Il destino degli ombrelli: rubati o dimenticati (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola Posta

Spesso un oggetto all’apparenza insignificante è in realtà simbolo di grande rispetto e misura di ricchezza e civiltà. E poi c’è il caso Viareggio

Stavo rifinendo un’appendice alla ristampa del mio libro su Kafka, e mi ero fermato sull’ombrello. Il racconto “Il fuochista”, e il romanzo incompiuto intitolato (non da lui) “America”, muovono infatti dall’ombrello dimenticato del ragazzo Karl Rossmann allo sbarco a New York.

Aggirandomi attorno all’ombrello di Kafka ero stato rinviato a una quantità di notizie e riflessioni ragguardevoli. Per esempio, a un saggio di Robert Louis Stevenson, quello dell’Isola del tesoro, sulla “Filosofia degli ombrelli”: “Un nastro della Legione d’Onore o una fila di medaglie può certificare il coraggio di una persona; un titolo può certificarne la nascita; una cattedra gli studi e le scoperte; ma è la compagnia abituale dell’ombrello il vero contrassegno della Rispettabilità”.

Nell’isola assolata, Robinson Crusoe si distinse da Venerdì fabbricandosi un ombrello. Il re del Siam, che aveva un’aristocrazia misurata sugli ombrelli, li aveva proibiti ai sudditi.

La letteratura pertinente è smisurata e illustre, da Judy Garland (e Irving Berlin), “A Fella with an Umbrella” a “Ho l’ombrello t’accompagno”, “Grazie non ti scomodar”. Il caso più singolare è un frammento autografo di Friedrich Nietzsche, 1881, che dice, fra virgolette: “Ho dimenticato il mio ombrello” (“Ich habe meinen Regenshirm vergessen”).

Dopo la sua sobria pubblicazione nella grande edizione critica di Giorgio Colli e Mazzino Montanari, sopravvenne una mole spaventevole di interpretazioni filosofiche e psicanalitiche, in cui spicca Jacques Derrida (1978). Lo scrittore zurighese Thomas Hürlimann ha dedicato nel 2015 all’ombrello (rosso) di Nietzsche un brillante saggio-racconto, tradotto in Italia da Mariagiorgia Ulbar per Marcos y Marcos. (Intanto si era appurato che il frammento era una citazione da un romanzo satirico del 1844).

E così via, insomma. Stevenson, quello del dottor Jekyll e mister Hyde, scrisse ancora: “Non è da tutti affidare i propri ventisei scellini a tali e tante probabilità di perdita e di furto. Chi porta con sé un ombrello, una così complessa struttura di osso di balena, seta e canna, vero microcosmo dell’industria moderna, è inevitabilmente un uomo di pace”.

Il destino degli ombrelli è di essere rubati, o dimenticati. Sempre meno, oggi che, offerti a prezzo stracciato dai benedetti maghi della pioggia, alla prima sventolata si ribaltano e aggrovigliano.

Ero immerso in questa magnifica peripezia quando ho letto, e poi riletto, che la sventurata signora di Viareggio, dopo aver recuperato la sua borsa, era risalita in macchina per andare a riportare l’ombrello al ristorante che gliel’aveva prestato.

Piovigginava, infatti, a Viareggio, domenica sera.

Boschi di larici, nidi di ruspe (corriere.it)

di Gian Antonio Stella

Cortina si prepara all’Olimpiade scempiando 
il paesaggio. 

E i conti non tornano

Patrimonio La località dolomitica ospiterà con Milano i Giochi invernali del 2026: dubbi sulla sostenibilità degli impianti

(Getty image)

Macché droni! Non servono droni, funamboli o reporter acrobatici appesi ai tralicci per fotografare la distruzione dei boschi sopra Cortina. A dispetto dei top secret, dei divieti, delle denunce di misteriosi robot teleguidati, basta salire sulla cabinovia «Freccia nel cielo» che ascende verso la spettacolare Tofana per «ammirare le Dolomiti patrimonio Unesco» (così dice il depliant!) ed ecco che, di sotto, si spalanca l’oscena devastazione di quello che fino a pochi mesi fa era il Parco Avventura, dove i ragazzini seguivano un percorso di larice in larice all’Indiana Jones. Sventrato.

Come sventrato, quando mancano 135 giorni lavorativi alla dead line del 15 marzo 2025, è tutto il bosco di Ronco. Dicono: fatta la pista di bob e passata l’Olimpiade, tutto tornerà come prima. Vero. Solo i figli dei figli dei figli di Matteo Salvini e Luca Zaia potranno però rivedere fra un secolo larici centenari come quelli che qui svettavano prima d’esser buttati giù in giorni e giorni di assordanti rombi di motoseghe. Diranno: quelli li ha piantati mio bisnonno. Ma la vista dal cielo dello spropositato cantiere marrone di melma solcato dai primi muraglioni di cemento armato del bob oggi mette spavento.

Non si sa manco quanti ne abbiano abbattuti, di quei larici solenni amati da Mario Rigoni Stern che spiegò a Paolo Rumiz: «Per certe popolazioni siberiane il larice è addirittura “l’albero cosmico”, lungo il quale scendono il sole e la luna sotto forma d’uccelli d’oro e d’argento. A me piace perché vive di poco e aggrappato alla roccia sfida lungo i secoli le bufere invernali, i fulmini, la siccità e le guerre, tornando a fiorire ogni primavera per risvegliare gli amori dell’urogallo».

