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Le nostre ambiguitàsu kiev (corriere.it)

di Paolo Mieli

L’uso delle armi

Volodomyr Zelensky ha annunciato, nel corso del meeting di Cernobbio, che a novembre renderà pubblico un proprio piano di pace.

Ne discuterà adesso con Biden e con la Harris, ma lo presenterà a novembre, dal momento che solo allora si conoscerà il nome del nuovo presidente degli Stati Uniti. Presidente con il quale dovrà concordare qual è la porzione d’Ucraina che è disposto a cedere ai russi e quali sono le reali garanzie che l’Occidente è pronto ad offrire per mettere al sicuro quel che del Paese rimarrà nelle sue mani.

L’annuncio è avvenuto a ridosso di un incontro da lui molto apprezzato con Giorgia Meloni di cui si fida fin dai tempi in cui si schierò dalla parte di Kiev allorché il suo partito era all’opposizione del governo presieduto da Mario Draghi (e, di conseguenza, avrebbe avuto tutto l’interesse a tenersi quantomeno sul vago). Zelensky conosce benissimo il rapporto molto forte che lega la nostra presidente del Consiglio a Kaja Kallas, la futura ministra degli Esteri della Ue filo ucraina alla quale, come del resto alla von der Leyen, ha dato voto contrario.

Però in tempi recenti, in materia d’adesione alla causa di Kiev, le cose sono un po’ cambiate. L’Italia è stata, assieme all’Ungheria, l’unico Paese europeo a schierarsi contro l’uso delle armi inviate dai Paesi occidentali per colpire le basi russe.

Basi da cui partono i micidiali missili russi che stanno devastando quel che è ancora in piedi nella parte tuttora libera dell’Ucraina. E stavolta a sinistra nessuno — eccezion fatta per l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini — ha levato la propria voce contro questa iniziativa di «stampo orbaniano». Laddove ad ogni evidenza è stata l’Italia — ripetiamo: unico Paese in Europa — ad avvicinarsi alle posizioni ungheresi e non viceversa. Il che vuole dire che per una parte consistente della sinistra italiana ci sono occasioni – e non di poco momento – in cui le posizioni di Orbán si fanno apprezzabili.

Curioso che l’altro ospite d’eccezione invitato a Cernobbio sia stato proprio l’ungherese Viktor Orbán, quasi a controbilanciare la presenza di Zelensky. E a dichiarare, implicitamente, una sorta di equidistanza da parte degli organizzatori del consesso. Piccoli dettagli che indicano il mutare dei tempi. E l’Italia da tempo immemorabile, secoli, è il Paese più sensibile nel registrare questo genere di variazioni.

Orbán ha dichiarato: «Giorgia Meloni non è solo una collega, è mia sorella cristiana». E ha riproposto la sua mediazione per un immediato «cessate il fuoco». Prospettiva che Zelensky ritiene assai poco rassicurante se non inquadrata in un accordo granitico che garantisca la sopravvivenza della parte del suo Paese che resta ancora in piedi.

Contemporaneamente il ministro della Difesa Guido Crosetto ha fatto la sua rentrée politica di fine estate — forse non casualmente — ad una festa del Fatto quotidiano dove è stato accolto persino con degli applausi (ma anche qualche brusio prontamente arginato da Antonio Padellaro). Crosetto ha ribadito le ragioni degli aggrediti ma qualche ora prima si era detto entusiasta per il titolo di un dispaccio di agenzia («Zelensky: l’Italia sta facendo di tutto per arrivare alla pace»).

Flash che, per ragioni di spazio, ometteva quel che il leader ucraino aveva aggiunto nell’intero discorso e ventiquattr’ore prima in un incontro di tre ore a Ramstein. Laddove chiedeva a tutti i Paesi europei, Italia compresa, che gli fosse concesso di disporre delle armi fornitegli in modo da poterle usare contro le rampe da cui partono i missili che stanno distruggendo il suo Paese. Vale a dire la Russia: non Mosca, ovviamente, ma l’area confinante con l’Ucraina, quella di Kursk.

A chiarire ancor meglio la questione ci ha pensato l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la sicurezza Josep Borrell, anch’egli invitato al Forum Ambrosetti. Borrell, dicendosi d’accordo al 100% con le parole sull’Ucraina della premier ha domandato agli astanti: «Ma perché l’Italia non permette all’Ucraina di usare le armi che le fornisce per colpire le basi russe all’interno del territorio russo?».

