Entra in cella sulle sue gambe, ne esce in carrozzina: l’Italia dovrà risarcirlo (unita.it)

di Angela Stella

Ancora una condanna Cedu

Il caso di un detenuto affetto da patologie ortopediche e neurologiche. In carcere, senza cure adeguate, non camminava più. Ora si appoggia a una stampella. La Cedu: “Trattamenti inumani”

L’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Proibizione della tortura – Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti).

È quanto si legge in una sentenza del 3 ottobre che riguarda il diritto alla salute in carcere. Il ricorso riguardava, infatti, la presunta incompatibilità dello stato di salute del ricorrente con la detenzione e la mancata prestazione di cure mediche adeguate in carcere.

L’uomo aveva ricevuto varie condanne penali per reati gravi ed era stato condannato a una pena cumulativa di 30 anni di reclusione. Il ricorrente soffriva di malattie ortopediche e neurologiche, costituite principalmente da ernia del disco spinale ricorrente, artrite spinale e dolore lombare acuto, che comportavano una mobilità compromessa.

Era stato sottoposto a tre interventi chirurgici e, dopo l’ultimo nel 2006, gli era stata prescritta fisioterapia. Dal 1987, alcuni periodi di detenzione si erano alternati a periodi durante i quali era stato rilasciato per motivi di salute. Era stato detenuto nelle carceri di Ferrara, Torino, Bologna. I medici che avevano svolto su di lui gli accertamenti clinici avevano certificato una “cronicizzazione dei disturbi motori”.

Una situazione clinica tale da richiedere delle cure continue e cicli di fisioterapia costanti. Cure che, però, non sarebbero state somministrate in maniera adeguata all’interno degli istituti di pena dove era recluso. Per questo erano state presentate nel corso degli anni diverse istanze dal suo legale, l’avvocato Carlo Gervasi del foro di Lecce, per ottenere un trattamento consono alle esigenze di salute: in particolare, una detenzione domiciliare, così da poter dare avvio al ricovero in una struttura specializzata.

Ma venivano accordati solo brevi periodi di sospensione dell’esecuzione della pena. “È pacifico – scrive la Cedu – che il ricorrente soffriva di patologie ortopediche e neurologiche. Inoltre, precedenti referti medici e decisioni giudiziarie avevano indicato la necessità di una fisioterapia regolare, se non costante, al punto che era stato ritenuto necessario un periodo di detenzione domiciliare. I referti emessi prima del ritorno del ricorrente in carcere nel novembre 2011 indicavano specificamente che aveva bisogno di fisioterapia di mantenimento due volte a settimana. (…) Nonostante queste indicazioni unanimi durante i due anni in cui è rimasto in carcere, sembra che il ricorrente abbia avuto accesso solo a dieci sedute di fisioterapia”. Non abbastanza per non peggiorare il suo stato di salute. Si legge quindi in conclusione che la Corte ha ritenuto che in uno specifico periodo di detenzione “il ricorrente non ha ricevuto cure adeguate durante la sua detenzione. Vi è stata pertanto una violazione dell’articolo 3 della Convenzione”.

Lo Stato italiano dovrà risarcire l’ex detenuto con 8 mila euro.

Come ci ha spiegato l’avvocato Gervasi “non è tanto importante il risultato singolo, quanto le strade che apre, essendo questa sentenza la prima in tal senso. L’elemento importante di questa decisione della Cedu è che viene rilevata l’inadeguatezza dell’assistenza per il detenuto in carcere. Non basta tenere sotto controllo la malattia, altrimenti il detenuto peggiora. In questa specifica circostanza, il mio assistito era entrato in piedi in carcere e ne è uscito in sedia a rotelle. Da due anni è libero e ha ripreso a curarsi e ora cammina con una stampella”. Conclude l’avvocato: “la giustizia italiana è lenta, ma anche quella della Cedu non è da meno. Io avevo presentato il ricorso nel 2013 e solamente adesso è arrivata la decisione”.

Intanto è da registrare ancora un suicidio in carcere. Un detenuto si è tolto la vita due sere fa nella casa di reclusione di Vigevano (Pavia), impiccandosi nella sua cella. A darne notizia è stato Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria. La vittima è un magrebino di circa 40 anni, con un residuo di pena vicino a un anno. 

“Si è trattato del 74esimo detenuto suicida dall’inizio dell’anno – ha sottolineato De Fazio -, cui bisogna aggiungere 7 appartenenti alla polizia penitenziaria che si sono tolti la vita. Una strage senza fine e senza precedenti, rispetto alla quale la politica non pone alcun argine concreto”. Nonostante questa situazione, non si è ancora insediato il nuovo Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, Riccardo Turrini Vita. 

