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La grande ignavia del voto sull’Ucraina, e le manovrette politicanti del Pd (linkiesta.it)

di

Cocci di partito

Il gruppo di Schlein deflagra a Strasburgo sull’emendamento che consente a Kyiv di colpire le basi missilistiche in territorio russo.

Il capo delegazione Zingaretti riesce a spaccare in tre i deputati, i riformisti cuor di leone si danno alla macchia e, per completare il quadro, Annunziata sbaglia a votare. Meno male che ci sono Picierno e Gualmini (e Salini tra i Popolari)

Il punto politico decisivo della mozione sull’Ucraina approvata ieri a Strasburgo era contenuto nel paragrafo 8 in cui si chiede agli Stati europei di allentare le restrizioni all’uso delle armi in dotazione all’Ucraina in grado di colpire le basi in Russia. La delegazione del Partito democratico ora guidata da Nicola Zingaretti, in dissenso con la linea dei socialisti europei, ha assunto la posizione di votare No. Ma i dem si sono manifestati in tre modi diversi: votando No, votando Sì, non votando proprio. E su una questione decisiva per le sorti della Resistenza ucraina e il futuro degli assetti mondiali.

Poco importa che alla fine sulla mozione complessiva abbiamo votato quasi tutti a favore (tranne Cecilia Strada e Marco Tarquinio, astenuti, stoicamente contrari a Kyjiv), perché è evidente che il punto era quello delle armi per colpire le basi russe.

Ecco il dettaglio. In due hanno votato Sì, coerentemente con un voto già espresso a luglio, cioè Pina Picierno e Elisabetta Gualmini.

Dieci hanno votato No: Zingaretti, Annalisa Corrado, Sandro Ruotolo, Alessandro Zan, Camilla Laureti, Matteo Ricci, Antonio Decaro, Brando Benifei, Cecilia Strada e Lucia Annunziata che per sbaglio si era astenuta, ma ha poi fatto sapere che avrebbe detto No.

In sette non hanno partecipato al voto: Stefano Bonaccini, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Irene Tinagli, Lello Topo e Marco Tarquinio.

Due, Dario Nardella e Giorgio Gori, erano dovuti rientrare in Italia per impegni politici, Gori aveva detto che avrebbe votato Sì come Picierno e Gualmini.

Da sottolineare che il No indicato da Zingaretti (linea Elly Schlein) è stato espresso anche dagli europarlamentari del Movimento 5 stelle, Sinistra, Verdi e dal centrodestra (con il dissenso del forzista Massimiliano Salini, coraggioso a dissentire da Antonio Tajani, insieme a Giuseppina Princi, e anche dei Fratelli d’Italia Lara Magoni e Ruggero Razza).

(Andrea Bozzo)

Alcune ulteriori considerazioni sul Partito democratico. Primo, la delegazione dem è spaccatissima: solo dieci su diciannove hanno seguito l’indicazione data da Zingaretti, dunque una sua prima prova di leadership non felicissima. Il capodelegazione a quanto sembra si è un po’ innervosito per com’è andata. Sente che il gruppo non lo segue come vorrebbe, ma del resto la linea politica è a dire poco ambigua.

Secondo, come mai addirittura in sette non hanno partecipato al voto? La maggior parte di questi sono riformisti o comunque persone che non votarono per Schlein: possibile che non abbiano voluto spaccare il gruppo in modo ancora più evidente votando Sì; più probabile che alcuni siano in avvicinamento alla segretaria per ragioni politiche o di interesse personale.

Difficile dirlo senza scadere nelle illazioni (se ne sentono di tutti i colori). Certo, la non partecipazione a un voto così denso di significato politico e morale non è una bella cosa e sarà difficile per i loro elettori scordarsene. In ogni caso non una grande figura.

Resta poi il fatto che emerge un’area che non aderisce ma non sabota Schlein, il che pone obiettivamente un problema di chiarimento nell’area ex bonacciniana, a partire dalla sua guida. Per fortuna, in questo bailamme, Picierno e Gualmini hanno espresso pubblicamente una posizione chiara, coerente e in linea con i socialisti e i democratici europei.

Su tutto però domina la domanda di fondo, quella che va ben oltre le misere manovre personali: ma sull’Ucraina il Partito democratico c’è ancora o si sta dando a gambe levate come il governo italiano? Tanto per sapere.

Ddl sicurezza un esempio di legislazione prêt- à- porter (ildubbio.news)

di Andrea Granata*

I politici legiferano traducendo chiacchiere 
da bar, titoli dei tg, sondaggi, percezioni

Ammetto che appena avuto notizia del “pacchetto sicurezza” ho avuto un moto di egoismo e ho pensato di tutelare il mio benessere non approfondendo, soprattutto perché alcune anticipazioni su questo o quel nuovo reato raccontate dai social, in prima battuta mi avevano fatto pensare, più che a qualcosa di reale, a dei siti trappola, quelli che poi fanno sì che ci si ritrovi la casella della posta intasata di messaggi pubblicitari.

Dopo poco però, la natura ha fatto il suo corso ed è sopraggiunto lo sconforto e per non farci mancare niente anche l’indignazione, una cosa forte tanto di essermi spinto oltre, tanto da arrivare a preconizzare la nascita di un partito liberale (in Italia!!!) che si ponesse come obiettivo quello di rimuovere queste maree sotto forma di pacchetti di varia guisa e natura, bonificando e rimediando ai relativi guasti prodotti da decenni di queste intemerate legislative.