La rappresentanza governativa italiana è rimasta in silenzio. Si tratta della stessa «impunità», ha sottolineato a questo punto Borrell, con cui «Israele sta distruggendo Gaza». E qui gli astanti hanno ripreso vivacità. A fronte di un uditorio pressoché unanime nella condanna di Netanyahu, il capo della diplomazia europea ha detto in modo alquanto schietto quel che Zelensky per doveri di ospitalità aveva messo in evidenza con modalità appena più sfumate.

Era come se chiedesse loro, in particolare agli italiani: come mai chiedete («giustamente», secondo Borrell) all’Europa di essere inflessibile con Israele e siete paralizzati dal dubbio quando si tratta della Russia? Implicitamente ci ha rimproverati di usare, con Russia e Israele, due pesi e due misure.

Le considerazioni di Borrell possono essere discusse all’infinito. Sia per quel che riguarda Israele, sia per quel che riguarda la Russia. Ma la contraddizione, non solo orbaniana (il leader magiaro è in Europa quello più disponibile ad ascoltare le ragioni di Netanyahu), merita di non essere lasciata cadere.

La difesa dell’Ucraina, il disonore di destra e sinistra, e il riscatto morale dell’Italia (linkiesta.it)

di

Una modesta proposta

Un programma chiaro e semplice, fatto di un solo punto (fermare la Russia), per aggrapparsi ai pilastri della convivenza civile e ricostruire il tetto della casa comune

Gennaro Sangiuliano è l’agiografo di Vladimir Putin, il criminale che colpisce le città ucraine e uccide civili nel sonno anche perché il governo Meloni pone limiti grotteschi e macabri alla difesa dell’Ucraina. Parlare d’altro, di gossip, è complicità.

Putin è un capo di Stato criminale, la Russia è uno Stato criminale, i russi sono un popolo criminale, la Grande Cultura Russa è una manifestazione di plurisecolare colonialismo culturale e di pulizia etnica di identità diverse cancellate con la violenza e tra gli applausi della comunità occidentale.

Bisogna salvare l’Ucraina e partire da qui, soltanto da qui, perché salvare l’Ucraina significa salvare anche noi. Intorno a questo programma semplice e chiaro, fatto di un unico punto, deve nascere il riscatto morale del nostro paese e si deve ricostruire una convivenza civile degna di questo nome.

Bisogna partire da quei pochi politici e intellettuali che non si girano dall’altra parte, da quelli che capiscono il senso rovinoso della sfida russa alla democrazia liberale e a un modello di vita che sarà anche causa di ineguaglianze e ingiustizie enormi, ma mai quanto quelle create dalle sue alternative.

Sono pochi ma ci sono, quelli da cui ripartire e con cui immaginare una nuova offerta politica e culturale. Sono soprattutto nel Pd, da Pina Picierno a Filippo Sensi a Lia Quartapelle a Lorenzo Guerini a Giorgio Gori (nonostante l’ingenuità tattica del “No” a un emendamento europeo pro Ucraina per tentare di recuperare gli irrecuperabili del suo partito) e tanti altri certo un po’ troppo silenziosi.

Ci sono anche gli ex terzopolisti, con Carlo Calenda per una volta nel ruolo del più consapevole della posta in gioco (nonostante ci sia arrivato in ritardo, dopo un paio di capitomboli iniziali, ma c’è arrivato con precisione e da allora non sbaglia un colpo). Ci sono anche intellettuali rilevanti, da Paolo Giordano ad Angelo Panebianco a Paolo Mieli. Ci sono piccoli giornali d’opinione, ci sono le famiglie politiche europee che resistono, e c’è il gran discorso di Kamala Harris alla convention di Chicago che fa ben sperare che l’America torni a fare l’America liberandosi una volta per tutte degli insurrezionalisti di Donald Trump.

Ci sono le istituzioni di Bruxelles che tutto sommato hanno retto, e ci sono i favolosi paesi della nuova Europa che si sono liberati l’altro ieri dal colonialismo di Mosca e ancora adesso si sentono minacciati. C’è Emmanuel Macron. La Gran Bretagna c’è sempre stata. C’è Mario Draghi.

Una missione impossibile, ma neanche tanto. Si tratta di mettere temporaneamente da parte le differenze ideologiche e programmatiche, e i personalismi adolescenziali, per consolidare le fondamenta della casa comune, rialzare i pilastri del diacorso pubblico e ricostruire il tetto in modo da garantire a tutti una coabitazione civile.

