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Chi sono i principali alleati di Donald Trump in Europa? (euronews.com)

di Andrew Naughtie

Dai governi di Ungheria e Slovacchia ai partiti 
di opposizione filorussi, l'ex e forse futuro 
presidente degli Stati Uniti Trump ha amici in 
tutto il continente

Con le elezioni americane in vista, i leader europei si stanno preparando a un’altra possibile presidenza di Donald Trump – un evento che avrebbe importanti implicazioni non solo per il commercio e la diplomazia, ma anche per l’architettura di sicurezza collettiva che ha mantenuto gran parte dell’Europa relativamente pacifica dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Per ora, la campagna di Trump si è concentrata principalmente sul suo programma interno, ma il suo mandato porta con sé diverse indicazioni su come affronterà i rapporti del suo Paese con l’Europa.

Ha anche chiarito chi considera i suoi alleati: un arcipelago di capi di governo e di opposizione di destra, molti dei quali condividono il suo disprezzo per le istituzioni internazionali, il multiculturalismo, la politica sociale progressista e il libero scambio.

Allo stesso tempo, gli sviluppi politici in vari Paesi e regioni, non ultima l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, significano che una nuova amministrazione Trump avrebbe nuove relazioni da costruire e nuovi problemi da gestire – o addirittura da cui lavarsi le mani.

L’Ungheria di Viktor Orbán

Trump e la sua cerchia sono vicini all’autocrate ungherese Viktor Orbán, che ha promosso con entusiasmo la sua versione di “democrazia illiberale” nonostante i ripetuti scontri con l’Ue sullo stato di diritto nel suo Paese.

Orbán è particolarmente noto per indulgere in teorie cospirative su presunte ingerenze “globaliste” negli affari interni, che ha usato come pretesto per limitare le libertà dei media e del mondo accademico a un livello che lo pone ben al di fuori del mainstream dell’Ue.

Molti esponenti della destra americana hanno esplicitamente celebrato la leadership di Orbán come modello per “salvare” gli Stati Uniti. Questi stessi legislatori e commentatori sono spesso criticati per la loro apertura al punto di vista del Cremlino sull’Ucraina – come ad esempio il fatto che la NATO e l’Occidente non hanno motivo di opporsi all’invasione russa su larga scala del Paese, iniziata all’inizio del 2022.

L’Ungheria non sarà il più grande Paese europeo, ma può esercitare un potere di veto in varie istituzioni dell’Ue e nella NATO, dove Orbán si è unito alla Turchia per bloccare l’adesione della Svezia per diversi mesi.

L’Ungheria detiene anche la presidenza di turno dell’Ue fino alla fine di quest’anno, e Orbán l’ha già usata per fomentare discussioni con la Commissione e il Parlamento. Ha fatto particolarmente infuriare i leader mainstream di Bruxelles incontrando personalmente il Presidente russo Vladimir Putin quest’estate e ha continuato a perseguire con esuberanza una politica estera idiosincratica che lo mette in contrasto con molte capitali europee.

Orbán è tuttavia una specie di anomalia per quanto riguarda i leader dell’Ue. Non c’è nessun altro governo di lunga data alla sua destra e in Polonia, uno dei governi più importanti della sua parte dello spettro ideologico è stato votato quasi un anno fa.

Un altro Paese da monitorare è la Slovacchia, dove il primo ministro di destra Robert Fico è tornato al potere nel 2023. Fico, che come Trump è recentemente sopravvissuto a un attentato, ha un orientamento anti-LGBTQ+ e anti-immigrazione e, come Orbán, ha dato un giro di vite ai media liberi del suo Paese. Inoltre, è molto più vicino a Putin rispetto alla maggior parte dei leader europei.

L’Italia di Georgia Meloni

Uno dei potenziali alleati più mainstream di Trump è Giorgia Meloni, primo ministro italiano.

