Il destino degli ombrelli: rubati o dimenticati (ilfoglio.it)
Piccola Posta
Spesso un oggetto all’apparenza insignificante è in realtà simbolo di grande rispetto e misura di ricchezza e civiltà. E poi c’è il caso Viareggio
Stavo rifinendo un’appendice alla ristampa del mio libro su Kafka, e mi ero fermato sull’ombrello. Il racconto “Il fuochista”, e il romanzo incompiuto intitolato (non da lui) “America”, muovono infatti dall’ombrello dimenticato del ragazzo Karl Rossmann allo sbarco a New York.
Aggirandomi attorno all’ombrello di Kafka ero stato rinviato a una quantità di notizie e riflessioni ragguardevoli. Per esempio, a un saggio di Robert Louis Stevenson, quello dell’Isola del tesoro, sulla “Filosofia degli ombrelli”: “Un nastro della Legione d’Onore o una fila di medaglie può certificare il coraggio di una persona; un titolo può certificarne la nascita; una cattedra gli studi e le scoperte; ma è la compagnia abituale dell’ombrello il vero contrassegno della Rispettabilità”.
Nell’isola assolata, Robinson Crusoe si distinse da Venerdì fabbricandosi un ombrello. Il re del Siam, che aveva un’aristocrazia misurata sugli ombrelli, li aveva proibiti ai sudditi.
La letteratura pertinente è smisurata e illustre, da Judy Garland (e Irving Berlin), “A Fella with an Umbrella” a “Ho l’ombrello t’accompagno”, “Grazie non ti scomodar”. Il caso più singolare è un frammento autografo di Friedrich Nietzsche, 1881, che dice, fra virgolette: “Ho dimenticato il mio ombrello” (“Ich habe meinen Regenshirm vergessen”).
Dopo la sua sobria pubblicazione nella grande edizione critica di Giorgio Colli e Mazzino Montanari, sopravvenne una mole spaventevole di interpretazioni filosofiche e psicanalitiche, in cui spicca Jacques Derrida (1978). Lo scrittore zurighese Thomas Hürlimann ha dedicato nel 2015 all’ombrello (rosso) di Nietzsche un brillante saggio-racconto, tradotto in Italia da Mariagiorgia Ulbar per Marcos y Marcos. (Intanto si era appurato che il frammento era una citazione da un romanzo satirico del 1844).
E così via, insomma. Stevenson, quello del dottor Jekyll e mister Hyde, scrisse ancora: “Non è da tutti affidare i propri ventisei scellini a tali e tante probabilità di perdita e di furto. Chi porta con sé un ombrello, una così complessa struttura di osso di balena, seta e canna, vero microcosmo dell’industria moderna, è inevitabilmente un uomo di pace”.
Il destino degli ombrelli è di essere rubati, o dimenticati. Sempre meno, oggi che, offerti a prezzo stracciato dai benedetti maghi della pioggia, alla prima sventolata si ribaltano e aggrovigliano.
Ero immerso in questa magnifica peripezia quando ho letto, e poi riletto, che la sventurata signora di Viareggio, dopo aver recuperato la sua borsa, era risalita in macchina per andare a riportare l’ombrello al ristorante che gliel’aveva prestato.
Piovigginava, infatti, a Viareggio, domenica sera.
Boschi di larici, nidi di ruspe (corriere.it)
di Gian Antonio Stella
Cortina si prepara all’Olimpiade scempiando il paesaggio.
E i conti non tornano
Patrimonio La località dolomitica ospiterà con Milano i Giochi invernali del 2026: dubbi sulla sostenibilità degli impianti
(Getty image)
Macché droni! Non servono droni, funamboli o reporter acrobatici appesi ai tralicci per fotografare la distruzione dei boschi sopra Cortina. A dispetto dei top secret, dei divieti, delle denunce di misteriosi robot teleguidati, basta salire sulla cabinovia «Freccia nel cielo» che ascende verso la spettacolare Tofana per «ammirare le Dolomiti patrimonio Unesco» (così dice il depliant!) ed ecco che, di sotto, si spalanca l’oscena devastazione di quello che fino a pochi mesi fa era il Parco Avventura, dove i ragazzini seguivano un percorso di larice in larice all’Indiana Jones. Sventrato.
