di Massimiliano Coccia
Nota per Meloni e Schlein
Oleksandra Romantsova, direttrice del Centro per le Libertà Civili di Kyjiv (Premio Nobel per la Pace 2022), racconta a Linkiesta e ai vertici politici dell’Italia l’azione di propaganda e l’uso dei soldi sporchi del Cremlino nell’economia e nel discorso pubblico del nostro paese
Dall’inizio dell’invasione estesa del 24 febbraio del 2022 il nostro Paese è il baricentro della propaganda russa. Che idea si è fatta del posizionamento che la nostra opinione pubblica ha nei confronti di Mosca?
I russi pensano che l’Italia sia ancora ferma agli anni Ottanta e percepiscono il vostro Paese come un misto tra un supermercato e una boutique. I soldi russi influenzano da sempre la percezione della Russia in Italia, non sono soldi puliti, sono soldi sporchi, non tracciati che hanno invaso il mercato molto tempo fa. I soldi russi portano con loro la corruzione e per fermare questo fenomeno sarebbe importante un lavoro giornalistico di tracciamento di tutte queste attività, cercando di comprendere come il denaro continua a filtrare tra le maglie dell’economia italiana. Se non si fermerà questo canale economico la vostra opinione pubblica sarà sempre condizionata.
A questo proposito, come ti spieghi la narrazione tossica intorno alla resistenza ucraina? Prima abbiamo assistito all’equazione “ucraini=nazisti”, poi «è colpa della Nato» e ora siamo al punto della messa in discussione dell’utilizzo delle armi occidentali sul suolo russo, come se resistere significasse difendere un fortino e non cercare di evitare di essere attaccati.
Noi ucraini abbiamo bisogno di armi per proteggerci non per attaccare. Dalla nostra indipendenza non abbiamo mai attaccato la Russia abbiamo solo subito azioni che minassero la nostra integrità territoriale e politica. A Poltava sono state uccise quasi cinquanta persone, persone che non volevano aggredire nessuno. Se l’Occidente non vuole fornici armi allora impedisca alla Russia di fabbricarne, di comprarne di nuove dalla Corea del Nord, dalla Cina e dell’Iran, se alcuni Paesi europei ritengono che non dobbiamo usare le loro armi per difenderci allora attuino delle sanzioni più stringenti per tagliare le opportunità alla Russia di aumentare il suo arsenale.
Gli stessi che invocano la resa dell’Ucraina nei fatti da mesi parlano di soluzione diplomatica al conflitto. Cosa ne pensa?
È assolutamente fantastico, sono d’accordo. In termini diplomatici sogno che il meccanismo della giustizia internazionale funzioni, che il meccanismo degli accordi internazionali funzioni per garantire l’integrità dei cittadini ucraini e del nostro territorio ma al momento tutto questo non esiste e l’unico modo che abbiamo per non soccombere è quello di difenderci e respingere l’invasore russo. Le sanzioni sono state utili ma andrebbero incrementate, lo status di Paese candidato dell’Unione Europea è centrale per il nostro futuro ma noi rischiamo di non avere un futuro. Quello che accade oggi all’Ucraina potrebbe accadere a qualsiasi altro Paese europeo perché le istituzioni occidentali non hanno una risposta unitaria, politica e decisa all’attacco delle autocrazie contro le democrazie. La Russia si muove con intenti imperialistici e gli altri regimi autocratici pensano solo a come incrementare la loro potenza.
Nonostante il mandato di cattura internazionale la Mongolia non ha eseguito l’arresto di Vladimir Putin. Se lo aspettava e come ha preso questa notizia l’opinione pubblica ucraina?
Formalmente la Mongolia ha dichiarato che non ha arrestato Putin perché non era nelle condizioni di trasferirlo in sicurezza poiché confinano con la Russia e con la Cina. Ovviamente è mancata la volontà politica anche per la dipendenza che Ulan Bator ha nei confronti di Mosca. Noi dobbiamo continuare una pressione forte a livello internazionale, sia con le associazioni che con i paesi membri della Corte Internazionale, occorre avere coraggio per innovare gli strumenti perché le guerre sono non sono più quelle del secolo scorso e per questo abbiamo bisogno di avere persone che abbiano il coraggio e la motivazione sufficiente per spingere tutti noi verso una nuova era del diritto internazionale umanitario, verso nuovi accordi, nuove risposte e nuove sfide rispetto alle nuove guerre.
Lei ha iniziato il suo impegno come operatrice volontaria del call center durante i giorni di Piazza Maidan a Kyjiv e ha proseguito impegnandosi con il Centro per le libertà civili arrivando a essere insignita del Premio Nobel per la Pace. Ha lavorato per documentare i crimini di guerra russi in Crimea, crimini di cui oggi le opinioni pubbliche mondiali conoscono poco o niente. Basti pensare che nel nostro Paese non c’è nessuna pubblicazione in merito e sembra quasi che Donbas e Crimea siano per tutti dei territori da sacrificare, una sorta di dono imperiale per Putin.
Il fatto che nessun editore italiano abbia pubblicato qualcosa è molto grave. È vero quello che sta dicendo: per molti Donbas e Crimea non sono un territorio con una popolazione, non sono un posto dell’Ucraina, non sono il sette per cento del territorio ucraino, non sono una porzione di un territorio europeo, ma sono la scusa per assecondare la volontà criminale di Putin che non sostiene solamente la supremazia su questo pezzo di terra, ma dichiara che quello è il punto di partenza per rivendicare ciò che considera Russia. I territori in questioni sono variegati, hanno molte influenze linguistiche, sono abitati da minoranze che hanno sempre convissuto pacificamente tra loro, ma lo schema del Cremlino è semplice: occupare, usare violenza e reprimere. Dal 2014 in poi i crimini orrendi che sono stati commessi hanno distrutto la vita di migliaia di ucraini che vivono in modo orrendo ogni violenza sulla propria pelle. La repressione del dissenso è arrivata anche nei territori occupati dal 2014 correlata da violenze fisiche e psicologiche atroci.
In conclusione, in Italia, maggioranza e opposizione (con l’eccezione di molti singoli e di qualche partito) concordano sul divieto di utilizzare le armi che il nostro Paese fornisce all’Ucraina sul territorio russo. Antonio Tajani, ministro degli Esteri, sostiene che il nostro Paese non è in guerra con la Russia. Che giudizio ha su questa decisione e quanto può nuocere agli ucraini?
Vorrei ricordare ad Antonio Tajani, Giorgia Meloni, Elly Schlein e a coloro che appoggiano questa decisione che è la Russia ad aver iniziato la guerra uccidendo i nostri figli, i nostri anziani e i nostri fratelli, invadendo il nostro territorio, commettendo crimini di guerra nelle nostre città. Lo ha fatto perché per otto anni c’è stata indifferenza e complicità col regime di Putin anche da parte dei Paesi europei. Voglio dire a loro che se cade l’Ucraina cadrà anche l’Italia perché Putin non si fermerà così come nessun impero coloniale si è mai fermato. Noi non vogliamo nessun territorio russo, non vogliamo attaccare nessun civile, non vogliamo portare morte e distruzione, vogliamo vivere in pace facendo parte dell’Unione Europea. Chi oggi per calcolo elettorale, per posizionamento politico o semplicemente per ignavia o peggio ancora complicità sostiene questa posizione molto strana e priva di senso logico e strategico somiglia molto a chi prima della Seconda guerra mondiale esultava per l’accordo di Monaco e pensava che con piccole concessioni territoriali si sarebbe potuto fermare il nazifascismo.