Attualmente è la leader più di destra del G7 – con la possibile eccezione del premier giapponese Fumio Kishida – e ha lavorato per coltivare le relazioni con la destra internazionale.

Ma ha anche evitato con successo di acquisire uno stigma in stile Orbán tra i centristi dell’Ue, nonostante le sue posizioni culturalmente conservatrici e nazionaliste e nonostante il fatto che il suo governo di coalizione includa la Lega, aggressivamente anti-immigrazione.

La premier italiana Giorgia Meloni
(La premier italiana Giorgia MeloniMauro Scrobogna/LaPresse)

Se Trump dovesse essere rieletto, la Meloni avrà un alleato ideologico naturale al potere oltreoceano. E se dovesse dimostrarsi abile nel costruire un rapporto con la sua amministrazione come ha fatto con altri governi, potrebbe rivelarsi una sorta di ponte tra la nuova amministrazione Trump e un’UE le cui priorità potrebbero essere seriamente frustrate dal suo probabile programma.

La destra radicale europea

Il luogo in cui Trump troverà i suoi più devoti sostenitori europei, tuttavia, è la destra estrema, la maggior parte della quale è all’opposizione o influenza l’opinione pubblica al di fuori della politica eletta.

Diversi partiti ben noti, come Vox in SpagnaRassemblement National in FranciaAlternativa per la Germania (AfD) e Reform nel Regno Unito, finora non sono riusciti a entrare nel governo nazionale, ma hanno fatto grandi progressi nell’ultimo decennio, aumentando i loro numeri nei parlamenti nazionali e, nel caso dell’AfD, conquistando la quota maggiore di voti in una recente elezione regionale.

Come Trump, questi partiti tendono a opporsi all’immigrazione di massa, in particolare dai Paesi più poveri e prevalentemente musulmani. Spesso condividono lo scetticismo nei confronti della NATO, dell’Ue e di altre istituzioni internazionali, e in genere si rivolgono a elettori socialmente conservatori con un tradizionale senso di identità nazionale, sottolineando al contempo come il “sistema” – globale o nazionale – abbia lasciato indietro i “loro” elettori.

Un poster dell'AfD a Francoforte
(Un poster dell’AfD a FrancoforteMichael Probst/Copyright 2024 The AP. All rights reserved)

Inoltre, alcuni dei loro leader si sono associati direttamente a Trump e ai suoi alleati statunitensi. Questo è particolarmente vero per il leader di Reform UK Nigel Farage, che quest’anno ha ottenuto per la prima volta un seggio in parlamento. È apparso a numerosi eventi di Trump e ha rilasciato molte interviste agli organi di destra statunitensi.

Tuttavia, le previsioni secondo cui questa tendenza potrebbe conquistare l’egemonia nella politica europea si sono rivelate finora poco azzeccate. Il partito di Farage ha solo una manciata di parlamentari e non ha alcuna influenza sull’attuale governo, mentre il Rassemblement National ha deluso le aspettative nelle elezioni francesi di quest’estate.

Anche l’AfD – che ha guadagnato diversi consensi – è anche sotto il controllo dei servizi di sicurezza per i suoi presunti legami con l’estremismo di estrema destra.

A livello europeo, le elezioni parlamentari tenutesi a giugno di quest’anno non hanno visto l’impennata populista e di estrema destra che molti osservatori si aspettavano, spianando la strada al centrodestra e all’internazionalista Ursula von der Leyen per ottenere un altro mandato come presidente della Commissione.

Ciò significa che, in caso di rielezione, Trump avrà a che fare con un’Europa i cui principali leader non sono, per la maggior parte, inclini a sfidare le norme e a privilegiare la sovranità.

È probabile invece che l’Ue e la maggior parte degli altri Paesi europei continuino a percorrere la strada del multilateralismo a favore dell’Ucraina e, se non altro, le implicazioni di una seconda presidenza Trump per la presenza internazionale degli Stati Uniti sono un incentivo a mantenere il centro.

