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Elly Schlein, ora parlaci di Bibbiano e ridai dignità alla tua comunità colpita dal fango (ildubbio.news)

di Davide Varì

L’appello

Altro che tutela dei minori: con questo caso temi delicatissimi sono finiti sui palchi della propaganda. Mentre il Pd restava in silenzio

La vicenda di Bibbiano sembra uscita da un manuale di caccia alle streghe, un’eco lontana che richiama i processi di Salem. Allora, come oggi, non c’era bisogno di prove concrete: bastava l’accusa, la suggestione, il sospetto.

E proprio come a Salem, anche qui il fuoco della propaganda ha divorato la verità, alimentata dall’isteria collettiva e dall’opportunismo politico e da un giornalismo becero a caccia di scandali.

Bibbiano è diventata il capro espiatorio perfetto sfruttando accuse infamanti per creare un mostro da esporre in piazza. Si è parlato di bambini a rischio, di famiglie distrutte. Temi delicatissimi che sono finiti sui palchi della propaganda. Altro che tutela dei minori. La macchina del fango ha investito tutto e tutti, dai politici ai cittadini comuni travolgendo quella rete di servizi sociali vitali per il benessere di una comunità.

E così, mentre il caso veniva alimentato a colpi di titoli sensazionalistici, la comunità politica del Pd di Bibbiano si è ritrovata a combattere non solo contro accuse ingiuste, ma contro un processo mediatico già concluso prima ancora che i giudici potessero dire la loro.

Il Partito Democratico, che avrebbe dovuto proteggere i suoi, è rimasto in un silenzio assordante. Anni di accuse, insinuazioni e processi sommari, eppure poche voci si sono levate in difesa di chi era stato travolto da questa furia cieca. Solo Matteo Renzi, all’epoca ebbe il coraggio di alzarsi in piedi e gridare contro l’assurdità di quanto stava accadendo, difendendo apertamente quella comunità ingiustamente colpita. Ma c’è ancora una voce che manca all’appello, è quella della segretaria del Pd Elly Schlein.

Solo l’autorevolezza del segretario del Pd può, ora, lenire quella ferita, ridare dignità a una comunità colpita dal fango. Ma quella voce manca ancora. Solo Elly Schlein può chiudere definitivamente quel doloroso capitolo. Solo lei può ridare protezione politica a chi è stato lasciato solo.

Bibbiano aspetta il suo segnale, aspetta che quella dignità e quel rispetto, strappati via a colpi di fango mediatico, vengano finalmente restituiti.

La giustizia italiana annulla l’espulsione dei primi 12 migranti verso l’Albania centrale (elmundo.es)

di Manuel Tori

Un duro colpo alla politica migratoria di 
Giorgia Meloni che Ursula von der Layen

La giustizia italiana ha smantellato fin dall’inizio il piano migratorio di Giorgia Meloni in Albania. I magistrati della sezione dedicata alle migrazioni di Roma hanno annullato venerdì l’espulsione delle 12 persone – otto bengalesi e quattro egiziane – trasferite nel centro migrazioni di Gjader (Albania).

Nel giro di poche ore, a tutti loro è stata negata la domanda di asilo – cioè l’ottenimento della protezione internazionale – martedì, giorno in cui sono stati sbarcati sulle coste balcaniche dalla Marina italiana dal Mediterraneo centrale. Dopo la sentenza del tribunale, i 12 migranti sbarcheranno questo sabato a Bari (Italia).

L’asse centrale della decisione del Tribunale di Roma si basa sul concetto di paese sicuro. Secondo le autorità giudiziarie, stati come il Bangladesh, la Tunisia o l’Egitto non possono essere considerati paesi sicuri perché non tutti i loro cittadini possono essere considerati esenti da persecuzioni.

La giustizia transalpina non fa altro che rispettare la recente sentenza della Corte di giustizia dell’Ue, con sede a Lussemburgo, in cui all’inizio del mese ha avvertito il governo italiano che l’ampliamento della lista dei Paesi sicuri che Roma ha fatto lo scorso maggio osserva incompatibilità con il diritto dell’Ue.

La sentenza non comporta la sospensione dei centri per migranti in Albania. Ma, fin dall’inizio, sarebbero limitati alle persone di quelli considerati dall’UE paesi sicuri.