L’iter non sarà brevissimo: occorre attendere il parere non vincolante delle Commissioni parlamentari competenti, poi il decreto del Presidente della Repubblica.

Ecco come l’Ucraina può e deve entrare nella Nato (e disinnescare la minaccia russa) (linkiesta.it)

di

Una soluzione c’è

Mentre Zelensky incontra Meloni, uno dei punti del piano ucraino per la vittoria prevede l’invito ad aderire all’Alleanza Atlantica. Ci sono cinque scenari possibili per garantire a Kyjiv sicurezza e integrità territoriale

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden può passare alla storia come il presidente che lascia l’eredità più grande nel percorso di integrazione dell’Ucraina nella Nato, se l’Ucraina dovesse essere invitata a entrare nell’Alleanza atlantica durante il suo mandato.

Questo significherebbe anche correggere gli errori delle precedenti amministrazioni democratiche che hanno contribuito alla denuclearizzazione dell’Ucraina – come accaduto durante l’Amministrazione Clinton, quando l’Ucraina ha rinunciato alle sue testate nucleari, e l’amministrazione Obama-Biden, quando l’Ucraina ha rinunciato all’ultima quota delle scorte di uranio altamente arricchito.

Formalmente, nonostante la percezione diffusa, non esiste un protocollo con un elenco di criteri specifici per invitare un Paese euro-atlantico nella Nato. L’articolo 10 del Trattato di Washington dice: «Le parti possono, con accordo unanime, invitare ad aderire a questo Trattato ogni altro Stato europeo in grado di favorire lo sviluppo dei principi del presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della regione dell’Atlantico settentrionale».

Ancora più indicativo è l’articolo 7 dello studio sull’allargamento della Nato, che avrebbe dovuto “chiarire” gli articoli del Trattato di Washington sul tema dell’allargamento e che, di fatto, è la base della politica di allargamento della Nato dal 1995. Questo afferma chiaramente: «Non esiste un elenco fisso o rigido di criteri per invitare nuovi stati membri ad aderire all’Alleanza. L’allargamento sarà deciso caso per caso».

Di conseguenza, l’esecuzione da parte dell’Ucraina della lista di riforme necessarie a ottenere un invito (non l’adesione) è un segno della buona volontà dell’Ucraina e del suo impegno ad accogliere un invito ad aderire all’Alleanza.

L’invito rivolto all’Ucraina sarebbe davvero unico nella storia dell’allargamento della Nato, trattandosi di un invito rivolto a un Paese che si trova nel mezzo di una fase calda della guerra, con la linea del fronte in continuo cambiamento.

Ma quali sono oggi i possibili formati dell’invito dell’Ucraina ad aderire alla Nato, durante una fase attiva della guerra? E quali sono i requisiti per l’invito più favorevole per quanto riguarda la sicurezza dell’Ucraina?

1) Un invito come dichiarazione puramente politica

Un simile invito ha soprattutto un significato politico e psicologico, e non tiene per forza conto del concetto di garanzie di sicurezza nel prossimo futuro.

Pro: da un punto di vista puramente politico è un segnale, che mentre la guerra continua, Vladimir Putin si sta di fatto allontanando dai suoi obiettivi dichiarati (lo status neutrale dell’Ucraina). Da un punto di vista psicologico avrebbe un grande effetto sul morale dell’esercito ucraino e sulla società in generale, aiutando gli ucraini a capire che non ci sarà una nuova aggressione russa o, se dovesse esserci, l’Ucraina non sarà sola.

Contro: la mancanza di garanzie di sicurezza per il futuro. Ad esempio il potenziale “ritiro” dell’invito nel caso in cui Donald Trump dovesse essere eletto presidente.

2) Invito, e negoziati di adesione

Nonostante comunemente si pensi che un invito equivalga all’effettiva adesione alla Nato, l’Alleanza ha una procedura di adesione che consiste in tre fasi: invito, colloqui di adesione e ratifica dei protocolli. Di solito, i negoziati di adesione sono una fase formale (nei casi di Finlandia e Svezia sono durati un giorno), ma dati i problemi esistenti sulla prontezza dell’Ucraina per l’adesione alla Nato, sulla guerra in corso e sul contesto delle riforme del settore della sicurezza e della difesa, l’Ucraina può utilizzare questa procedura per soddisfare le condizionalità in termini di riforme in cambio di un invito e dell’avvio delle procedure di adesione (sulla falsariga del percorso in sette fasi del processo di candidatura all’Unione europea).

Pro: l’Ucraina riceverà non solo un invito, ma avvierà anche la procedura di adesione.