Non è vero che l’Ue chiede di dare l’assegno unico a tutti gli immigrati (pagellapolitica.it)

di Davide Leo

Unione europea

Lo ripete Giorgia Meloni, che contesta le critiche della Commissione europea al sostegno per le famiglie con figli. Vediamo come stanno davvero le cose

Negli scorsi giorni la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha smentito l’indiscrezione, pubblicata il 29 agosto dal quotidiano la Repubblica, secondo cui la prossima legge di Bilancio per il 2025 taglierà il cosiddetto “assegno unico e universale”. In un video pubblicato sui social network, Meloni ha dichiarato che il suo governo «sta dando battaglia in Europa» per difendere la misura di sostegno alle famiglie, «visto che la Commissione ci dice che dovremmo darlo anche a tutti gli immigrati che esistono in Italia».
Secondo la presidente del Consiglio, questa richiesta «vorrebbe dire, di fatto, uccidere l’assegno unico». Meloni è tornata sulla questione il 30 agosto, durante un Consiglio dei ministri, parlando di «modifiche folli, ingiuste per le famiglie italiane e insostenibili per l’equilibrio dei conti dello Stato», avanzate da «qualche zelante commissario europeo».
No, il Governo Meloni non abolirà l’assegno unico nella prossima legge di bilancio. Diffidate dalle fantasiose ricostruzioni su una Manovra ancora da scrivere. Noi continuiamo a lavorare per un’Italia migliore e più giusta, dopo anni di disastri della sinistra. pic.twitter.com/P5nexwK0j3

«L’assegno unico non si tocca e nessuno lo ha ipotizzato. Mai stato in agenda. Semmai dobbiamo opporci ai ritocchi chiesti dall’Europa: non si può dare anche agli immigrati, non è sostenibile», ha detto il 1° settembre il leader di Forza Italia Antonio Tajani in un’intervista con Il Messaggero.

Ma è vero che alla Commissione europea non piace l’assegno unico italiano così come è strutturato ora, e che per questo vorrebbe addirittura “ucciderlo”? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulle parole di Meloni e Tajani per capire che cosa c’è di vero, e che cosa no, nelle loro accuse.

L’assegno unico e i suoi beneficiari

L’assegno unico e universale, più spesso chiamato “assegno unico”, è stato introdotto a dicembre 2021 dal governo Draghi, sulla base di una legge delega approvata dal Parlamento a marzo dello stesso anno, ed è entrato in vigore nel 2022. In quel periodo, nonostante fosse all’opposizione in Parlamento, Fratelli d’Italia aveva votato a favore della legge che ha delegato il governo a introdurre la misura di sostegno alle famiglie.

Come suggerisce il nome, l’assegno unico e universale è diretto a tutte le famiglie con figli a carico, indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori (occupati e disoccupati) e senza un limite massimo di reddito. L’importo dell’assegno varia comunque in base all’Isee della famiglia richiedente, se i figli sono minorenni o no, e sono previste maggiorazioni in caso di figli con disabilità, di madri di età inferiore ai 21 anni, di nuclei familiari numerosi e di altre situazioni particolari.

Con la legge di Bilancio per il 2023 il governo Meloni ha alzato del 50 per cento l’importo dell’assegno unico per i nuclei con figli minori di un anno di età e per quelli con quattro o più figli a carico, e ha aumentato di quasi 3 miliardi di euro i finanziamenti della misura per gli anni 2023, 2024 e 2025.

Secondo i dati Inps più recenti, nei primi sei mesi del 2024 hanno beneficiato dell’assegno unico 6,2 milioni di famiglie, con 9,8 milioni di figli, per un importo erogato complessivo pari a quasi 10 miliardi di euro (gli stanziamenti per tutto il 2024 ammontano a 18,7 miliardi di euro). A giugno l’importo dell’assegno mensile è stato in media pari a 170 euro a figlio.

