Caro Giuliano, una morale separata dall’efficacia è una possibilità irrinunciabile (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

E tuttavia non mi contento davvero di una obiezione morale su Gaza: ci si deve interrogare sul principe che si faccia troppo odiare. Netanyahu – e l’alleanza di governo su cui si regge – si è fatto troppo odiare da troppa parte dell’umanità

Caro Giuliano, ieri hai cortesemente chiamato la mia posizione “perfettamente morale, secondo me errata”, e te ne ringrazierei, leggendola “errata, secondo me perfettamente morale”. Insistere sul nostro dissenso su Gaza è superfluo, è un fatto compiuto, ma c’è un dettaglio che ha un’influenza pratica, e riguarda proprio la giornata di oggi.

In sostanza, non riconosco un dissenso né riguardo alla ripugnanza per il 7 ottobre, né sopra il giudizio sull’Iran degli ayatollah e la prospettiva di un loro armamento nucleare. Fui ammiratore di Osirak. Quanto a una morale separata dall’efficacia, dunque eventualmente errata, è una possibilità irrinunciabile: salvare la propria anima è il minimo. 

Non mi commuovono le denunce dei bombardamenti su Dresda tarde di tre quarti di secolo, ma chi le avesse denunciate allora come un inutile accanimento, o anche solo per obiettarvi personalmente, meriterebbe un’alta considerazione. Come lo scienziato che avesse obiettato all’atomica su Hiroshima, o il pilota che avesse disertato dall’atomica su Nagasaki.

Tuttavia puoi immaginare che io non mi contenti davvero di una obiezione morale, e invece creda – sbagliando, forse, ma resta da vedere – nel suo effetto. Machiavelli chiede se convenga più al principe essere amato o temuto, e raccomanda il male minore: ma ci si deve interrogare anche sul principe che si faccia troppo odiare. Netanyahu – lui in persona, e più l’alleanza di governo su cui si regge – si è fatto troppo odiare da troppa parte dell’umanità.

A questa parte appartengono giovani persone ferite da un tale scandalo di fronte al mattatoio di Gaza, da identificare il governo di Israele con Israele, e da rigettare come un ricatto, questo sì immorale, l’avvertimento sull’antisemitismo. Dall’antisemitismo non si guardano come da un tabù, come (forse) noi, bensì come da un’assurdità loro estranea.

Vengo al punto, quanto all’effetto di una morale in un caso concreto e incombente. L’infame intitolazione che qualcuno ha dato alla manifestazione di oggi per la Palestina è allo stesso tempo, come altre volte, un indifferente pretesto alla decisione di tante persone giovani di incarnare il proprio scandalo e chiederne conto.

Ti faccio un esempio a sua volta scandaloso, che ti renderà l’idea: si va a una manifestazione indetta da un volantino infame, ammesso che lo si legga, un po’ come si sale su un barcone di scafisti, potrà succedere di annegare, o di toccare terra, e perfino di finire a processo per complicità con gli scafisti.

Che lo scandalo sia fuorviato verso parole d’ordine insensate è nelle cose. Denunciare intitolazioni infami e parole d’ordine insensate è giusto e necessario, ma auspicare il divieto alla volontà di manifestare è un errore gravido di guai. E, nella tua posizione, è esattamente un cedimento alla morale separata dall’efficacia e dall’effetto, dunque, diresti, “errata”. In particolare di fronte alla posa con cui il governo e il ministro dell’Interno, uomo costantemente “in prova”, da un rave a una guerra mondiale, si dispongono a sfidare il disordine pubblico.

Sono molto preoccupato per la manifestazione di oggi, e l’occasione che offre a molti energumeni in alto e in basso. E’ ancora più preoccupante la conferma che darà, che ha già dato, alle ragazze e ai ragazzi cui la carneficina di Gaza ha procurato quello scandalo incancellabile per un gran tempo a venire.

Si disse, ventun anni fa, che il movimento contro la guerra fosse “la seconda superpotenza mondiale” – e perfino il movimento se ne lasciò lusingare. Non era così, le guerre hanno ripreso le loro tracotanti ragioni e basta avere o fabbricarsi una bomba atomica per dettar legge.

Lo scandalo dei giovani, unilaterale che sia, dimentico che sia di donna vita libertà, deviato che sia dalle propagande multilaterali, non può che essere rincarato dalle proibizioni, e reagire come a una sfida.