I putiniani di destra e sinistra sono i demolitori della società aperta, un pericolo serio per la democrazia liberale a tutte le latitudini. Il governo Meloni, che ha fatto tanto per l’Ucraina un po’ per convenienza un po’ per convinzione, da qualche tempo ha cominciato a cambiare direzione, quella in realtà più congeniale alla tradizione della destra autoritaria e neo, ex, post fascista, e lo ha fatto un po’ per inseguire i putiniani spudorati della maggioranza, un po’ per anticipare la possibile vittoria in America del grande alleato di Putin.

Elly Schlein poteva scegliere tra l’Ucraina e il disonore, ma ha scelto la Liguria, l’accordo con i putiniani a cinquestelle a favore di quel bel toso di Andrea Orlando a discapito della difesa delle vite degli ucraini.

Prima o poi, Putin sparirà, ma il disonore dei suoi volenterosi complici resterà per sempre.

Schlein&Tajani, quella strana intesa sulle armi ucraine (ildubbio.news)

di Giacomo Puletti

La “strana coppia”

Entrambi dicono no all’uso in territorio russo, ma la leader dem è alle prese con i dissidi interni

Entrambi sostengono in pieno il diritto dell’Ucraina di difendersi, anche con le armi fornite dall’Occidente, e quindi dall’Italia. Entrambi hanno condannato dall’inizio l’invasione russa ma entrambi, di nuovo d’accordo, non vogliono che Kiev utilizzi le armi per colpire in territorio russo, come sta già facendo da alcune settimane.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani e la leader del Pd, Elly Schlein, condividono la stessa linea sulla politica estera ma se il primo rappresenta l’anima “moderata” del centrodestra, costretto a dare un colpo al cerchio e uno alla botte rassicurando gli alleati internazionali ma al tempo stesso non dando troppo vantaggio alla Lega di Salvini (che spinge per la tregua), la seconda deve fare i conti con la parte cosiddetta riformista del partito, che sull’Ucraina ha una posizione netta: occorre permettere a Kiev di usare le nostre armi anche in territorio russo, per colpire le postazioni da cui partono i bombardamenti che quotidianamente colpiscono le città ucraine provocando distruzione e morte.

«L’escalation non è “se reagiamo Putin farà peggio”, l’escalation e “se non reagiamo Putin farà peggio” – ha scritto ieri su twitter il senatore Filippo Sensi, dopo l’ennesimo bombardamento – Alba a Leopoli, ancora missili sul centro della città, ancora fiamme, ancora vittime, ancora feriti in mezzo alle macerie, ancora Russia, ancora Putin, ancora l’Europa e la comunità internazionale a voltarsi dall’altra parte».

I tweet di Sensi si aggiungono alle prese di posizione, più o meno pubbliche, di altri esponenti di spicco del Pd, dal presidente del CopasirLorenzo Guerini, alla vicepresidente del Parlamento europeo, Pina Picierno, fino a Lia Quartapelle e all’ex sindaco di Bergamo, oggi eurodeputato, Giorgio Gori.

«L’Ucraina deve potersi difendere anche prima che i missili russi piovano sulle sue città. Sostenere il contrario – come fanno Ungheria e Slovacchia, e come fa il governo italiano, isolandosi dall’Europa – favorisce soltanto Putin – ha scritto qualche giorno fa sui social Gori – Si può essere mossi da un sincero desiderio di pace (non è il caso di Salvini e di Conte) ma questo è il risultato. Vorrei che il Pd, il mio partito, non venisse meno alla linea di pieno sostegno a Kyiv, meritoriamente tenuta fino ad oggi».

Una posizione che non prevede il sì a che Kiev utilizzi armi occidentali in territorio russo, linea più volte ribadita nelle ultime settimane dalla segretaria Schlein dai palchi delle varie feste dell’Unità.

«Quel che ci unisce è che il Pd continuerà a sostenere l’Ucraina anche a livello militare – spiega al Dubbio un parlamentare dem – La nostra è una posizione netta rispetto ad esempio a M5S e Avs, poi certo sul tema dell’uso delle armi il Nazareno mi sembra molto cauto mentre altri esponenti sottolineano l’urgenza di sostenere l’Ucraina in ogni modo, anche permettendogli di colpire in territorio russo».

Posizione quest’ultima condivisa dai centristi di Azione e Iv, con Carlo Calenda che accusa «la politica italiana, tutta» di voler continuare «come Orban, a far combattere gli ucraini con una mano legata dietro la schiena», esprimendo «vergogna».

