Quei criminali arruolati da Putin che tornano in Russia ancora più delinquenti (ilfoglio.it)
Piccola posta
Il Washington Post riferisce di un assassino tirato fuori dalla galera nel 2022 per militare nella Wagner e tornato in patria. Uccise una donna di 85 anni, fu rimesso in galera, e, nella scorsa estate, riliberato e riarruolato
Putin ha firmato mercoledì la legge che esonera gli imputati in attesa di giudizio e gli stessi indagati dalla prosecuzione del processo in cambio dell’arruolamento. La legge, proposta dalla Corte Suprema e approvata dalla Duma, estende dunque a giudicandi e sospettati la cancellazione del debito con la giustizia da tempo applicata ai prigionieri condannati, compresi i criminali più incalliti e gli assassini più efferati.
La si può considerare come un’amnistia universale e a questo punto anche preventiva, sia pur condizionata – alla morte e alla mutilazione. Non c’è, o almeno non che io sappia, un’informazione attendibile su quanti dei detenuti (e delle detenute, l’affare riguarda anche loro) sopravvivano al servizio al fronte per i sei mesi previsti dal contratto. Diciamo che il provvedimento è una combinazione fra l’amnistia e la roulette russa. Una eventuale pena di morte per mano nemica.
Esistono bensì notizie diffuse sugli effetti civili del ritorno dei reduci dal semestre d’azzardo, un rialzo ingente della temperatura criminale. Il Washington Post di ieri riferiva di un caso che avrebbe fatto la felicità di Fjodor Dostoevskij: un assassino comune tirato fuori dalla galera nel 2022 per militare nella Wagner e tornato in patria dopo un semestre fortunato, uccise una donna di 85 anni, fu rimesso in galera, e, nella scorsa estate, riliberato e riarruolato. Ne hanno dato notizia i parenti della donna.
La nuova misura dovrebbe portare al fronte ucraino 24 mila freschi combattenti. Molto più che la sporca dozzina. Siamo fra il rimpinguamento del servizio militare e la riduzione del sovraffollamento carcerario: abbiamo tutti qualcosa da imparare. Secondo Olga Romanova, portavoce dell’associazione “Russia dietro le sbarre”, all’inizio di quest’anno già 53 prigioni erano state chiuse perché la maggioranza dei loro reclusi era stata reclutata.
Mi piace leggere i commenti. Fra qualche centinaio di commenti del WP, parecchi prevedono un inevitabile incremento nelle procedure giudiziarie della Federazione russa, così da realizzare una mobilitazione ombra – dalla mobilitazione ufficiale Putin si tiene più che può alla larga.
Inoltre, lo stato abominevole delle carceri e le vessazioni e le angherie contro i detenuti funzionano come un incentivo a firmare. (Entro dicembre, Putin ha annunciato anche una “ordinaria” coscrizione obbligatoria di 133 mila uomini fra i 18 e i 30 anni: per un anno).
Un commento dice: “Ho avuto un incubo stanotte. Ho sognato che vivevo in Russia”. Un altro: “E qua da noi il criminale lo eleggiamo dritto alla Casa Bianca”. Un altro ancora: “Putin ha la sua occasione per arruolarsi”.
(La mobilitazione è anche un punto dolente dell’Ucraina, come si sa. E anche l’Ucraina recluta condannati volontari, ma con delimitazioni molto più rigide quanto ai delitti e alle pene).
All’Italia manca la volontà politica di opporsi alla propaganda filorussa (linkiesta.it)
Ventre molle dell’Europa
Per contrastare la disinformazione e le politiche aggressive del Cremlino serve un’Ue integrata e con un’idea forte di sicurezza.
Ma, come spiega a Linkiesta il senatore Enrico Borghi (Italia Viva) membro del Copasir, «spesso non c’è la determinazione di perseguire l’obiettivo che sta alla radice delle sanzioni, cioè indebolire l’economia di guerra di un Paese invasore»
Nell’ultima settimana, con tre inchieste di Massimiliano Coccia, Linkiesta ha rivelato le strategie più subdole con cui la propaganda filorussa si infiltra in Italia, nelle istituzioni, nei media, nella politica; poi ha ricostruito le triangolazioni che hanno coinvolto il tessuto imprenditoriale – italiano ed europeo – e le falle nei sistemi di sorveglianza che hanno permesso alla Russia di aggirare le sanzioni.
Non c’è una strategia unica, ma una pluralità di soggetti dietro alla macchina della propaganda putiniana. E l’Italia è probabilmente il Paese che più di tutti in Europa subisce la fascinazione della Russia.
«Il primo motivo di questa fascinazione va ricercato nel retaggio di un pezzo della sinistra italiana, in cui c’è ancora una parte di filamento con la storia del Novecento che ha visto il rapporto organico tra Mosca e Botteghe Oscure, e quindi scatta a volte una sorta di riflesso condizionato», dice a Linkiesta il senatore Enrico Borghi (Italia Viva), membro del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica – l’organo che esercita il controllo parlamentare sull’operato dei servizi segreti italiani.
Ma ci sono anche altri motivi, aggiunge Borghi. «C’è un generale apprezzamento per il sovranismo, almeno dal governo Conte I, quello formato da Movimento 5 Stelle e Lega, che faceva della predicazione di Dugin e dell’icona di Vladimir Putin un mastice ideologico di riferimento, le cui propaggini arrivano sin qui come si vede dalle posizioni dei due partiti sulla guerra in Ucraina».