Come sventrato, quando mancano 135 giorni lavorativi alla dead line del 15 marzo 2025, è tutto il bosco di Ronco. Dicono: fatta la pista di bob e passata l’Olimpiade, tutto tornerà come prima. Vero. Solo i figli dei figli dei figli di Matteo Salvini e Luca Zaia potranno però rivedere fra un secolo larici centenari come quelli che qui svettavano prima d’esser buttati giù in giorni e giorni di assordanti rombi di motoseghe. Diranno: quelli li ha piantati mio bisnonno. Ma la vista dal cielo dello spropositato cantiere marrone di melma solcato dai primi muraglioni di cemento armato del bob oggi mette spavento.
Non si sa manco quanti ne abbiano abbattuti, di quei larici solenni amati da Mario Rigoni Stern che spiegò a Paolo Rumiz: «Per certe popolazioni siberiane il larice è addirittura “l’albero cosmico”, lungo il quale scendono il sole e la luna sotto forma d’uccelli d’oro e d’argento. A me piace perché vive di poco e aggrappato alla roccia sfida lungo i secoli le bufere invernali, i fulmini, la siccità e le guerre, tornando a fiorire ogni primavera per risvegliare gli amori dell’urogallo».
Non torneranno a fiorire, qui, in 400, forse 500… La cifra non è stata data, per non buttare cerini accesi tra gli ambientalisti che da anni, da Marina Menardi di Voci di Cortina all’ex campione di bob Gildo Siorpaes, da Mountain Wilderness a Legambiente fino al bellunese don Ciotti chiedono: «Fermatevi».
I soli a non fare una piega, cementieri a parte, sono il ministro sport Andrea Abodi («Visito i cantieri ogni 45 giorni e sono certo che avremo impianti all’avanguardia sul piano tecnologico e ambientale») e il presidente di Federsci, Flavio Roda: «L’impianto mi pare ben inserito nel contesto naturalistico e non mi pare particolarmente impattante». Sic. Lo farebbero a casa loro? Mah… Perché si può anche ridere della battuta di Maurizio Crozza nei panni di Zaia («Useremo dinamite bio») sulle promesse italiane a proposito di «Olimpiade Light»… Ma è impossibile non inorridire davanti all’orrido squarcio creato da ruspe e motoseghe nei boschi della conca ampezzana.
(Getty image)
Tanto più in giorni in cui, per una coincidenza che dovrebbe fare riflettere chi si fissò cocciutamente sul dogma che la pista da bob dovesse essere costruita qui a tutti i costi (una cinquantina di milioni in partenza, almeno 124 secondo gli ultimi calcoli dopo la gara d’appalto vinta dall’impresa Pizzarotti con un ribasso dello 0,013%), il sindaco e gli abitanti di Cesana Torinese stanno battagliando perché il colossale rudere cementizio della «loro» pista da bob, voluta da Silvio Berlusconi per l’Olimpiade invernale 2006 e poi abbandonata, venga smantellato e sostituito, dato che ormai la natura è compromessa, con la costruzione, al suo posto, di uno skydome: una pista da sci in gran parte seminterrata, meno vistosa e aperta 365 giorni l’anno «per un ricco bacino di 3 mila atleti, mica solo di 57».
Un’operazione che, ben che vada, costerebbe intorno a 50 milioni. Sempre meglio che pagare come prima 1,2 milioni l’anno di manutenzione della «salma» cementizia. Ridotti solo con il definitivo abbandono al degrado totale.
E proprio questo è uno dei temi. La gestione annuale dell’impianto dopo l’Olimpiade dovrebbe costare 1,4 milioni. Chi li paga? Garantiranno otto soggetti, dice la Regione: la stessa Regione, il Comune, la Provincia, le federazioni… Il presidente del Bob Club Cortina, Gianfranco Rezzadore, ha detto al «Corriere delle Alpi» di essere ottimista: «A differenza di Cesana la pista di Cortina è storica».
È vero che quella dove trionfò Eugenio Monti nel 1956 era abbandonata da 16 anni e che la gestione della nuova «non sarà sicuramente a costo zero né ci sarà il pareggio di bilancio», ma «si potranno fare convenzioni con agenzie e nazionali straniere, per portarle qui. Si potranno fare discese con gommoni che scendono senza piloti, con basso costo di gestione e buon incasso. Poi c’è il taxi bob, invernale ed estivo. Non dimentichiamo il mono-bob, una cosa abbastanza nuova: puoi fare corsi piloti, per disabili e per vip, con personaggi e campioni di altri sport che scendono in massima sicurezza».
