La Lituania è un esempio per tutta l’Europa su come si risponde alle minacce della Russia (linkiesta.it)

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Lezione baltica

Vilnius svilupperà un piano nazionale di evacuazione di massa e lo presenterà a ottobre.

Dall’inizio della guerra, è il Paese più reattivo di fronte alla minaccia esistenziale rappresentata da Mosca: il resto del continente dovrebbe prendere appunti

“Ocean” è il nome in codice delle ultime esercitazioni navali avviate dalla Marina russa. Un progetto enorme, il più grande per la flotta del Cremlino dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Sono esercitazioni congiunte con la Cina, andranno avanti fino al 16 settembre e si estendono dal Pacifico all’Artico, dal Mediterraneo al Mar Caspio, fino al Mar Baltico.

È stato Vladimir Putin in persona a presentare “Ocean”, martedì mattina. Poche ore più tardi il capo dell’intelligence norvegese ha detto che gli atti di spionaggio e sabotaggio da parte della Russia in Europa «sono diventati sempre più probabili». Mentre la settimana scorsa la Bielorussia, lo sgabello militare e politico di Mosca, ha schierato nuove truppe e sistemi d’arma al confine con la Lituania.

Le cronache della minaccia portata dalla Russia e da forze illiberali all’Occidente si estendono molto oltre i confini dell’Ucraina. Non da questo mese di settembre. Gli Stati europei non sembrano averlo capito, o almeno non tutti. La percezione del pericolo cambia molto da una zona all’altra del continente.

Se in Italia, Francia, Spagna, Germania la politica e il dibattito pubblico si concedono il lusso di sottovalutare i segnali d’allarme, i Paesi baltici sono i più timorosi, quindi anche i più consapevoli dei rischi che corre l’Europa.

Non a caso la Lituania svilupperà un piano nazionale di evacuazione di massa che verrà messo a punto a la prima settimana di ottobre. L’annuncio della ministra degli Interni Agnė Bilotaitė in conferenza stampa suona come un monito per il resto d’Europa, per quel che sta accadendo all’Ucraina e nei dintorni.

«La guerra contro l’Ucraina infuria, i Paesi della nostra regione sono soggetti ad attacchi ibridi, e la disinformazione e il sabotaggio sono la nostra nuova realtà. Siamo in prima linea e quindi la protezione dei civili è diventata una priorità», ha detto Bilotaitė, aggiungendo che ogni autorità locale territoriale, in Lituania, ha già il suo piano di evacuazione, ma il protrarsi della guerra e l’aumento degli attacchi russi fanno pensare che sia arrivato il momento di dotarsi di un piano nazionale.

La notizia data da Bilotaitė rientra in uno sforzo più ampio da parte di Vilnius per garantire la sicurezza sul suo territorio. A luglio, il Seimas, il Parlamento nazionale, ha approvato un programma proposto dal ministero dell’Interno per migliorare strutture e infrastrutture di difesa nelle città del Paese, tra cui la creazione di nuovi rifugi, sistemi di allerta e una nuova app. Per un costo previsto di duecentottantacinque milioni di euro.

Gli sforzi della Lituania sono accompagnati dai suoi vicini baltici. In conferenza stampa è intervenuto anche il ministro degli Interni lettone Rihards Kozlovskis, spiegando che il suo Paese sta lavorando alla creazione di rifugi sicuri in edifici sotterranei: «Ci sono attualmente circa cinquemila edifici sotterranei in Lettonia. Puntiamo ad avere questi edifici pronti per essere utilizzati come rifugi entro novembre».

Mentre la sottosegretaria per i soccorsi e la gestione delle crisi dell’Estonia, Tuuli Räim, ha ricordato che tutti i Paesi della regione devono essere preparati a mettere al sicuro i propri cittadini in caso di attacco diretto: «Dobbiamo prepararci per lo scenario peggiore».

Lituania, Estonia e Lettonia hanno sopportato oltre cinquant’anni di occupazione sovietica. E oggi guardano all’aggressività del governo di Mosca e alle sue ambizioni imperialiste come fonti di minaccia. Una minaccia esistenziale.

È per questo che da più due anni il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis è uno dei più influenti e attivi rappresentanti politici europei nel denunciare l’inattività dell’Occidente e della Nato contro la Russia, l’indolenza nel non autorizzare l’Ucraina a usare la fornitura di armi degli alleati come meglio crede.

Sul numero speciale di Linkiesta Paper pubblicato in occasione del secondo anniversario della guerra in Ucraina, Viktoriia Lapa, academic fellow dell’Università Bocconi, scriveva: «L’annessione della Crimea da parte di Mosca nel 2014 ha segnato un punto di svolta nella strategia di difesa di Vilnius. In primo luogo, proprio in quell’anno la Lituania ha costruito l’“Indipendenza”, un terminale galleggiante per il gas naturale liquefatto (Lng), frantumando così il monopolio di Gazprom sull’approvvigionamento di gas del Paese.