Ma parte delle responsabilità sono anche di Fratelli d’Italia e della premier Giorgia Meloni, «che nella sua autobiografia di pochi anni fa definì Putin “l’unico vero statista europeo perché è l’unico ad avere a cuore le radici cristiane”. E anche se la realpolitik ha obbligato la premier a convertirsi sulla via di Washington (e con fatica anche di Bruxelles), questo elemento e questa inflessione culturale a destra ha scavato e non poco».
E infine ci sono gli storici rapporti economici Italia-Russia: «Fino alla stagione delle sanzioni e delle invasioni russe in Crimea prima e nel Donbas e Luhansk poi, e soprattutto ci eravamo affidati a Mosca come cordone ombelicale per la questione energia, creando interessenze di business. L’intreccio di questi quattro fattori ha creato una porosità particolare del nostro Paese per la Russia», aggiunge Borghi.
Il Copasir, per definizione, segue con attenzione tutto ciò che riguarda la sicurezza nazionale, e quindi anche la propaganda putiniana. Tra l’altro proprio grazie al lavoro di questo organismo, in piena stagione pandemica, era emersa quell’infodemia con cui Mosca – attraverso i suoi canali di disinformazione – condizionava le opinioni pubbliche occidentali sui vaccini e la risposta sanitaria al Covid-19.
Solo che adesso, come nota anche il senatore Borghi, «siamo davanti a un salto di fase che esige al nostro Paese un salto di qualità. Il vertice dei servizi segreti italiano e il nostro capo di stato maggiore sono venuti in Parlamento a denunciare la disinformazione russa come strumento di guerra ibrida».
La scorsa primavera è arrivata in Senato una proposta, nata da un’iniziativa di Italia Viva e dello stesso Borghi, per la creazione di un’Agenzia per la Sicurezza Cognitiva e contro la disinformazione, sulla falsariga di modelli già esistenti in Francia, in Svezia, negli Stati Uniti, negli Stati baltici. Un terzo servizio, da affiancare ad Aise e Aisi, sotto il coordinamento del Dis, con la funzione di monitorare e interpretare l’andamento dei fenomeni di disinformazione per consegnare a Governo e Parlamento la fotografia di ciò che accade
Ma un disegno di legge, da solo, non basta. Il principale ostacolo alla vigilanza sulle sanzioni è nelle intenzioni, di adesione a un’idea democratica: «È una questione di volontà politica», dice Borghi. «Inutile girarci intorno, conta la determinazione di perseguire o meno l’obiettivo che sta alla radice delle sanzioni, che è quello di indebolire l’economia di guerra di un Paese invasore.
Se si crede convintamente e sinceramente a questi obiettivi, si mette altrettanta volontà sulla vigilanza delle sanzioni. Se, invece, si è aderito in maniera farisaica e di maniera a questo strumento, alla fine poi si determina una situazione di dissolvenza».
Se le sanzioni sono lo strumento migliore per fermare l’imperialismo russo, anche a livello europeo, una fallacia nella fase di controllo e rispetto delle sanzioni rischia di vanificare ogni sforzo. Ed è qui che è più urgente intervenire. «È il momento di far nascere finalmente un’Europa della sicurezza, al posto dei balbettii attuali», dice Borghi.
«Il rapporto Draghi sul futuro dell’Unione europea lo ha detto chiaramente: se continuiamo in questo modo, a frammentare le risorse e a procedere per compartimenti stagni, risulteremo essere inadeguati e insufficienti per l’attuale, ma soprattutto per il futuro contesto geopolitico. La grande responsabilità storica dei sovranisti è questa: aprire la porta al condizionamento delle autocrazie, e impedire all’Europa di crescere per essere adeguata alla sfida. Ecco perché serve una risposta riformista europeista, ed ecco perché il futuro sul piano politico non potrà che polarizzarsi su questo: europeisti riformatori da un lato, nazionalisti sovranisti dall’altro».
Cambio di sesso: tutti i paesi europei saranno obbligati al riconoscimento (ildubbio.news)
Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue su un caso di un cittadino anglo-rumeno
Il rifiuto di uno Stato membro di riconoscere il cambiamento di prenome e di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro è contrario ai diritti dei cittadini dell’Unione.
Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue in una sentenza. Il caso riguarda un cittadino rumeno che è stato registrato alla nascita in Romania come di sesso femminile. Dopo aver traslocato nel 2008 nel Regno Unito, ha acquisito la cittadinanza britannica, conservando al contempo la cittadinanza rumena.
È in tale paese in cui risiede che, nel 2017, ha cambiato il suo prenome e il suo titolo di cortesia da femminile a maschile ed ha ottenuto, nel 2020, un riconoscimento legale della sua identità di genere maschile.
Nel maggio 2021, sulla base di due documenti ottenuti nel Regno Unito che attestano detti cambiamenti, tale cittadino ha chiesto alle autorità amministrative rumene di annotare nel suo atto di nascita le menzioni relative al suo cambiamento di prenome, di sesso e di codice numerico personale affinché corrispondessero al sesso maschile.
Ha chiesto inoltre il rilascio di un nuovo certificato di nascita contenente tali nuove menzioni. Tuttavia, le autorità rumene hanno respinto tali domande, invitandolo ad avviare un nuovo procedimento di cambiamento di identità di genere dinanzi ai giudici rumeni.
Sulla base del proprio diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione, il cittadino interessato ha chiesto a un tribunale di Bucarest di disporre che il suo atto di nascita fosse reso conforme al suo nuovo prenome e alla sua identità di genere, riconosciuta definitivamente nel Regno Unito.
La Corte risponde che una normativa di uno Stato membro che rifiuta di riconoscere e di annotare nell’atto di nascita di un cittadino il cambiamento di prenome e di identità di genere legalmente acquisito in un altro Stato membro