Stupidaggini, sbotta il sindaco di Cesana, Daniele Mazzoleni: «È il copia-incolla delle frottole che avevano raccontato a noi. Anche noi organizzammo un paio di gare, in perdita. Anche noi tentammo col taxi bob. Anche noi avevamo due piste da discesa dove io facevo il maestro di sci e so bene che appena la pendenza accelera rischi di ammazzarti: scendere su una pista da bob sarebbe pura follia.
Anche a noi il Coni disse che Cesana sarebbe stata “la Coverciano dello sci” garantendoci che si sarebbe fatto carico della gestione. Due anni e ciao». Matthias Schipflinger, amministratore delegato dell’impianto di Innsbruck, in Austria, che avendone pubblicità positiva s’era offerto di prestarcelo gratis, conferma. Nonostante la varietà di adventure esperience offerte dal sistema bob e dalla città che ha 23 volte più abitanti di Cortina, il buco è di 600 mila euro l’anno. Auguri…
E il villaggio olimpico? Pure quello doveva esser light: e Infrastrutture Milano Cortina S.p.A. spiega sul suo sito che «per minimizzare l’impatto» tutto sarà rimosso dopo i giochi. I 1.400 ospiti previsti saranno sistemati in «container marini convertiti e moduli abitativi prefabbricati» da allestire nel vasto spiazzo di Fiames, tra le Tofane e il Cristallo dove Daniela Santanchè voleva rilanciare «come a Sankt Moritz o Gstaad» l’antico aeroporto mai riaperto dopo due tragici schianti con 10 morti. Assai meno light sarà il costo: 39.084.700 euro, 27.917,64 euro a posto letto. Carucci, come container. Sapesse come cresce la vita, signora mia…
Del resto, poco più a sud, con l’ok riluttante del soprintendente Vincenzo Tinè («Era già tutto avviato, ho potuto solo ridurre gli interventi contenendo il più possibile l’impatto») il progetto di project financing per sistemare l’antica e romantica stazione dove non arriva un trenino dal 1965 (bella idea, puntare sulla gomma!) prevede la ristrutturazione del vecchio complesso ferroviario, tre nuovi edifici e un parcheggio sotterraneo per 600 auto per un costo complessivo iniziale di 231 milioni.
Otto volte di più del progetto avviato e poi cancellato dalla Regione Siciliana per fare il parco minerario e il museo della pomice alle Eolie. C’è chi può e chi non può…
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Processo al ministro Matteo Salvini (internazionale.it)
Migranti
Mentre il premier britannico Keir Starmer è arrivato in Italia per incontrare la presidente del consiglio Giorgia Meloni e discutere insieme di politiche migratorie, esprimendo interesse per il progetto di Roma, non ancora attuato, di trasferire i richiedenti asilo in Albania, il governo italiano è alle prese con un caso giudiziario e politico molto importante e delicato, che vede protagonista il ministro dei trasporti e leader della Lega Matteo Salvini, sotto processo a Palermo per la sua politica dei “porti chiusi”, attuata quando era ministro dell’interno nel 2019.
La procura di Palermo ha infatti chiesto, il 14 settembre, una pena molto severa, sei anni di reclusione, per l’attuale ministro dei trasporti, accusato di sequestro di persona plurimo, omissione e rifiuto di atti d’ufficio nel caso Open Arms.
Nell’agosto del 2019 Salvini ha impedito l’approdo della nave della ong spagnola che aveva soccorso 147 migranti nel mare Mediterraneo in tre diverse operazioni. Il caso è avvenuto subito prima della fine del governo cosiddetto giallo-verde, formato dal Movimento 5 stelle e dalla Lega e guidato dall’attuale leader dei cinquestelle Giuseppe Conte.
Nella requisitoria finale i pubblici ministeri di Palermo Marzia Sabella, Calogero Ferrara e Giorgia Righi hanno ripercorso le vicende avvenute dal primo al 21 agosto del 2019 e hanno affermato che: “I diritti dell’uomo vengono prima della difesa dei confini”.
Per l’accusa, infatti, non concedere il porto sicuro ai migranti è stato addirittura un “iter criminoso”. I pm hanno spesso ribaltato la formula “difesa dei confini”, usata dallo stesso Salvini per giustificare la sua condotta, parlando di “confini del diritto” e di diritti fondamentali come limite all’azione del potere esecutivo.
