Non è dirimente, e forse neanche interessante, certamente non è utilissimo, stabilire adesso se il Piano Mattei per l’Africa di Giorgia Meloni è ambizioso o velleitario. Questi sono aggettivi deformanti e probabilmente catene del pensiero.
Come i pregiudizi. Per descrivere il Piano Mattei, a due anni dalla prima e solenne citazione di Meloni alle Camere durante il discorso di insediamento del suo governo, a una manciata di mesi dalla sfarzosa parata di gennaio a Palazzo Madama a favore di telecamere, fotografi, spicciola propaganda, è necessario vivisezionare i progetti pilota che hanno un sapore di concretezza e riguardano nove Stati africani.
Quattro sono nord-sahariani e perciò affacciano sul Mediterraneo, sono Stati dirimpettai che sono legati a Roma da relazioni frequenti, a volte turbolente, altre tiepide, e si tratta di Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto. Cinque sono sub-sahariani e perciò sono al centro, non soltanto geografico, di dispute mondiali che annoverano russi, turchi, cinesi, e si tratta di Kenya, Etiopia, Mozambico, Costa d’Avorio, Repubblica del Congo.
I documenti parlamentari specificano che fra i progetti pilota «alcuni sono in fase di attivazione e alcuni sono in corso d’opera». Questo ci permette di fare una digressione numerica: il denaro, la cosiddetta dotazione finanziaria. A rigor di annunci, grossomodo, per quanto valgono queste cifre, fra crediti, garanzie, donazioni, il Piano Mattei ha a disposizione 5,5 miliardi di euro per un arco di tempo quadriennale poiché la sua durata è quadriennale seppur rinnovabile quasi in automatico. «Gli esborsi totali per quest’anno dipendono dall’avanzamento dei lavori, posso dire che siamo a circa un miliardo», precisa Edmondo Cirielli, il viceministro che agli Esteri ha la delega alla Cooperazione internazionale.
I 5,5 miliardi di euro assegnati al Piano Mattei provengono, sempre per i documenti parlamentari e governativi, per circa 3 miliardi dal Fondo italiano per il Clima (ministero Ambiente) e 2,5 miliardi dal Fondo per la Cooperazione internazionale (ministero Esteri). In larga parte, siccome la cooperazione internazionale non è una invenzione né una attività inedita, il denaro era già esistente ma la sua destinazione appare nuova.
Per un motivo evidente: la cabina di regia politica e la struttura di missione tecnica sono ubicate a Palazzo Chigi, non al ministero degli Esteri, e sono gestite dal presidente del Consiglio e dal diplomatico Fabrizio Saggio. Più che dal ministro forzista Antonio Tajani, che ovviamente ha la sua porzione, la Farnesina operativamente è rappresentata da Cirielli, influente dirigente di Fratelli d’Italia. Tornando ai documenti parlamentari e governativi, scremati i 5,5 miliardi di euro che appartengono più al futuro che al presente, il Piano Mattei può attingere da quattro voci di spesa: 200 milioni di euro per le imprese che investono in Africa; 500 milioni di euro tramite Cassa Depositi e Prestiti per finanziamenti coerenti col Piano Mattei, puntellati da una garanzia statale di 400 milioni (80 per cento); il già citato Fondo Italiano per il Clima che ha risorse per 840 milioni annui (2022-26); 50 milioni per le acquisizioni di capitale societario.
Il Piano Mattei prevede 17 settori di collaborazione con i Paesi africani (a gennaio all’evento di Roma erano presenti in 46 su 54), per esempio formazione, agricoltura, istruzione, sanità, turismo, economia, ambiente, energia, migrazioni. Analizziamo la fine di quest’elenco, che è l’inizio del Piano Mattei: energia e migrazioni collimano con i bisogni italiani, senza star qui a pensare davvero di salvare l’Africa o di scacciare Russia e Cina con le teorie attorno ai teorici 5,5 miliardi di euro.
A proposito di Russia. Obbligato dalla guerra in Ucraina a interrompere i contratti con Mosca per le importazioni di metano e petrolio, il governo di Mario Draghi si rivolse agli amici del continente africano. Amici non sempre affidabili. Il governo Meloni ha proseguito in questa direzione allargando la platea di amici e il ventaglio di possibilità con la promessa, in ossequio allo stile di Enrico Mattei fondatore di Eni, di non avere mai un atteggiamento «predatorio», ma di creare un interscambio con reciproci vantaggi. Almeno queste sono le premesse. Vediamo come si tramutano in atti reali.
La Costa d’Avorio quest’anno deve, si legge nei documenti parlamentari e governativi, «diventare prioritaria per la cooperazione italiana allo sviluppo». Lo merita perché è ivoriana la prima nazionalità dei migranti irregolari che sbarcano in Italia. C’è l’urgenza di interloquire col governo di Abidjan. E difatti ci sono progetti pilota per bonificare l’acqua, costruire le scuole, sperimentare la telemedicina, attribuire le borse di studio.
Assieme a Etiopia e Libano, la Costa d’Avorio è beneficiaria di quote per lavoro subordinato fissate dal decreto Flussi per i corridoi lavorativi. A oggi le quote sono irrisorie (300 persone), ma il protocollo d’intesa, firmato con la Comunità di Sant’Egidio, è un metodo che andrebbe diffuso massicciamente. La Costa d’Avorio da un anno è già una fonte di energia, di petrolio e di metano, perché Eni ha avviato la produzione da Baleine, giacimento in mare di recente scoperta.