E, in secondo luogo, già nel 2014 la Lituania ha iniziato a preparare la sua popolazione alla resistenza civile in caso di occupazione: quell’anno, il ministero della Difesa lituano distribuì trentamila copie di un manuale che dettagliava quali avrebbero dovuto essere le azioni dei cittadini in caso di un’invasione russa».

Alla fine dell’anno Vilnius avrà investito per la difesa circa un miliardo di euro, il 2,71 per cento del Pil. Una spesa che dovrà modernizzare l’esercito e permettere l’acquisto di nuovi sistemi d’arma. Poi nel 2025 il budget dovrebbe crescere di altri trecento milioni di euro.

La guerra che la Lituania sta già affrontando è una guerra ibrida. Durante la sua conferenza stampa, la ministra Bilotaitė ha detto che la sicurezza informatica è diventata una priorità assoluta a causa dell’aumento degli attacchi della Russia alle infrastrutture digitali. Lo scorso febbraio, ad esempio, le Forze armate lituane avevano rilevato un accesso al loro sistema informativo da parte di hacker filorussi noti con il nome di Just Evil.

In quell’occasione non erano state rubate informazioni riservate e non c’erano stati danni rilevanti di alcun tipo. Ma l’episodio aveva costretto il National Cyber Security Center a spegnere tre server e attivare un percorso di aggiornamento di tutto l’apparato di sicurezza informatica nazionale.

La differenza con i Paesi dell’Europa occidentale è evidente, perché è una differenza antropologica e culturale prima ancora che politica. È vero che la geografia è un fattore e la presenza della Russia a pochi chilometri di distanza acuisce il senso del pericolo. Ma ci sarebbe da imparare dal modo in cui la Lituania si prepara ogni giorno a contrastare i pericoli provenienti da Mosca. L’Europa farebbe bene a prendere appunti.

Vladimir Putin non è un nemico dell’islamismo ma un suo alleato (italiaoggi.it)

di Dario Fertilio

Dittature

La giustificata protesta del governo italiano dopo l’ultima mossa di Mosca (una giornalista della Rai che ha documentato l’ingresso delle forze ucraine in Russia è stata inserita nella lista dei ricercati) non può scalfire l’ideologia putiniana.

Essa si basa sull’intimidazione, e trae slancio dalle debolezze. L’inviata Stefania Battistini è stata richiamata prudenzialmente in patria, ma il risultato è stato una minaccia allargata: rivolta, più che a lei, ai colleghi tentati di seguirne l’esempio. Il che, tradotto nella pratica, significa colpirne uno per educarne cento.

Eppure, non sono trascorsi molti anni da quando i putiniani d’Italia (Salvini e, in modo persino più entusiastico, la Forza Italia di Berlusconi) invocavano una santa alleanza tra Occidente e Cremlino, allo scopo di combattere l’islamismo radicale. Allora, di fronte alle atrocità commesse da Al Qaeda e dall’Isis, si era creato il mito dell’uomo forte, di principi morali e fede cristiana, esempio per gli indecisi europei, inflessibile con i terroristi al punto da promettere di “andarli a scovare anche al gabinetto”.

Erano anni di cecità politica, culminati con la decisione di un club forzista, in via Dante a Milano, di intitolarsi al despota di Mosca. Inesorabile, dopo di allora, la storia ha smentito quelle assurdità: c’è una salda alleanza precisamente fra i due totalitarismi che avrebbero dovuto combattersi. Putin ha stretto un patto proprio con l’Iran, fornendola di tecnologia in cambio di missili e droni da impiegare contro l’Ucraina. In parallelo ha radunato tutte le dittature disponibili, inclusa la pur ingombrante Cina, nello sforzo di opporre un fronte unico al mondo libero.

Oggi, chi allora assecondò quella strategia autolesionistica occidentale ha rinchiuso il suo scheletro nell’armadio. Nel frattempo, ogni volta che i terroristi islamisti presenti sul territorio della Federazione Russa rialzano la testa e compiono stragi – come quella del Crocus City Hall – la propaganda putiniana comincia con l’incolpare la Nato, salvo ammettere a denti stretti la verità, e proporsi di nuovo come baluardo contro l’islamismo.

Anche se il gioco ormai è scoperto. Nel Putin filo islamista qualcosa ricorda l’iniziale simpatia staliniana per l’espansionismo di Hitler – il famoso patto Molotov-Ribbentrop. Il Führer allora era considerato un “rompighiaccio” da Mosca, utile a colpire le democrazie, che alla fine ne sarebbero risultate indebolite e vulnerabili.

L’obiettivo di Putin è simile: stringere alleanze per minacciare l’Occidente su più fronti, paralizzandolo con la nuda ostentazione della forza.