Il caso contro Salvini era stato aperto dal tribunale dei ministri di Palermo, che aveva chiesto al senato nel marzo del 2020 l’autorizzazione a procedere contro il ministro e leader della Lega. L’ex ministro dell’interno era accusato di aver privato della libertà personale i migranti, tra cui diversi minori, per 19 giorni a bordo della nave Open Arms, abusando del suo potere e violando una serie di leggi internazionali. Secondo il tribunale dei ministri Salvini avrebbe agito in autonomia, in contrasto con l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte del Movimento cinque stelle.
I giudici avevano allegato alla richiesta di autorizzazione un carteggio tra Conte e Salvini, mostrando che il presidente del consiglio “il 16 agosto rispondeva a una missiva del ministro Salvini, ribadendo con forza la necessità di autorizzare lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, anche alla luce della presenza della nave al limite delle acque territoriali (in effetti vi aveva già fatto ingresso) e potendo, dunque, configurare l’eventuale rifiuto un’ipotesi di illegittimo respingimento aggiungeva di aver già ricevuto conferma dalla Commissione europea della disponibilità di una pluralità di stati a condividere gli oneri dell’ospitalità dei migranti della Open Arms, indipendentemente dalla loro età. Invitava, dunque, il ministro dell’interno ad attivare le procedure, già attuate in altri casi consimili, finalizzate a rendere operativa la redistribuzione”.
Il caso Open Arms, dall’inizio
La vicenda risale all’agosto del 2019, quando l’ex ministro dell’interno ha impedito alla nave, che aveva soccorso 147 persone al largo della Libia, di attraccare nel porto di Lampedusa per 19 giorni in base al cosiddetto decreto sicurezza bis, approvato qualche settimana prima.
Sul caso si era espresso anche il tribunale amministrativo del Lazio (Tar) il 14 agosto 2019, rispondendo a un ricorso presentato dall’organizzazione spagnola. Il Tar aveva sospeso il decreto che impediva alla nave di entrare in acque territoriali italiane, riconoscendo “un eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso”. Il Tar aveva inoltre sostenuto che il soccorso era avvenuto in condizioni “di eccezionale gravità e urgenza”.
Nonostante la decisione del tribunale del Lazio, il ministro dell’interno ha firmato un nuovo decreto per impedire l’ingresso dell’imbarcazione nel porto di Lampedusa, ma i ministri della difesa e dei trasporti (Trenta e Toninelli) a quel punto hanno rifiutato di firmare il decreto.
La nave, tuttavia, ha attraccato a Lampedusa solo il 20 agosto, dopo diversi ricorsi presentati dall’ong alla procura di Agrigento e al tribunale dei minori. È stato decisivo l’intervento del procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, che dopo essere salito a bordo ha deciso di disporre lo sbarco e il sequestro preventivo della nave, ipotizzando il reato di omissione di atti di ufficio.
Nel decreto di sequestro preventivo, il pm di Agrigento Luigi Patronaggio aveva ricordato quali sono le normative internazionali sottoscritte dall’Italia che regolano il soccorso in mare. “L’obbligo di salvataggio delle vite in mare costituisce un dovere degli stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali, finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”, aveva scritto.
Negli ultimi giorni di stallo la situazione a bordo della nave era degenerata: molti naufraghi avevano cominciato a gettarsi in mare per raggiungere la terraferma a nuoto, esasperati dalla lunga attesa. È stata, dunque, la procura di Agrigento ad aprire l’azione giudiziaria contro il ministro dell’interno Salvini nell’agosto del 2019, per poi passare la competenza al tribunale di Palermo, perché il reato riguardava un ministro ed era necessario chiedere l’autorizzazione a procedere al senato.
Il comune di Barcellona, il capitano della nave Marc Reig, l’ong e altre organizzazioni umanitarie e alcuni migranti coinvolti nel caso si sono costituiti parte civile nel procedimento. Le parti civili avanzeranno le loro richieste il 20 settembre, mentre il verdetto è atteso per il 18 ottobre.
Le reazioni
Il ministro dei trasporti e vicepremier Matteo Salvini ha commentato la richiesta dei pm con un video pubblicato sui social network, dicendo che è sotto accusa perché l’opposizione ha deciso di colpirlo politicamente, accusa l’ong di avere rifiutato l’aiuto dei maltesi, dei tunisini e degli spagnoli. Ma l’ong ha invece dimostrato di avere sempre richiesto l’intervento sia di Malta sia dell’Italia. Salvini ha infine rivendicato di essere riuscito a diminuire gli arrivi di stranieri sulle coste italiane, attraverso le sue politiche.