Attraverso la decisione del Tribunale di Roma si chiarisce la gravità di accelerare le procedure di espulsione di un richiedente asilo, che è ciò che il governo italiano sta promuovendo, perché impedirebbe un adeguato studio di un’eventuale protezione internazionale.

Questo sviluppo è un duro colpo legale al piano migratorio di Giorgia Meloni in Albania, che si concentra sull’imporre la definizione di nazioni come il Bangladesh, la Tunisia e l’Egitto come paesi sicuri, anche se non sono completamente sicuri per tutti i loro cittadini in tutto il loro territorio. Non è un caso che il governo transalpino li abbia inseriti nella lista, perché rappresentano il 40% dei flussi migratori dal Mediterraneo centrale.

(Il governo difende una politica migratoria “antagonista” al modello Meloni)

Venerdì è stato politicamente intenso anche per il vicepresidente del Governo italiano, Matteo Salvini, leader della Lega; che ieri ha vissuto un nuovo capitolo del caso Open Arms, per il quale è accusato di abuso di potere e sequestro di persona per aver impedito, cinque anni fa, lo sbarco di 147 migranti – imbarcati sulla nave umanitaria spagnola Open Arms – nel porto dell’isola siciliana di Lampedusa.

La Procura di Palermo ha già chiesto sei anni di carcere per Matteo Salvini e ieri è stata la volta del suo avvocato, Giulia Bongiorno, che ha dato la sua arringa finale per difendere il leader leguista puntando il dito sull’ong spagnola – proprietaria dell’imbarcazione e procuratore privato nel processo – assicurando che voleva mettere a disagio il governo italiano e la sua politica dei porti chiusi quando Matteo Salvini era ministro dell’Interno. Per Bongiorno, la nave Open Arms ha trascorso otto giorni al largo di Lampedusa avendo la possibilità “in 48 ore” di sbarcare in qualsiasi porto spagnolo.

Per tutta la giornata, più di 90 politici italiani di Legue, tra cui ministri, presidenti di regione e parlamentari, si sono presentati a Palermo per sostenere Salvini in una piccola manifestazione, indossando magliette con il ritratto del vicepresidente e la parola “colpevole”.

La sentenza sarà emessa il 20 dicembre.

L’azione, così umana, di mettersi nei panni altrui davanti ai migranti in Albania (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

L’arrivo del primo sparuto drappello di castigati, con un passo di sbarcati ancora ubriachi di mare.

Quanto alluminio in questo centro, e la tassativa esclusione del legno

Ho guardato con tutta l’attenzione di cui sono capace le riprese filmate del penitenziario italiano in Albania. Le autorità sono state molto liberali, e hanno consentito di visitare e mostrare i fabbricati, “i moduli”, la profusione di alluminio e altro metallo, la tassativa esclusione di legno, i locali di dimora coi quattro letti, a castello due a due, la pavimentazione verde-lenitiva, gli arredi – quattro sedili tondi senza spalliera in un blocco unico col tavolino rotondo tutto metallico, il reparto destinato ai richiedenti asilo, quello destinato ai respinti, e la struttura minore a parte adibita a galera nella galera, con le 20 celle chiuse da riservare agli ospiti che commettano reati o altre trasgressioni.

La sala con lo schermo televisivo nel quale gli ospiti potranno vedere Roma e i giudici che decideranno di loro, della loro sorte da remoto. Tutto questo ad altezza d’uomo, se questo è un uomo.

Poi generose riprese aeree, droni, con l’intero paesaggio di baraccamenti e il pavimento verde che così può ricordare un prato d’erba tagliata cortissima, rasa al suolo, che costituirà l’intera Italia camminabile dagli ospiti, perché fuori dall’alto recinto è Albania ed è vietata.

Cercate di capirmi. Ho guardato e riguardato come chi immagini di trovarcisi, a un titolo qualunque. Può succedere a quasi tutti, infatti. La vita può aiutare a compiere l’azione così tipicamente umana, di mettersi nei panni altrui.

Quella che spinge a guardare e riguardare la scena, compreso, ieri, l’arrivo del primo sparuto drappello di castigati, con un passo di sbarcati ancora ubriachi di mare, e a interrogarsi su quale sarà lo spazio prescelto dal primo di loro e dei loro imminenti successori per togliersi la vita.

Occorrerà ingegnarsi, in quel dispensario d’alluminio.

(ANSA)