«Appare di tutta evidenza che alleati e partner intendano fornire un chiaro segnale all’Italia, rimasta sola insieme con l’Ungheria a sostenere tesi finalizzate a negare all’Ucraina il diritto di colpire nel territorio russo – ha spiegato ieri il capogruppo di Iv in Senato Enrico Borghi dopo la notizia dell’esclusione di Roma da una riunione tra partner occidentali proprio sull’Ucraina –

È indispensabile una correzione di rotta per scongiurare l’innesco di un progressivo e pernicioso isolamento internazionale dell’Italia: per questo abbiamo presentato un’interrogazione urgente e riteniamo che la Premier debba venire in aula ad affrontare il tema».

Ma Tajani, che ieri ha incontrato a Roma lo speaker della Camera dei Rappresentanti Mike Johnson ribadendo «che l’amicizia con gli Stati Uniti è al centro della politica estera del governo» e la «forte convergenza e collaborazione tra Italia e Stati Uniti sui principali temi internazionali», compresa l’Ucraina, continua tuttavia sulla linea del «l’Italia non è in guerra con la Russia».

Una linea che lo stesso senatore dem Sensi definisce sintomo di «un raffreddamento» del sostegno a Kiev da parte di tutto l’Occidente, governo italiano compreso. «Tajani ha una posizione cauta e prudente figlia di un partito che sulla Russia ha una visione di lunga durata – aggiunge Sensi – della Lega è anche inutile parlare, mentre mi pare che la posizione di Meloni regga, ma in silenzio».

Lo studio spagnolo sulle mascherine (butac.it)

di 

Ci avete segnalato un video pubblicato sul canale YouTube de Il Salvagente, video dal titolo:

Studio sulle mascherine: cosa abbiamo respirato in pandemia?

Dura 2 minuti e 15 secondi e potete vederlo qui. Noi abbiamo pensato di fare cosa utile nel trascrivere l’audio con l’aiuto dell’IA e riportarvelo nella sua interezza – ci mettete sicuramente meno a leggere che ad ascoltare:

Cosa abbiamo davvero respirato indossando le mascherine durante la pandemia? Cosa dice la scienza e cosa dovremmo fare per proteggere la nostra salute? Durante la pandemia, le mascherine sono diventate un accessorio essenziale per proteggerci dal COVID. Ma ti sei mai chiesto cosa abbiamo realmente respirato indossandole ogni giorno?

Una nuova ricerca spagnola, pubblicata su Environment International, getta luce su questo interrogativo, rivelando alcuni dati sorprendenti. Nel primo anno di pandemia, sono state utilizzate globalmente circa 450 miliardi di mascherine, la maggior parte realizzate con materiali sintetici come polipropilene, polistirene e politilene tereftalato. Questi materiali, purtroppo, non sono privi di rischi. Durante l’uso, le mascherine possono rilasciare micro e nanoplastiche nell’aria che finiscono nei nostri polmoni. Parliamo di migliaia di particelle per ogni mascherina. Ogni mascherina chirurgica rilascia circa 3152 fibre di microplastiche.

Ma c’è di più. Le mascherine contengono additivi plastici come gli ftalati e gli esteri fosforici organici, noti per i loro effetti tossici, fra cui disturbi endocrini e potenziali effetti cancerogeni. È un quadro che ci fa riflettere sull’impatto di questi dispositivi sulla nostra salute, specialmente per i gruppi più vulnerabili come bambini e donne incinte.

La buona notizia, secondo i ricercatori spagnoli, è che l’esposizione a queste sostanze durante l’inalazione rientra nei livelli accettabili. Tuttavia, il rischio non è del tutto eliminato. Le condizioni di alta temperatura, ad esempio, possono aumentare fino a sette volte il rilascio di additivi plastici dalle mascherine. Il team di ricerca ha testato 36 campioni di mascherine, fra cui chirurgiche, FFP2 e riutilizzabili, simulando l’inalazione su manichini per 10 ore. Gli ftalati sono risultati essere il gruppo di additivi plastici più abbondante, con le mascherine FFP2 che hanno mostrato le concentrazioni più elevate di queste sostanze.

Cosa possiamo fare per ridurre i rischi? Gli scienziati suggeriscono la necessità di ridurre l’uso di plastica monouso e sviluppare strategie migliori per la gestione dei rifiuti.

