno affermato che non lo consultano più. Una portavoce di Apellis ha affermato: “Le sue opinioni non riflettono quelle di Apellis”. Non ha fornito ulteriori dettagli».

Insomma, le ragioni per cui Yeadon a un certo punto ha smesso di basarsi su reali fonti scientifiche resta un mistero per i suoi stessi colleghi.

Le gole profonde nel complottismo: perché il principio di autorità non conta

La “gola profonda” Mark Felt, il vicedirettore dell’FBI che contribuì a far esplodere il Watergate nel 1972, è una figura che ha ispirato diversi emuli, usati come esperti inconfutabili nelle più svariate teorie complottiste.

Pensiamo a Bill Kaysing, ex archivista di una delle tante ditte che lavoravano per la Nasa, citato dai negazionisti degli allunaggi; il sedicente ex fisico dell’Area 51 Bob Lazar è una delle fonti storiche delle teorie cospirative di stampo ufologico; ci sono architetti e ingegneri che hanno firmato un documento a sostegno delle teorie del complotto sull’11 settembre; diversi fisici, biologi e geologi sposano il negazionismo del cambiamento climatico e dell’evoluzione per selezione naturale.

Abbiamo avuto anche presunti candidati Nobel e premi Nobel veri e propri che hanno sostenuto le cose più stravaganti sulla Covid-19 e i vaccini. Abbiamo anche riscoperto la figura dei whistleblower.

Il problema è che poi nessuno presenta prove reali, che sopravvivono alla minima verifica. Infatti queste presunte “gole profonde” sono accomunate dal non sottoporre mai i loro argomenti ad altri esperti, come si fa nelle conferenze o nelle pubblicazioni scientifiche, rivolgendosi invece a un pubblico di persone già predisposte a crederle.

Ecco perché il principio di autorità non ha alcun valore nella scienza. Non importa chi sei o cosa eri prima, bisogna sempre dimostrare le proprie tesi. Così fece la gola profonda originale, la quale dimostrò davvero l’esistenza di un complotto, portando alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon.

Conclusioni

Un personaggio che è stato dipendente di Pfizer fino al 2011 e che da allora non ha più avuto rapporti con la casa farmaceutica, durante la pandemia ha sorpreso gli stessi colleghi cominciando a fare una serie di pericolose affermazioni contro i vaccini Covid e sulla fantomatica inesistenza del virus Sars-Cov-2. Ma l’unica cosa a sostengo delle sue congetture è il principio di autorità, che però nella scienza non conta.

Non sappiamo perché il dottor Yeadon ha scelto questo percorso, l’unica cosa certa è che non ha mai dimostrato ai suoi pari con studi autorevoli quanto sostiene.