Per le esigenze energetiche italiane, il posto di Mosca l’ha preso il governo di Algeri (che ha costanti rapporti proprio con Mosca, anche di natura militare). La pace sociale in Algeria poggia sulla ricchezza del sottosuolo, peraltro non sfruttato appieno. Già due anni fa, dopo l’invasione ordinata da Vladimir Putin in Ucraina, l’Algeria ha scalato la classifica e si è affermata prima fornitrice di metano per l’Italia coprendo il 34 per cento delle importazioni.
Lo scorso anno ha raggiunto il 37 per cento, saturando i tubi del gasdotto Transmed che arriva a Mazara del Vallo passando per la Tunisia. L’attenzione degli italiani si è spostata su eolico e solare, ma il processo è assai lento. Oltre agli accordi commerciali ampliati e rinsaldati e al fascino che l’industria bellica italiana trasmette a chiunque e non fa eccezione il governo algerino, il progetto pilota sostenuto dal Piano Mattei è un progetto (non pilota) già esistente: si chiama “agricoltura desertica” e lo conduce l’italiana Bonifiche Ferraresi, si concentra a Sud-Est del Paese, e mira a introdurre la coltivazione di grano, cereali, semi per oli e, a regime, pure olive e frutta.
«Una quota del 30 per cento della produzione sarà riservata all’Italia», questa clausola, riportata nelle schede ufficiali, ha ferito il patriottismo di quei politici che vorrebbero nutrirsi esclusivamente con frutta e olive maturate in Italia. Per non vincolarsi al governo di Algeri, per non avere un unico sbocco energetico col rischio di non averne uno, Roma ha intensificato la presenza in Mozambico e Repubblica del Congo, un anno fa mete di un viaggio istituzionale di Meloni.
Il Mozambico ha lo status della Costa d’Avorio, «è prioritario per la cooperazione italiana allo sviluppo». Questo si traduce in un contributo complessivo di 200 milioni, di cui 95 a credito (prestiti), 105 a dono. Non uno sforzo immane per le casse di Roma. L’abbondanza di metano ha catturato l’attenzione delle multinazionali del settore, ma il Mozambico, in preda al terrorismo in diverse aree, rimane fra i più poveri e agitati del continente.
Il governo Meloni ha un patto triennale con la Repubblica del Congo per trasferire in Italia, in forma liquefatta, un massimo annuo di 4,5 miliardi di metri cubi di gas. Il fabbisogno italiano oscilla dai 76 miliardi di metri cubi (2021) ai 61,5 (2023). Il Piano Mattei ha elaborato per il Congo «azioni complementari» al programma Hinda del gruppo Eni che «ha già visto la costruzione/riabilitazione di 31 pozzi, di cui 27 alimentati da pannelli fotovoltaici, utili a 25 mila abitanti di 18 villaggi».
Il governo Meloni ha rimosso le ultime precauzioni diplomatiche con l’Egitto e, mentre in Italia si celebra il processo per scoprire la verità sull’uccisione di Giulio Regeni avvenuta nella capitale egiziana, si replica il modello Algeria. Bonifiche Ferraresi è impegnata con i terreni più aspri per allestire una filiera agricola, il gruppo Eni estrae metano dal giacimento in mare di Zohr.
Invece in Kenya l’obiettivo italiano sono i biocarburanti «basati su olio vegetale a partire da materie prime coltivate su terreni degradati, inquinati o abbandonati, da colture di secondo raccolto e valorizzando rifiuti e scarti». Qui il Piano Mattei vuole coinvolgere 400 mila agricoltori entro il 2027 e recuperare 400 mila ettari in disuso. Il tema con la Tunisia sono le partenze dei migranti con i barconi. Per raddrizzare l’economia tunisina non basta l’Italia, e dunque Meloni s’è fatta accompagnare da Ursula von der Leyen.
Il governo di Roma supporta le linee di credito per le imprese e ha elargito 50 milioni di euro per il bilancio statale. Il Piano Mattei è rivolto a una interconnessione elettrica sottomarina (Elmed), realizzata dall’italiana Terna e la tunisina Steg. Per l’Etiopia c’è un sacrificio finanziario più consistente per recuperare spazio su altri contendenti non europei: 300 milioni, di cui 140 in prestito, 160 a dono. Al Marocco, per chiudere l’elenco, non servono soldi, ma alleati in Europa.
Perché il Piano Mattei ha debuttato con questi nove Paesi lo spiega Cirielli: «C’era già un dialogo solido e paritario con la presidente Meloni e dal primo anno di governo erano in campo interventi di cooperazione inquadrabili nel Piano Mattei». Il fattore energetico è fondamentale, ma per il viceministro non è lo spirito del Piano Mattei: «Noi abbiamo già accordi in tal senso con molti di questi Paesi.
Però ci sembra giusto non prendere soltanto idrocarburi in cambio di denaro, vogliamo fare di più. Riteniamo che aiutare lo sviluppo economico e sociale di queste nazioni sia moralmente ed eticamente doveroso e anche utile a rafforzare i nostri rapporti. Oltre al gruppo Eni e Bonifiche Ferraresi, vorremmo coinvolgere ulteriormente Snam e portare Enel e Ferrovie. Questo vale anche per le aziende che operano nella sanità e nell’istruzione».
Riposta l’intenzione, quella sì velleitaria e non ambiziosa, di trascinare francesi e tedeschi su posizioni italiane per l’Africa, ci si concentra su energia, migranti e commercio in senso largo. Con mezza Europa al governo diffidente e l’altra di estrema destra e in attesa delle elezioni americane, il Piano Mattei è uno sbocco essenziale per la politica estera di Meloni. Al punto che Cirielli, politico moderato, fra il serio e il faceto, dichiara sonante: «Il Piano Mattei è la più importante iniziativa diplomatica dell’Italia negli ultimi trent’anni».