Le critiche della Commissione Ue

A febbraio 2023 la Commissione europea ha inviato una lettera al governo italiano sostenendo, in estrema sintesi, che l’assegno unico viola le norme europee e discrimina i lavoratori stranieri, in particolare quelli comunitari. Questa lettera è il primo passaggio dell’apertura di una procedura d’infrazione, lo strumento con cui l’Unione europea fa rispettare il proprio diritto agli Stati membri. A novembre 2023 la Commissione Ue ha ribadito la propria posizione, inviando un parere motivato a cui il governo italiano non si è adeguato.

Per questo motivo, lo scorso luglio la Commissione Ue ha presentato un ricorso contro l’Italia davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, l’organismo indipendente che deve far rispettare in modo omogeneo il diritto europeo nei 27 Paesi Ue. Ma entriamo più nel dettaglio nelle critiche della Commissione Ue per capire se è vero, come dicono Meloni e Tajani, che il governo dovrebbe dare l’assegno unico a tutti gli immigrati.

In base alle regole attuali, per richiedere l’assegno unico e universale bisogna rispettare alcuni requisiti: essere cittadini italiani o di un Paese Ue, oppure di un Paese non europeo, in possesso del permesso di soggiorno lungo periodo, ossia lungo dieci anni, o di un permesso di lavoro per un periodo superiore a sei mesi; pagare le imposte sul reddito in Italia; essere residente o domiciliato in Italia; e aver risieduto nel nostro Paese per almeno due anni, non per forza continuativi, oppure avere un contratto di lavoro di durata superiore a sei mesi.

Secondo la Commissione Ue, questi criteri non rispettano il diritto europeo, e in particolare violano il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) e due regolamenti. Per questo motivo l’assegno unico – per come è stato concepito dal governo Draghi – «non tratta i cittadini dell’Ue in modo equo, il che costituisce una discriminazione».

Il Tfue prevede (art. 45) «l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro». Per la Commissione Ue, l’assegno unico viola questo principio, dal momento che il requisito dei due anni di residenza in Italia rappresenta una discriminazione nei confronti delle famiglie di cittadini Ue che si sono trasferite da poco nel nostro Paese per motivi di lavoro.

Nel comunicato con cui la Commissione Ue ha fatto ricorso contro l’Italia alla Corte di giustizia dell’Ue, è specificato che «in base al principio di parità di trattamento» stabilito dal Tfue i lavoratori transfrontalieri dell’Ue «che lavorano in Italia senza risiedervi, coloro che si sono trasferiti di recente in Italia o coloro i cui figli risiedono in un altro Stato membro, dovrebbero ricevere le stesse prestazioni familiari degli altri lavoratori in Italia».

Le disposizioni previste dal Tfue sono riprese in altri due regolamenti europei, anche questi citati dalla Commissione Ue nei documenti sulla procedura d’infrazione. Ricordiamo che i regolamenti europeo sono atti legislativi vincolanti e si applicano direttamente, senza distinzioni, in tutti e 27 gli Stati membri. Il primo regolamento è del 2011, è dedicato alla libera circolazione dei lavoratori e stabilisce (art. 7, comma 2) che un lavoratore cittadino di uno Stato membro dell’Ue che si trova in un altro Stato membro «gode degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali».

Il secondo regolamento è del 2014 e riguarda il coordinamento tra i 27 Paesi Ue dei sistemi di previdenza sociale. Questo regolamento stabilisce (art. 4) che i lavoratori europei «godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato».

Secondo la Commissione Ue, sulla base di questo regolamento, anche i lavoratori transfrontalieri «dovrebbero essere trattati allo stesso modo dei cittadini dello Stato membro in cui lavorano, e hanno diritto allo stesso livello di prestazioni familiari, anche per i figli a carico che risiedono in modo permanente in un altro Stato membro».