“Mai nessun ministro e nessun governo è stato messo sotto accusa per avere difeso i confini del proprio paese, mi dichiaro colpevole di avere difeso l’Italia e gli italiani”, ha detto Salvini nel messaggio registrato.
(Grok)
Il vicepremier ha ricevuto il sostegno della presidente del consiglio Giorgia Meloni, ma anche quello del ministero dell’interno, che con l’account istituzionale di X (ex Twitter) del Viminale ha espresso solidarietà al leader della Lega, che ha ricevuto le lodi del premier ungherese Viktor Orbán e del miliardario e proprietario di X (ex Twitter) Elon Musk, che in un tweet ha commentato: “Quel pazzo di pubblico ministero dovrebbe essere lui quello che va in prigione per sei anni”.
La portavoce di Open Arms, Valentina Brinis, ha commentato la requisitoria e la richiesta di condanna dei pm con soddisfazione, ma ha chiarito che ad avanzare la denuncia contro il ministro Salvini non è stata l’ong, che è parte civile nel processo, ma il tribunale dei ministri di Palermo, in seguito all’intervento del procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio.
“Da parte nostra, c’è sempre stata la richiesta (…) che fosse fatta verità su questo caso”, spiega Brinis. “Volevamo capire come mai per tutti quei giorni c’è stata una situazione di sospensione del diritto internazionale e non arrivava da nessuna parte l’autorizzazione allo sbarco. Questa richiesta di verità serve a restituire dignità al nostro lavoro di soccorritori e dignità alle 147 persone che sono state, secondo l’accusa, tenute in ostaggio da chi attualmente è accusato di sequestro di persona plurimo”.
In un passaggio della requisitoria è emerso anche che era stato mandato un sottomarino della Marina militare a controllare l’attività di Open Arms, ha detto Brinis, e che quindi “il ministero della difesa si era reso conto che c’era un’imbarcazione sovraccarica di persone.
Però la loro priorità è stata quella di segnalare l’attività dell’ong invece che soccorrere l’imbarcazione in difficoltà. Quindi questo processo è molto importante anche da questo punto di vista, perché ristabilisce alcune importanti verità”.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Frontiere.
Sérgio Mendes, lo spirito pop della bossa nova (ilmanifesto.it)
Lutti.
Addio all’artista brasiliano, noto per la sua versione travolgente di «Mas que nada», il classico di Jorge Ben
Se ne è andato a 83 anni Sérgio Mendes, pianista, cantante, compositore e splendido divulgatore pop della bossa nova negli anni Sessanta; la sua salute era peggiorata per gli effetti a lungo termine del Covid.
È stato uno dei padri spirituali delle riscoperte lounge anni Novanta, apprezzato per quelle tante cover easy listening iniettate di suoni latin e jazz di classici di Beatles (The Fool on the Hill), Simon and Garfunkel (Scarborough Fair), Otis Redding, Stevie Wonder e molti altri; Herb Alpert Presents Sergio Mendes & Brasil ’66, primo album del 1966 dell’omonimo progetto, è il disco che lo impone a livello internazionale – in precedenza i lavori a suo nome e con i Brasil ’65 non avevano avuto successo; l’album è presentato da Alpert che lo produce con Jerry Moss, entrambi fondatori dell’etichetta A&M; è cantato anche in inglese e soprattutto è presente all’interno una versione travolgente di Mas que nada (che nel 2006 ri-registrerà con i Black Eyed Peas), il classico di Jorge Ben; quella cover gli aprirà tutte le porte.
Poi nel 1967 arriva il rifacimento di The Look of Love di Bacharach, altro pezzo che gli darà massima visibilità portandolo ai primi posti in classifica negli Usa.
Seguiranno dischi a nome Brasil ’77 e album a suo nome ma è il gruppo Brasil ’66 che resterà nel tempo al cuore della produzione dell’artista.
Sérgio Mendes, nato in Brasile e trasferitosi nel 1964 negli Stati Uniti, ha incarnato la quintessenza dell’easy listening; negli anni la sua bossa nova raffinatissima, ibridata con pop e jazz, ha innervato una sfilza di cover e di brani originali, rivelandosi spesso negli Usa un antidoto, veloce e lieve, alle turbolenze sociali e belliche anni Sessanta e inizio Settanta.