Ruth Dureghello
L’antisemitismo non è mai davvero scomparso, e i fatti degli ultimi mesi, compresa la lista di proscrizione degli amici di Israele, ci ricordano che «è svanita la naturale solidarietà che c’era verso il nostro popolo dopo la Shoah», racconta a Linkiesta l’ex presidente della Comunità Ebraica di Roma
Ruth Dureghello, lei è stata per lungo tempo la presidente della Comunità Ebraica di Roma, le pongo una domanda che può apparire scontata ma che mi faccio ogni giorno anche io: si aspettava questa violenta recrudescenza di antisemitismo?
Non ho mai creduto che l’antisemitismo fosse scomparso. Era meno visibile e forse meno giustificabile, ma che fosse sempre presente nella società se ne aveva il sentore. La cosa che stupisce è la forza con cui è riemerso dopo il 7 ottobre. Basta affacciarsi sui social per capire che aria tira, ma non va fatto errore di pensare che siano sfoghi di pazzi. Se l’altro giorno una sinagoga in Francia è stata attaccata da un attentatore con la bandiera palestinese è perché il movente è chiaro. La grande differenza con gli anni successivi alla Shoah che una parte di solidarietà che arrivava naturale è sparita, scomparsa improvvisamente. Ha scelto di ammiccare agli antisemiti piuttosto che difendere un principio irrinunciabile delle democrazie occidentali.
La pietà per i morti del 7 ottobre non c’è stata, anzi anche appuntamenti come il Giorno della Memoria sono divenuti attraversamenti ostili nel calendario. Perché ancora oggi secondo lei uccidere un ebreo per molti non è poi così sbagliato?
Perché nella società in cui si estremizzano l’inclusione e la diversità gli ebrei non vengono presi in considerazione. Negli ultimi anni abbiamo imparato che le vittime vanno ascoltate e sono loro a definire i parametri della violenza subita. Valeva per tutti, tranne che per gli ebrei. Noi siamo gli unici che mentre provavamo a definire il nuovo antisemitismo ci veniva detto che sbagliavamo o esageravamo. Oggi lo troviamo esattamente nelle formule in cui lo denunciavamo e il risultato è che gli atti antisemiti non fanno neanche più notizia.
Quanto conta su questo aspetto una memoria collettiva mancante su quello che ha prodotto il terrorismo palestinese nel nostro Paese? Penso a Stefano Gaj Tache’ ma i nomi delle vittime sono molti.
Certamente incide il fatto che un’analisi oggettiva sul terrorismo palestinese farebbe emergere condotte di una parte dello Stato italiano quantomeno inappropriate per non usare parole ancora più forti. Una memoria collettiva andrebbe pretesa in assoluto in merito alle ambiguità di quel periodo, ma se posso dire la verità, non credo che oggi in alcune persone sia un problema di mancata conoscenza. Costruiscono rappresentazioni oscene e violente d’Israele per legittimare le campagne d’odio contro lo Stato ebraico e anche le comunità ebraiche perché questo è esattamente il loro scopo.
Sono tornate di moda le liste di proscrizione e la caccia al sionista. Non crede che ci sia un campo di impunità troppo vasto per gli antisemiti che si mascherano dietro la dicitura di antisionisti?
Ho molta fiducia negli organi competenti, mi permetto di far notare che, oltre ai nomi di quel documento, era la premessa a far rabbrividire. Che significa sostenere la resistenza palestinese in Italia? Colpire luoghi fisici o persone indicate come sioniste? Qui non siamo più nell’ideologia, ma sul piano penale e mi auguro che i responsabili vengano individuati e che si comprenda come nasca questa struttura che da mesi ha organizzato campagne così violente contro gli ebrei e coloro che sono considerati loro amici.
A livello internazionale assistiamo invece a una fase di transizione del conflitto. Dopo l’uccisione del capo di Hamas, Ismail Haniyeh, cosa si aspetta dai prossimi mesi?
Purtroppo è difficile immaginare come la situazione evolverà. In Italia mi sembra che non sia chiaro che il centro di tutto è Teheran che coordina e supporta i proxy Hamas, Hezbollah e Houti. Chi ama la pace non può dimenticare che fino al giorno in cui il regime iraniano alimenterà la sua politica di sostegno al terrorismo una pace in Medio Oriente è impossibile da raggiungere. A quelli che vorrebbero bloccare l’export con Israele per fermare la guerra vorrei chiedere quali misure hanno in mente per fermare l’Iran, che fornisce armi e soldi ai movimenti terroristici o droni alla Russia per l’aggressione all’Ucraina. Stranamente su questo c’è un silenzio assordante.
L’opinione pubblica israeliana vive una fase molto complessa. Come ne uscirà Israele dopo questa stagione?
Spero ne esca rafforzata, ma non ho certezze. A volte si fa l’errore di giudicare le dinamiche israeliane con gli occhi europei e non capire quanto sta avvenendo. Per esempio ci si divide sul governo e sulle scelte politiche, ma non sulla necessità di arginare in maniera strutturata Hamas e colpire le sue infrastrutture. Da parte mia, mi auguro che si ritorni un po’ di più allo spirito dei padri fondatori e all’idea che quando Israele è divisa è meno forte e più facile da colpire, mentre quando è unita trova la forza che ha permesso il miracolo di una piccola nazione che diventa un Paese straordinario nella scienza, nelle tecnologie e nella cultura di riferimento per il mondo.