Ricapitolando: la Commissione Ue sostiene che a oggi l’assegno unico svantaggia alcune famiglie che in base alle norme europee dovrebbero poterlo ricevere.

La posizione del governo

Il governo Meloni è contrario all’allargamento della platea di possibili beneficiari dell’assegno unico: secondo la presidente del Consiglio e secondo i partiti di maggioranza, se si togliesse il requisito dei due anni di residenza in Italia, aumenterebbero le famiglie destinatarie del sussidio e di conseguenza salirebbero in modo insostenibile anche le spese dello Stato per finanziare la misura.

Ma se fossero accolte le richieste della Commissione Ue, davvero dovrebbero beneficiare dell’assegno unico tutti gli «immigrati» presenti in Italia, come ha detto Tajani, e non solo quelli provenienti da Paesi Ue? Oppure ci sarebbero ancora dei paletti?

«Il trattato europeo e i regolamenti citati dalla Commissione nella procedura di infrazione si rivolgono ai lavoratori comunitari: su questo non c’è dubbio», ha spiegato a Pagella Politica una fonte interna alla Corte di giustizia dell’Ue, che ha preferito restare anonima. «Secondo i regolamenti, tra i lavoratori dell’Ue non ci possono essere discriminazioni: in pratica la Commissione dice che un francese che domani si trasferisce in Italia per lavoro deve da subito godere degli stessi diritti di un lavoratore italiano, senza dover aspettare di risiedere nel nostro Paese per due anni».

Al tempo stesso, ci è stato spiegato che i documenti in questione riguardano nello specifico «i diritti dei lavoratori europei, dei rifugiati e delle loro famiglie», senza includere esplicitamente i lavoratori immigrati provenienti da Paesi non europei. Dunque, in base a quanto richiesto dalla Commissione Ue, il governo italiano dovrebbe togliere i vincoli della residenza solo per i cittadini comunitari, ossia quelli provenienti dagli altri 26 Stati Ue, e non per tutti.

La questione comunque non è ancora stata definita del tutto, tant’è che su questa vicenda è stata chiamata a pronunciarsi la Corte di giustizia dell’Ue. Vari Stati non europei, come l’Albania e il Marocco, hanno firmato accordi con l’Ue per fare in modo che i loro cittadini possano avere diritto «alle stesse condizioni di lavoro dei cittadini del Paese d’accoglienza».

Di conseguenza, secondo il governo italiano, potrebbe succedere che, allargando la platea dei beneficiari ed eliminando dal testo il requisito dei due anni in Italia, oltre ai cittadini degli Stati Ue il sussidio potrebbe raggiungere “a cascata” anche alcuni lavoratori extracomunitari.

«Questo in linea di massima è possibile, ma bisogna vedere bene che cosa dicono i singoli accordi con gli Stati», ha spiegato la fonte interna alla Corte di giustizia dell’Ue. «In ogni caso non ci sono dubbi che i regolamenti citati, così come il trattato fondativo, siano pensati per i cittadini Ue e non si estendano mai automaticamente» a tutti gli altri lavoratori.

Al momento non esistono stime ufficiali né su quanto aumenterebbe la platea dei beneficiari se il governo italiano cedesse alle richieste dell’Ue né su quanto dovrebbero aumentare gli stanziamenti per finanziare l’assegno unico.

Se la Corte di giustizia dell’Ue accerterà che lo Stato italiano sta violando il diritto europeo, il governo Meloni sarà tenuto a prendere provvedimenti e modificare l’assegno unico. Se la sentenza non sarà rispettata, l’Italia potrà essere sanzionata con una multa.