Alla fine ho bruscamente posto fine alle mie fantasie, il timore di essere preso sul serio, di essere additato come qualcuno che propone di fondare un partito liberale in Italia è stato più forte di tutto e mi sono rassegnato.

Mi sono rassegnato a essere e restare testimone di un qualcosa che nella mia mente prende il nome di via italiana al common law, forse la più grande quanto inconsapevole riforma realizzata dalla politica italiana dal dopo guerra ad oggi.

Si tratta, non poteva essere diversamente, di una specificità tutta italiana del common law, perché diversamente da quanto accade nei paesi anglosassoni ove gli artefici sono i giudici che attraverso le loro decisioni danno attuazione a principi fondanti sanciti da costituzioni scritte dopo rivoluzioni, da noi i deus ex machina della situazione sono i politici che legiferano traducendo chiacchiere da bar, titoli dei tg, sondaggi, percezioni.

Da anni la politica per quanto denigrata, vituperata continua a elargirci, come se non ci fosse un domani, questo nientepopodimeno di legislazione, se vogliamo, prêt- à- porter, alla carta, al bisogno, o semplicemente alla moda.

Poi, se per un attimo volessimo riflettere su quanto la situazione sia disperata ma non seria dovremmo convenire che sarebbe un grave errore limitare il problema alla miopia o peggio, dell’attuale maggioranza, perché se a vincere le elezioni fossero state le forze che oggi gridano all’ennesimo allarme democratico con ogni probabilità oggi dovremmo confrontarci con reati come il negazionismo climatico o qualche declinazione politically correct della “colpa d’autore” in nome della lotta alla corruzione, la mafia, la mafia dei colletti bianchi con immancabili strepiti ed indignazioni a parti invertite, magari a volume abbassato.

Però alla fine consoliamoci perché niente di nuovo sotto il sole, Renato Carosone sulla figura dell’italiano che scimmiotta l’americano c’ha scritto un capolavoro evergreen, facendoci conoscere un tipo tutto sommato simpatico con vizi e virtù resi possibili dalla “borsetta di mammà”.

*Avvocato

Ucraina, l’inaffidabilità del campo largo come puntello ideale di un governo titubante (formiche.net)

di Andrea Cangini

In un contesto politico diverso, quel voto 
sull’utilizzo delle armi occidentali in 
territorio russo potrebbe avere ripercussioni 
e potrebbe addirittura mettere in discussione 
la tenuta del governo. 

Ma il contesto gioca indiscutibilmente a favore di Giorgia Meloni. Finché l’unica alternativa a questo diviso centrodestra sarà il cosiddetto campo largo, la presidente del Consiglio potrà dormire sonni tranquilli.

È nota la pessima figura fatta dall’Italia lo scorso giovedì a Bruxelles in occasione del voto sull’Ucraina. Come l’Ungheria di Orban, gli europarlamentari di tutti i partiti che a Roma rappresentano la maggioranza di governo hanno votato contro l’articolo che autorizzava l’Ucraina ad utilizzare le armi occidentali in territorio russo (unica, lodevole, eccezione, il forzista Massimiliano Salini) e al momento del voto finale la risoluzione è stata approvata solo da Fratelli d’Italia e da Forza Italia.

Non dalla Lega. È vero che la risoluzione non era vincolante, ma non c’è dubbio che l’Italia abbia dato prova di scarsa affidabilità agli occhi dei partner europei e dei membri dell’Alleanza atlantica.

In un contesto politico diverso, quel voto potrebbe avere ripercussioni e potrebbe addirittura mettere in discussione la tenuta del governo. Ma il contesto gioca indiscutibilmente a favore di Giorgia Meloni. Finché l’unica alternativa a questo titubante e diviso centrodestra sarà il cosiddetto campo largo, la presidente del Consiglio potrà dormire sonni tranquilli.

Sull’Ucraina, infatti, la divaricazione a sinistra è ancor più consistente di quanto non lo sia a destra. Partecipando alla marcia per la pace Perugia-Assisi, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha fatto di tutto per allargare la faglia che lo divide dal Pd di Elly Schlein.

E lo ha fatto sapendo che il giorno prima a Bruxelles alcuni europarlamentari grillini hanno depositato due emendamenti per chiedere la sospensione tout court dell’invio di armi al popolo ucraino e per, tesi che più putiniana non potrebbe essere, adombrare presunti collegamenti tra le forze armate ucraine e i movimenti neonazisti europei.

Un eventuale governo Schlein-Conte, dunque, non reggerebbe alla prova della politica estera e di difesa. Anche perché, a traballare è lo stesso Partito democratico, i cui parlamentari europei in occasione del voto sulla risoluzione pro Ucraina a Bruxelles sono riusciti a dividersi in quattro posizioni diverse: c’è chi ha votato a favore, chi ha votato contro, chi si è astenuto, chi ha preferito non partecipare al voto.

Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che nel cosiddetto campo largo milita anche l’Alleanza verdi sinistra di Fratoianni e Bonelli, inopinatamente attestata su posizioni analoghe a quelle del Movimento 5 Stelle, comprendiamo le ragioni per cui agli occhi delle istituzioni europee e della Nato il governo Meloni e l’attuale centrodestra rappresentino senz’altro il minore dei mali possibili.