Il grassetto l’ho aggiunto io, sia mai che che non vi saltasse agli occhi fin da subito. Sì perché vedete, il video riporta (alla fine) cose corrette, ma lo fa con quei toni che piacciono tanto ai negazionisti della pandemia senza specificare fin da subito che appunto lo studio spagnolo ha chiarito che ogni sostanza che può essere stata inalata rientrava comunque in livelli accettabili, ovvero di nessun rischio per il nostro corpo. Come racconta fin dall’inizio l’abstract della ricerca:

Utilizzando queste stime, sono stati valutati i rischi cancerogeni e non cancerogeni associati a questa esposizione a questi composti. Tutti i valori calcolati per i composti specifici studiati in questo documento sono rimasti al di sotto dei limiti di soglia stabiliti.

Quando Il Salvagente dice che “Le condizioni di alta temperatura, ad esempio, possono aumentare fino a sette volte il rilascio di additivi plastici dalle mascherine” dovrebbe specificare che anche in quel caso le emissioni rientrano comunque sotto ai limiti, come spiegato chiaramente nello studio. E invece lo omette.

Non siamo qui per minimizzare, ma riteniamo che questo sia allarmismo, lanciato per solleticare le reazioni di pancia di quei soggetti che avrebbero invece bisogno di un’informazione più completa e precisa, soggetti di cui potete leggere i commenti (qui una minuscola selezione, ma al link de Il Salvagente poco sopra li trovate tutti):

  • Per 5 mesi tutti i giorni venivo buttato fuori dalle guardie della fabbrica perché mi rifiutavo di indossarla e sono rimasto senza stipendio, più altri 7 mesi persi perché non facevo neanche i tamponi. A testa alta.

  • Una cosa che si sapeva da tempo ma che i sapientoni in TV hanno sempre taciuto

  • Ho evitato sia il serietto magico sia la mascherina, potevano farlo tutti e sicuramente ci sarebbero state molte meno morti e molti polmoni più sani

  • Io ho evitato anche i tamponi, se è per questo. E ingannavo i termoscanner indossando berretti zuppi di acqua ghiacciata. [Qui abbiamo riso molto, ndR]

  • Poveri bambini hanno tenuto obbligatoriamente la maschera per 8 ore. Che danno hanno inflitto le maestre che non la facevano nemmeno abbassare.

  • A tutto questo va aggiunta una quantità enorme di CO2 prodotta dai polmoni e nuovamente inspirata più la proliferazione di virus e batteri, naturalmente presenti nell’aria espirata, che nell’ ambiente all’interno della mascherina caldo e umido proliferano velocemente.

  • Non vi è nessuno studio che abbia dimostrato l utilità delle museruole per la pandeminchia. Era anche questa una misura politica di totalitarismo

  • Prima ci hanno obbligati ad indossarle tutto il giorno ora ci dicono che fanno male ma questo studio lo potevano fare prima di farci respirare quello schifo che oltretutto erano prodotte in Bangladesh senza neanche tante norme igieniche.

La mancata moderazione da parte della redazione è la cosa peggiore, perché sciocchezze a parte (qualcuno vuole davvero farci credere di essere entrato in un supermercato con l’acqua che gli scorreva in faccia dal cappello?) è segno a loro vada benissimo quanto riportato nei commenti qui sopra.

È un peccato che nel loro video non abbiano citato l’altro testo, sempre di quest’anno, pubblicato due mesi fa. Una revisione di tutta la letteratura scientifica sull’uso delle mascherinerevisione che sostiene che le mascherine, se ben progettate, ben aderenti e correttamente indossate, sono efficaci nel ridurre la trasmissione di patogeni respiratori. Inoltre la stessa spiega che le mascherine sono particolarmente utili durante le pandemie.

Gli autori della revisione hanno poi affrontato i supposti danni da mascherina, smentendo molte delle affermazioni infondate portate avanti anche grazie a video come quello de Il Salvagente. Anche nella revisione si affronta invece il problema dell’impatto ambientale, quello sì da non ignorare, come spiegano chiaramente gli autori.

Ma riteniamo che quello che andrebbe riportato ovunque è la chiusura della revisione, che riteniamo sia da sola sufficientemente esplicativa:

…il grave pericolo rappresentato dalle narrazioni anti-mascherina guidate dall’ideologia per la salute pubblica e globale dovrebbe essere riconosciuto e affrontato sistematicamente. Il sentimento anti-mascherina è in aumento, insieme al sentimento anti-vaccino, e questo fa presagire male sia per l’attuale che per qualsiasi futura pandemia. Sebbene non esistano soluzioni semplici al problema della disinformazione diffusa, messaggi chiari e coerenti da parte degli enti di sanità pubblica sulle mascherine e altri argomenti critici per la missione aiuterebbero notevolmente.

Noi stavolta davvero non possiamo aggiungere altro.