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«Vietato abortire». Un’americana muore in ospedale (ildubbio.news)

di Daniele Zaccaria

Amber Thurman era incinta e aveva un’infezione, 
ma le leggi della Georgia di fatto impediscono 
l’interruzione di gravidanza

Amber Nicole Thurman, 28 anni, aspirante infermiera, non pensava che sarebbe morta quando si è presentata incinta di due mesi e mezzo al Piedmont Henry Hospital di Atlanta (Georgia) con un’infezione avanzata.

Il giorno prima aveva assunto una pillola abortiva ma le cose non sono andate per il verso giusto, non era infatti riuscita a espellere l’embrione e bisognava rimuoverlo al più presto dall’utero per impedire il propagarsi della setticemia.

Una procedura di routine che le avrebbe senza dubbio salvato la vita, ma i medici che la prendono in cura sembrano esitanti, nervosi, parlottano tra loro, poi la fanno sdraiare su un lettino dicendole che ci vorrà un po’ di tempo, devono svolgere esami più approfonditi, nel frattempo monitorano le sue condizioni, si accorgono che l’infezione dilaga, le somministrano qualche antibiotico ma sanno che è necessario l’intervento chirurgico, eppure aspettano, ancora e ancora.

Ci vogliono più venti ore, che la donna trascorre tra dolori atroci, perché si decidano a operarla ma ormai è troppo tardi, gli organi sono compromessi, Amber Nicole Thurman muore poco dopo sotto i ferri. Il personale sanitario del Piedmont Henry Hospital poteva fermare la setticemia, poteva rimuovere il feto ma ha avuto paura delle leggi che in Georgia limitano severamente il diritto all’aborto, consentito solo in casi rarissimi, leggi che prevedono fino a dieci anni di reclusione per i medici conniventi.

Secondo il Life act approvato dal governatore repubblicano Brian Kemp è di fatto impossibile abortire dopo la sesta settimana, un termine che Amber Thurman aveva sforato di una decina di giorni. Anche se la sua salute era chiaramente a rischio i dottori avrebbero dovuto dimostrarlo e sottoporsi a un’inchiesta da parte delle autorità, protocolli messi in piedi per scoraggiare il ricorso all’ivg anche nei casi gravi.

La donna aveva scoperto di essere incinta di due gemelli nell’estate del 2022, subito dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva annullato la storica sentenza Roe contro Wade, che nel 1973 liberalizzò l’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti facendo crollare i tassi di mortalità tra le donne che ricorrevano all’ivg. Un’offensiva lanciata dai giudici conservatori in maggioranza all’interno della Corte dopo le tre, decisive nomine della presidenza Trump.

Da allora sono 22 gli Stati in cui l’aborto è vietato o fortemente limitato e migliaia sono le donne respinte dal pronto soccorso, costrette a portare avanti gravidanze ad alto rischio che mettono in pericolo la loro stessa vita. A molte di loro viene detto dai dottori di ripresentarsi «quando la situazione è peggiorata». La paura che corre in corsia impedisce alle donne di ricevere persino l’assistenza sanitaria di base. Era inevitabile che prima o poi capitasse una tragedia come quella che ha colpito la giovane donna della Georgia.

Come racconta Ricaria Baker, che era la sua migliore amica, «Amber non voleva un aborto farmacologico ma un intervento chirurgico, sperava che il tribunale della Georgia sospendesse il divieto e aveva anche pensato di andare in un ospedale della North Carolina».

Alla fine si è decisa ad assumere in una clinica privata un cocktail a base di mifepristone e misoprostolo, procedura approvata dalla Food and Drug Administration (FDA). Ma il farmaco non ha funzionato, il feto è stato espulso solo in parte e le sue condizioni sono peggiorate in pochissimo tempo, quindi la corsa il 18 agosto in ospedale dove ha trovato la più assurda delle morti.

Mini Timmaraju, presidente dell’associazione Reproductive Freedom for All ritiene il governatore Kemp e l’ex presidente Donald Trump direttamente responsabili della morte di Amber Thurman e li attacca con veemenza su X: «Oggi Amber sarebbe viva assieme alla figlia di otto anni, Trump e Kemp hanno le mani sporche di sangue».

Decisamente poco empatica con la vittima la reazione del governatore repubblicano sempre su X: «Anche la disinformazione mette a rischio la salute dei pazienti, è di vitale importanza stabilire i fatti correttamente. Il Life act della Georgia non solo ha ampliato il sostegno alle future mamme ma ha anche stabilito chiare eccezioni. In Georgia combatteremo sempre per proteggere la vita dei più vulnerabili».

La vicenda di Amber Thurman è stata denunciata dal sito giornalismo investigativo ProPublica che annuncia altri due casi di donne che negli Usa hanno perso la vita a causa delle leggi anti aborto.