Non torneranno a fiorire, qui, in 400, forse 500… La cifra non è stata data, per non buttare cerini accesi tra gli ambientalisti che da anni, da Marina Menardi di Voci di Cortina all’ex campione di bob Gildo Siorpaes, da Mountain Wilderness a Legambiente fino al bellunese don Ciotti chiedono: «Fermatevi».

I soli a non fare una piega, cementieri a parte, sono il ministro sport Andrea Abodi («Visito i cantieri ogni 45 giorni e sono certo che avremo impianti all’avanguardia sul piano tecnologico e ambientale») e il presidente di Federsci, Flavio Roda: «L’impianto mi pare ben inserito nel contesto naturalistico e non mi pare particolarmente impattante». Sic. Lo farebbero a casa loro? Mah… Perché si può anche ridere della battuta di Maurizio Crozza nei panni di Zaia («Useremo dinamite bio») sulle promesse italiane a proposito di «Olimpiade Light»… Ma è impossibile non inorridire davanti all’orrido squarcio creato da ruspe e motoseghe nei boschi della conca ampezzana.

(Getty image)

Tanto più in giorni in cui, per una coincidenza che dovrebbe fare riflettere chi si fissò cocciutamente sul dogma che la pista da bob dovesse essere costruita qui a tutti i costi (una cinquantina di milioni in partenza, almeno 124 secondo gli ultimi calcoli dopo la gara d’appalto vinta dall’impresa Pizzarotti con un ribasso dello 0,013%), il sindaco e gli abitanti di Cesana Torinese stanno battagliando perché il colossale rudere cementizio della «loro» pista da bob, voluta da Silvio Berlusconi per l’Olimpiade invernale 2006 e poi abbandonata, venga smantellato e sostituito, dato che ormai la natura è compromessa, con la costruzione, al suo posto, di uno skydome: una pista da sci in gran parte seminterrata, meno vistosa e aperta 365 giorni l’anno «per un ricco bacino di 3 mila atleti, mica solo di 57».

Un’operazione che, ben che vada, costerebbe intorno a 50 milioni. Sempre meglio che pagare come prima 1,2 milioni l’anno di manutenzione della «salma» cementizia. Ridotti solo con il definitivo abbandono al degrado totale.

E proprio questo è uno dei temi. La gestione annuale dell’impianto dopo l’Olimpiade dovrebbe costare 1,4 milioni. Chi li paga? Garantiranno otto soggetti, dice la Regione: la stessa Regione, il Comune, la Provincia, le federazioni… Il presidente del Bob Club Cortina, Gianfranco Rezzadore, ha detto al «Corriere delle Alpi» di essere ottimista: «A differenza di Cesana la pista di Cortina è storica».

È vero che quella dove trionfò Eugenio Monti nel 1956 era abbandonata da 16 anni e che la gestione della nuova «non sarà sicuramente a costo zero né ci sarà il pareggio di bilancio», ma «si potranno fare convenzioni con agenzie e nazionali straniere, per portarle qui. Si potranno fare discese con gommoni che scendono senza piloti, con basso costo di gestione e buon incasso. Poi c’è il taxi bob, invernale ed estivo. Non dimentichiamo il mono-bob, una cosa abbastanza nuova: puoi fare corsi piloti, per disabili e per vip, con personaggi e campioni di altri sport che scendono in massima sicurezza».

Stupidaggini, sbotta il sindaco di Cesana, Daniele Mazzoleni: «È il copia-incolla delle frottole che avevano raccontato a noi. Anche noi organizzammo un paio di gare, in perdita. Anche noi tentammo col taxi bob. Anche noi avevamo due piste da discesa dove io facevo il maestro di sci e so bene che appena la pendenza accelera rischi di ammazzarti: scendere su una pista da bob sarebbe pura follia.

Anche a noi il Coni disse che Cesana sarebbe stata “la Coverciano dello sci” garantendoci che si sarebbe fatto carico della gestione. Due anni e ciao». Matthias Schipflinger, amministratore delegato dell’impianto di Innsbruck, in Austria, che avendone pubblicità positiva s’era offerto di prestarcelo gratis, conferma. Nonostante la varietà di adventure esperience offerte dal sistema bob e dalla città che ha 23 volte più abitanti di Cortina, il buco è di 600 mila euro l’anno. Auguri…

E il villaggio olimpico? Pure quello doveva esser light: e Infrastrutture Milano Cortina S.p.A. spiega sul suo sito che «per minimizzare l’impatto» tutto sarà rimosso dopo i giochi. I 1.400 ospiti previsti saranno sistemati in «container marini convertiti e moduli abitativi prefabbricati» da allestire nel vasto spiazzo di Fiames, tra le Tofane e il Cristallo dove Daniela Santanchè voleva rilanciare «come a Sankt Moritz o Gstaad» l’antico aeroporto mai riaperto dopo due tragici schianti con 10 morti. Assai meno light sarà il costo: 39.084.700 euro, 27.917,64 euro a posto letto. Carucci, come container. Sapesse come cresce la vita, signora mia…

Del resto, poco più a sud, con l’ok riluttante del soprintendente Vincenzo Tinè («Era già tutto avviato, ho potuto solo ridurre gli interventi contenendo il più possibile l’impatto») il progetto di project financing per sistemare l’antica e romantica stazione dove non arriva un trenino dal 1965 (bella idea, puntare sulla gomma!) prevede la ristrutturazione del vecchio complesso ferroviario, tre nuovi edifici e un parcheggio sotterraneo per 600 auto per un costo complessivo iniziale di 231 milioni.

Otto volte di più del progetto avviato e poi cancellato dalla Regione Siciliana per fare il parco minerario e il museo della pomice alle Eolie. C’è chi può e chi non può…