Nei sondaggi gli anziani si mostrano preoccupati dagli effetti fiscali dell’immigrazione, anche se in genere sono positivi e contribuiscono a finanziare pensioni e sanità pubblica.
A pagare il costo di politiche migratorie più restrittive sono i giovani.
I fatti e le opinioni
Molti studi documentano come nella maggior parte dei paesi Ue e nel Regno Unito l’avversione verso gli immigrati e la propensione a votare per movimenti politici anti-immigrazione tendano ad aumentare con l’età dell’intervistato (figura 1). L’ostilità è spesso motivata dalla preoccupazione riguardo agli effetti dell’immigrazione sulla spesa pubblica.
Può sembrare paradossale, se si considera che gli effetti fiscali dell’immigrazione regolare sono mediamente positivi nella maggior parte dei paesi. In altre parole, gli anziani si sentono in competizione con gli immigrati per le risorse destinate al welfare state, quando in realtà i secondi contribuiscono a finanziare i benefici goduti dai primi.
Disinformazione e pregiudizio, o c’è dell’altro?
È piuttosto facile farsi persuadere dall’idea che gli elettori – e quelli anziani in particolare – abbiano una percezione distorta degli effetti dell’immigrazione. In effetti, alcuni studi suggeriscono che disinformazione e pregiudizi potrebbero giocare un ruolo. Ma il fenomeno è estremamente diffuso e persistente nel tempo. Se davvero gli anziani avessero sostenuto per almeno due decenni politiche pubbliche che li penalizzano, significherebbe che non sono solo poco informati, ma anche un po’ fessi. È davvero così?
Un recente studio, basato sull’analisi teorica ed empirica del voto di individui appartenenti a differenti gruppi sociodemografici, offre una credibile soluzione al paradosso. Senza dilungarci in tecnicismi, l’idea di fondo è che se un elettore è giovane e ha un reddito medio-alto, è particolarmente danneggiato dalle imposte sul reddito; quindi tenderà a privilegiare candidati che propongono molti immigrati e spesa pubblica contenuta, che si traducono in basse aliquote sul reddito.
Al contrario, se è un pensionato o un giovane a basso reddito, è tipicamente meno colpito dalle tasse; pertanto, preferirà meno immigrazione e più spesa pubblica. Di conseguenza, i politici che mirano ad attrarre la prima categoria di elettori proporranno una piattaforma elettorale aperta all’immigrazione e tagli alla spesa pubblica, mentre quelli che cercano il supporto della seconda punteranno su frontiere chiuse e welfare generoso.
Il risultato finale è che, nello scenario proposto, per gli anziani è perfettamente razionale temere gli effetti fiscali di una politica dei confini più aperti, in quanto nei programmi elettorali questa proposta tende a essere associata a tagli a quella spesa pubblica da cui dipendono.
Se poi l’aumento della speranza di vita e la diminuzione della natalità causano un aumento della percentuale di anziani nella popolazione nativa, il meccanismo favorisce il successo elettorale di candidati via via più ostili all’immigrazione e l’adozione di politiche migratorie sempre più restrittive, che danneggiano i giovani e le generazioni future.
Dalla teoria alla pratica
Una obiezione naturale a questa teoria deriva dal fatto che, tradizionalmente, i partiti conservatori sono tendenzialmente più contrari sia all’immigrazione che all’incremento della spesa pubblica rispetto ai partiti progressisti. Eppure, la recente letteratura politologica ci dice che con l’aumentata salienza delle dimensioni non strettamente economiche – in particolare l’immigrazione – nel dibattito elettorale negli ultimi vent’anni, questa descrizione non corrisponde più alla realtà in molti paesi europei.
In particolare, lo scenario descritto nello studio è coerente con l’ascesa del cosiddetto populismo di destra osservata durante le ultime due decadi in molti paesi europei e alimentata soprattutto dal sostegno degli anziani. Lo sciovinismo del welfare di Marine Le Pen in Francia, la battaglia della Lega di Matteo Salvini contro la legge Fornero in Italia, così come il comitato per il voto a favore della Brexit nel Regno Unito, che prometteva meno immigrati e più spesa nel servizio sanitario nazionale, sono solo alcuni esempi di come la destra “sovranista” sia agli antipodi rispetto a quella thatcheriana degli anni Ottanta in tema di spesa pubblica.
Non si tratta solo di esempi suggestivi: lo studio propone ampia evidenza empirica a sostegno di tutte le principali implicazioni di questa teoria, derivata sia da nuove analisi che da ricerche già presenti nella letteratura.
Che fare?
Il meccanismo descritto rappresenta una seria minaccia alla capacità delle moderne democrazie di fronteggiare, grazie all’immigrazione, le crescenti difficoltà di bilancio dovute ai costi dell’invecchiamento della popolazione.
Uno strumento già presente nell’ordinamento italiano che, se potenziato, potrebbe contribuire a ridurre il problema è quello dei cosiddetti meccanismi di bilanciamento automatico della spesa pubblica. Ad esempio, i trasferimenti previdenziali sono già in parte parametrati alla quota di ultrasessantacinquenni rispetto alla popolazione in età lavorativa.
Questo implica che scegliendo di avere più immigrati regolari si ottengono pensioni più generose, e viceversa. Pertanto, il sistema assegna parte dei benefici fiscali dell’immigrazione agli anziani, rendendoli meno ostili al fenomeno.
Un secondo punto riguarda le politiche volte a favorire la natalità che, in considerazione dei maggiori tassi di fertilità degli immigrati rispetto ai nativi registrati in tutti i paesi europei, dovrebbero essere considerate complementari – anziché alternative – all’immigrazione.