Salvare vite in mare è la misura minima di umanità che non consente deroghe (avvenire.it)

di Maurizio Ambrosini

Migranti

Impedire lo sbarco di qualche decina di naufraghi ha ben poco a che fare con la protezione della sicurezza del Paese. Perché occorre smettere di alimentare confusione sulle questioni di principio

Il processo Salvini-Open Arms va oltre le polemiche di parte e le reciproche accuse di ingerenza tra politica e magistratura. Pone in realtà una questione etico-politica di grande rilievo, quella della contrapposizione tra difesa dei confini nazionali e obblighi di accoglienza umanitaria.

Qualche premessa è d’obbligo, per collocare il caso nella sua giusta luce. Gli ingressi spontanei di migranti non equivalgono all’immigrazione irregolare. Per due motivi. Anzitutto, gli immigrati irregolari (si stima, ma con poche basi, circa 500.000 in Italia, forse due milioni nell’Ue), entrano in molti modi, ma perlopiù regolari: sono turisti che si trattengono oltre i termini del loro visto, studenti che abbandonano i corsi universitari, parenti in visita che non rientrano in patria, persino pellegrini all’estero.

Soprattutto, sono cittadini dei circa 50 Paesi a cui l’Italia non applica l’obbligo del visto, per soggiorni inferiori ai 90 giorni: dall’Albania all’Ucraina (già prima dell’invasione russa), passando per Brasile, Moldova, Montenegro. In secondo luogo, chi sbarca e chiede asilo, benché sia entrato illegalmente, entra in un sistema di protezione.

Finché non si conclude l’esame della sua domanda esaminata, è un soggiornante legale, sebbene soggetto a limitazioni. Può studiare e lavorare, dopo due mesi dalla domanda. Soltanto dopo tutti gli accertamenti del caso, i pronunciamenti delle commissioni prefettizie, eventuali ricorsi e decisioni dei giudici, chi non viene riconosciuto come rifugiato e non viene rimpatriato diventa un soggiornante irregolare.

Ma nell’Ue circa il 50% dei richiedenti ottiene lo status di rifugiato, in Italia (fino al decreto Cutro) il tasso oscillava tra il 40 e il 50% in prima istanza, e raggiungeva il 70% tra quanti presentavano un ricorso. Di conseguenza, il legame tra sbarchi e immigrazione non autorizzata è labile e interessa una modesta componente del fenomeno.

Espressioni roboanti come «colpevole di aver difeso l’Italia e gli italiani» cozzano contro questi dati fattuali: impedire lo sbarco di qualche decina di naufraghi ha ben poco a che fare con la protezione della sicurezza del Paese. Un bersaglio ben visibile e identificabile, i migranti sulle navi umanitarie, viene elevato a simbolo di un fenomeno che si vorrebbe contrastare, ma che per vari motivi finisce di fatto per essere endemico.

Tra questi motivi spicca il fatto che la maggioranza degli immigrati irregolari, per quel che emerge per esempio dai dati sulle sanatorie, non sono giovani maschi africani, ma mature signore provenienti dall’Europa Orientale e impiegate nelle case degli italiani.

Anche il facile accostamento tra immigrazione irregolare e terrorismo va sottoposto a verifica fattuale: sono pochissimi i casi in cui gli attentatori provenivano dal circuito dell’asilo, e magari ad anni di distanza dall’arrivo, molti di più quelli in cui erano immigrati di seconda generazione, o erano soggiornanti legali a vario titolo.

Compresi gli attentatori delle Torri Gemelle. Colpisce inoltre la disumanizzazione dei diretti interessati: gruppi di persone salvate in mare, tra cui donne e bambini, vengono dipinti come falangi di un agguerrito esercito invasore, in grado di portare una minaccia esiziale al Paese in cui sbarcano. Non siamo lontani dall’immagine dell’“arma ibrida”, adottata per giustificare i respingimenti di altri civili inermi sui confini orientali dell’Ue.

Sebbene oggi nell’Ue la confusione tra ingressi non autorizzati e immigrazione irregolare, tra difesa della sicurezza e respingimento delle persone in cerca di asilo, stia acquisendo un seguito sempre maggiore, va ribadito il principio, costituzionale ed europeo: il diritto d’asilo, dunque di entrare in un altro Paese per chiedere protezione, quale che sia il modo, è un valore universale che non può essere limitato dalla sacralizzazione dei confini.

Allo stesso tempo, le leggi del mare obbligano a soccorrere e accogliere nel primo porto sicuro chi scampa a un naufragio.

Quale che sia l’esito della vicenda giudiziaria del ministro Salvini, questa misura minima di umanità va salvaguardata senza deroghe e cavillosi distinguo.