Non diventerà una superpotenza globale, e meno male, ma si esilierà, e pregiudicherà la solidarietà col mondo.

(ANSA)

Bologna 2021-26 – Arte in catene per la politica (corriere.it)

di Flavio Favelli

Se il sindaco vuole solo un’arte «di servizio»

Pochi giorni fa in Sala Borsa, il sindaco e l’ex delegata alla cultura, hanno presentato il libro insieme all’autrice Milena Naldi, Arte pubblica a Bologna, Sculture dal dopoguerra ad oggi , edito da Pendragon, che raccoglie 75 opere: due terzi sono state commissionate e sono dedicate a eventi e fatti della città; la metà sono dedicate a morti e caduti.

Prevale quindi l’idea di un’arte commemorativa che deve rispondere a una società che vede nell’arte una sentinella della memoria. Negli ultimi dieci anni, su tredici sculture, dodici sono state commissionate per uno scopo preciso; l’artista viene così interpellato per cercare di risolvere le esigenze concrete della città o per fare monumenti funerari.

Così le opere d’arte nello spazio pubblico sono considerate solo come mezzo e nemmeno così autonome rispetto alle opere pubbliche sui generis; come scrive il sindaco nel catalogo della mostra: «Le opere pubbliche, d’arte e non solo (sic! ndr), sono lo specchio della società che le commissiona e le realizza…

Questa è una responsabilità che sentiamo molto forte nel ridefinire lo spazio pubblico e urbano nel disegno urbanistico e culturale che stiamo portando avanti in questi anni. Un disegno che metta al centro le persone e la qualità della vita e delle relazioni, e dove l’arte può essere il punto di contatto tra lo sguardo delle persone e la città».

Un’introduzione chiara di un politico al libro Arte pubblica a Bologna, che dice cosa debba essere e fare l’arte, che, al pari dei marciapiedi e delle ciclabili, è fatta dalla società che le commissiona e serve a mettere «al centro le persone e la qualità della vita e delle relazioni», e, se proprio lo si vuole, l’arte «può essere il punto di contatto tra lo sguardo delle persone e la città».

Almeno nella Fontana del Nettuno, anche se comandava il Papa, c’è scritto oltre che «Fatta con soldi pubblici» e «Fatta ad uso del popolo», anche «Fatta per ornare la piazza», ma il sindaco, da robusto materialista, sulla questione estetica, che considera roba da élite, non ne vuole sapere.

D’altra parte nel lessico populista, come ha detto un altro sindaco robusto, quello di Venezia, commentando il Padiglione Italia all’ultima Biennale, «l’arte dovrebbe arrivare al cuore di tutti… non essere soltanto per le élite … ascoltare il popolo, ascoltare la gente…» Come pensa anche l’amministrazione bolognese e infatti sulla politica culturale e sull’arte non c’è nessuna differenza fra il sindaco di destra e quello di sinistra, perché il populismo ha le stesse idee: il popolo sovrano, come avviene nella Cina di oggi, perfetta sintesi fra antica tradizione e socialismo reale, taglia fuori gli intellettuali e decide, mediante i suoi delegati, che arte fare, la quale deve ascoltare il popolo ed essere fatta dalla società come scrive il sindaco di Bologna.

Del resto un riferimento dell’amministrazione bolognese è Kilowatt con la Serra Madre (forse di tutte le Battaglie e dell’Avvenire), dove l’arte esiste ed è ammessa solo perché dialoga con «centri di ricerca, aziende e cittadinanza sui temi legati a sostenibilità, innovazione e ambiente», al servizio di un MinCulPop.

O commemorazione di defunti o chiamata su commissione per cercare di risolvere qualche problema urbano o al verbo della nuova trinità, sostenibilità, innovazione e ambiente o per completare il disegno culturale di tipo sovietico, finalmente l’arte farebbe qualcosa di buono.

«L’arte serve o sparecchia?» Si chiedeva Achille Bonito Oliva e in una brillante intervista aggiungeva «è la necessità di un lusso; la sua funzione non è riducibile e cronometrabile in un ambito temporale breve; è il segno di una società libera dove non si pongono linee né di destra né di sinistra, né neorealismo né Novecento».

A Bologna, invece, siamo sicuri: l’arte serve, eccome.