Meloni vince perché somiglia ai suoi elettori, mentre Schlein non rappresenta nessuno (linkiesta.it)

di

L’avvelenata

Ultimo stadio

La presidente del Consiglio è un’arcitaliana fatta e finita, la sua rivale di sinistra è un modello per gli aspiranti stylist di Porta Venezia che mangiano cous cous e forse, chissà, per gli ammiratori di Valentina Petrillo. Chi si comprerà il libro di Elly e, soprattutto, per chi votano gli ascoltatori di cantanti di successo a me sconosciuti

Cinque anni fa, a Sanremo ci fu una polemica che lì per lì sottovalutai. Riguardava la vittoria di Mahmood, che con “Soldi” aveva battuto Ultimo. La sottovalutai perché “Soldi” era così evidentemente la più bella canzone italiana di questi anni che polemizzare non poteva che essere indizio di fesseria.

Ma la sottovalutai anche perché non avevo, prima di quel Sanremo, sentito nominare nessuno dei due, epperciò mi pareva una gara tra ignoti. Finché qualcuno mi disse: ma Ultimo fa gli stadi. Ora, ormai i concerti negli stadi li fanno i cani e i porci, ma non moltissimi anni fa «fare gli stadi» era ancora il segno che eri un, scusate la citazione, colosso della musica.

E invece ora c’era un cantante che riempiva l’Olimpico e io non sapevo esistesse, e fin lì non era grave: non ascolto i viventi. Il dettaglio preoccupante è che nessuno dei miei amici, quelli che invece i viventi li ascoltano perché hanno il terrore d’essere definiti «boomer», aveva mai sentito una canzone di Ultimo.

Sono passati cinque anni. Continuo a non aver mai sentito una canzone di Ultimo, a non conoscere nessuno che abbia mai sentito una canzone di Ultimo, figuriamoci che sia stato a un concerto di Ultimo. Di Ultimo che, leggo, in otto anni di carriera ha riempito quarantuno stadi. Dunque non conosco l’Italia? Non basta che veda religiosamente “Temptation Island”?

Giorni fa parlavo delle prossime elezioni statunitensi con la più americana delle mie amiche. Lei diceva che è troppo presto per capire chi vinca, perché c’è una massa di americani che non vengono intercettati dai giornali e dai sondaggi, che esistono ma sono difficili da inquadrare. Poi, siccome è anche la più italiana delle mie amiche, ha aggiunto: sai, quelli che qui andavano ai concerti dei Modà, che vanno ai concerti di Ultimo (non conosco neanche nessuno che conosca una canzone dei Modà o sia stato a un loro concerto, in effetti).

Il pubblico non inquadrabile immagino sia l’incubo dei sondaggisti, e in Italia io m’illudo che tutto sia inquadrabile. Di recente un tassista bolognese mi ha detto che non ci libereremo mai di Lepore perché «la gente vota a seconda di cosa votava il bisnonno», e visto che i nostri bisnonni erano tutti fascisti (anche se a Bologna no, anche se nell’Italia intera rappresentata sui social a fine aprile si millantano tutti avi partigiani: cento milioni di nonni partigiani), credo di sapere come finirebbero delle elezioni qua più di quanto si sappia come finiscano le elezioni là.

Però m’è rimasto questo tarlo dell’invisibile e massiccio pubblico di Ultimo: come votano? Come pensano? Chi sono? Dove si nascondono, prima e dopo i concerti? Se il carattere italiano lo definisce, come credo, Bruno Cortona, cioè il Vittorio Gassman del “Sorpasso”, se il carattere italiano è fatto di «Chi è ’sta cicciona? Perbacco, bella donna» e «Sono veramente sorry», di millantare agio economico e non avere i soldi per la benzina, di provarci con tua figlia senza riconoscerla e di ammazzare un amico di cui non sapevi il cognome, se il carattere italiano è quella mistura di cialtroneria e margini dell’illegalità, cafonaggine e capacità di uscirne indenni, se il carattere italiano è quella roba lì che noialtri indossiamo in genere con meno stile di Gassman, quanti Bruno Cortona in sessantaquattresimo ascoltano Ultimo?