Contro: si rischia un ritardo artificiale e di creare ulteriori prerequisiti per l’avvio del processo di  ratifica.

3) Invito, e garanzie di sicurezza temporanee da parte dei Paesi con arsenale nucleare

Questo è considerato come un invito formale alla Nato. Dal momento che la fase temporale che va dall’invito alla piena adesione è la più delicata, è importante rafforzare tale invito con dichiarazioni politiche di garanzie di sicurezza bilaterali da parte di Paesi dotati di arsenale nucleare, come è stato nel caso di Finlandia e Svezia.

Pro: invito con elementi di garanzia di sicurezza prima dell’adesione completa.

Contro: la complessità della conclusione di tali accordi bilaterali con i Paesi con arsenale nucleare.

4) Invito, adattamento della enhanced Forward Presence della Nato e lancio della “Coalizione dei Risoluti”

Mentre nei casi di Finlandia e Svezia una dichiarazione politica (non vincolante) sulle garanzie di sicurezza poteva essere sufficiente nel passaggio tra invito e adesione, nel caso dell’Ucraina, con una fase attiva in corso della guerra, sarebbe più appropriato coinvolgere la componente militare dei singoli Stati che hanno la volontà politica e le capacità belliche adatte. Negli Stati baltici e nell’Europa centrale, l’adesione alla Nato è stata seguita dall’impiego della enhanced Forward Presence (eFP, un contingente multinazionale come quelli presenti nei Paesi baltici, ndt). Nel caso dell’Ucraina, tuttavia, potrebbe essere necessario fare un percorso inverso: l’invio della eFP prima dell’adesione alla Nato.

Pro: utilizzo di elementi di sicurezza collettiva anche prima di raggiungere la piena adesione all’Alleanza. Il fatto che la Nato abbia esperienza pregressa di un simile meccanismo negli Stati baltici e nei Paesi dell’Europa centrale.

Contro: nonostante l’esperienza precedente, questo processo richiederebbe un complesso lavoro diplomatico e burocratico nella “Coalizione dei Risoluti”.

5) Invito, e adesione graduale (modifiche all’articolo 6 del Trattato di Washington)

Questa è un’opzione che può essere eseguita prima della completa liberazione di tutti i territori occupati dell’Ucraina. Va sottolineato che questa sarebbe un’adesione graduale, non parziale: vale a dire, un invito all’intera Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, l’adesione sarà seguita gradualmente dalla copertura dell’articolo 5 (un attacco armato contro uno o più paesi dell’alleanza è considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, ndt) man mano che i territori ucraini saranno liberati (da non confondere con l’adesione parziale, che implicherebbe una rinuncia di fatto ai territori occupati).

Questa opzione presuppone almeno una chiara linea amministrativa: potrebbe essere necessario modificare l’articolo 6 del Trattato di Washington per chiarire le coordinate geografiche dell’articolo 5, cosa che è già stata fatta due volte nella storia della Nato (è successo con l’adesione della Turchia nel 1951, e con la perdita dello status di colonia francese dell’Algeria nel 1962).

Pro: per ottenere la piena adesione non sarà necessario liberare l’intera Ucraina.

Contro: questa soluzione sarà possibile solo con una tregua/cessate il fuoco temporaneo. E ci potrebbero essere complicazioni diplomatiche legate alla modifica dell’articolo 6.

In conclusione, considerando tutte le possibili opzioni, si può dire che ci sono tre requisiti necessari e preferibili per l’invito dell’Ucraina nella Nato.

In primo luogo, è necessario che l’invito sia esteso a tutta l’Ucraina, con i confini riconosciuti a livello internazionale. In secondo luogo, un requisito fondamentale è definire un algoritmo per il processo di adesione, anche nella fase di un cessate il fuoco temporaneo (adesione graduale). Vale la pena considerare la possibilità di modificare l’articolo 6 del Trattato di Washington che definisce l’area geografica su cu si applica l’articolo 5.

In terzo luogo, un requisito sarà lo sviluppo parallelo di garanzie di sicurezza temporanee fino al momento della piena adesione, e con possibile coinvolgimento della componente militare, se non a livello di Nato almeno a livello di una “Coalizione dei risoluti”: un gruppo di Paesi (con la presenza obbligatoria di Paesi dotati di arsenale nucleare) pronti a inviare i loro militari in Ucraina.

In questo contesto, dovremmo considerare di riprodurre il modello Nato di enhanced Forward Presence (eFP): lo spiegamento e l’addestramento delle truppe a rotazione e non necessariamente della Nato.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese sul sito dello New Europe Center di Kyjiv. La versione originale si può leggere qui.