Quando hanno annunciato la partecipazione alle paralimpiadi di Valentina Petrillo, che con la muscolatura d’un uomo si percepisce donna e quindi corre tra le donne, le mie amiche (tutte troppo vecchie per avere ambizioni atletiche) si sono indignate per conto filiale: un uomo che ci arrubba lo sport femminile, le nostre bambine respinte dalle millanterie postmoderne, scandalo e busciardìa.

Poi Petrillo, al netto dei gameti, ha fatto ciao ciao con la manina a qualcuno a bordo pista, ha gareggiato senza l’accompagnatore che avevano al fianco le altre concorrenti (non vedenti) per non uscire di corsia, ha detto che il lilla era il suo colore preferito.

E io mi sono chiesta se stesse prendendo forma il soggetto d’un nuovo film rappresentativo dell’italianità, del paese in cui Cortona ha sul parabrezza un finto contrassegno parlamentare, Totò vende la fontana di Trevi, e tra le femmine cieche corre un uomo che pare proprio ci veda.

Stavo parlando dell’imminente libro di Elly Schlein con amici che chiedevano «ma chi se lo compra?», quando è scoppiato un irrilevante scandaletto da social, la cui irrilevanza non m’impedirebbe di parlarne, ma magari un altro giorno. Oggi dirò solo che riguardava Elly Schlein, e un’intervistata di sinistra che ha detto che Giorgia Meloni è più brava di lei (un’ovvietà così ovvia che io la ripeto da anni senza che ciò dia scandalo: ohibò, sarà che non sono percepita di sinistra?).

Oggi dirò solo che del libro di Giorgia Meloni nessuno si è mai chiesto «ma chi se lo compra», nonostante quando uscì ella non fosse ancora la prima presidente del Consiglio declinata al maschile. Oggi vorrei parlare della più saggia delle mie amiche (sempre quella di prima), che mi ha interrotta mentre dicevo ma è ovvio che la Meloni governerà trecento anni, su, ma veramente dobbiamo far finta che quest’ovvietà sia infuocata materia di dibattito.

Mi ha interrotto per dirmi della Meloni quel che in America si dice dei rapper: che «represents». Perché ti votino devi far loro da specchio, devi far sentire qualcuno rappresentato nelle istituzioni, devi somigliare agli elettori.

Certo, Trump al massimo represents i miliardari cafoni, i bancarottieri con soldi ereditati, però poi non è vero: represents i maschi che ti mettevano le mani sul culo anche se non volevi, represents quelli con più ambizione che talento (uno dei tratti più diffusi tra gli esseri umani di questo secolo), represents quelli con inspiegabile autostima, represents quelli per cui meno interesse alla politica estera, meno welfare, meno mollezze europee significa innanzitutto: meno tasse per gli americani.

Kamala Harris chi diamine represents? Quelle che indossano bene Chloé? Quelle che si sono prese un marito coi figli già fatti per risparmiarsi la scocciatura? Quelle con la risata nevrotica? Quelle abbastanza fighe da potersi risparmiare il mezzo tacco slanciante e indossare le Converse?

Mentre mi perdevo a pensare alle elezioni americane, la mia amica saggia mi ha riportata alla Meloni: la Meloni represents, la Schlein chi diamine represents? Non mi è venuta in risposta neanche una categoria, ho fatto scena muta come le asine che non hanno studiato contando su un brunocortonico colpo di fortuna. Ha dovuto rispondersi da sola.

La Meloni è arcitaliana, la Schlein rappresenterà mai le atlete che riescono a battere maschi millantatori di disabilità? Figuriamoci: al massimo rappresenta gli aspiranti stylist di Porta Venezia che, nel monolocale che chiamano «loft», d’estate tifano Petrillo davanti al cous cous, e in autunno fanno il gruppo d’ascolto di “X Factor” mangiando sushi. È un’immagine tremenda, lo so. Non smetto di pensarci da ieri.

Penso che, per distrarmi, mi butterò sulla discografia di Ultimo. Magari è la volta che capisco il paese reale.