di Mario Lavia
M, la populista del secolo
La premier e i suoi attaccano i magistrati seguendo gli stilemi classici del berlusconismo, ma con un tasso di politicità generale in più, trovando nel complotto delle toghe il punto di caduta e la valvola di sfogo di tutte le paranoie della maggioranza populista
Abbiamo dunque scoperto il melonismo come fase suprema del berlusconismo. Forse più tosta, potenzialmente più inquietante. Perché Silvio Berlusconi, stringi stringi, attaccava la magistratura soprattutto per difendere sé stesso e le proprie aziende: era un uso fondamentalmente personale della battaglia contro i pubblici ministeri e poco gl’importava del garantismo come filosofia di un diritto inteso civilmente, o dello stato delle carceri, o dei diritti dei poveri cristi.
Magari i berlusconiani più intelligenti la mettevano così, ma non lui.
Con il melonismo-salvinismo la questione è diversa. Premier e vicepremier attaccano la magistratura seguendo certo gli stilemi classici del berlusconismo (vogliono rovesciare il governo «eletto dal popolo»), ma con un tasso di politicità generale in più. La magistratura non è solo contro la premier, ma contro una politica. Pertanto, «si facciano eleggere».
Di qui il naturale passo successivo è la mobilitazione dei propri elettori contro il «partito dei magistrati»: Silvio ci andò molto vicino – ricordiamo l’adunata dei suoi parlamentari sulla scalinata del palazzo di giustizia di Milano – ma non arrivò al punto di rottura.
Come Berlusconi, Meloni mobilita un pezzo di Italia con la televisione, brandendo la Rai molto più di Silvio (altro che Aventino bisognerebbe fare), e tocca a Carlo Nordio, il «garantista», fare la parte del giacobino ma nel senso reazionario del termine.
«Noi rispondiamo al popolo, se il popolo non è d’accordo con quello che facciano noi andiamo a casa», ha detto il ministro. E no, mentre governate non siete legibus solutus, caro ministro «garantista»: questo è trumpismo.
Da parte sua Matteo Salvini a Palermo ha penosamente imitato il padrone della Fininvest, ma siamo sempre nell’ambito di una questione personale (infatti c’erano solo i leghisti), mentre la presidente del Consiglio dà l’idea di voler sfidare l’ordine della magistratura «in ogni modo», come diceva il Caimano di Nanni Moretti – quando si dice corsi e ricorsi – anche se per ora solo con il Tg1 e l’arma del decreto legge, quello che verrà varato domani, ma tutto lascia supporre che la cosa non si fermerà qui.
Il fatto è che Meloni ha individuato il punto di caduta di tutte le sue paranoie e in questo senso la magistratura è la perfetta sua valvola di sfogo. Per ora ha spaccato l’Italia. Sapendo che sulla questione generale dell’immigrazione una buona parte del Paese è con lei, quella parte che detesta i giudici e l’Europa, gli «imputati» della premier, perché alla fine a mezza Italia e forse più importa poco di leggi e sentenze e il messaggio vittimistico di Meloni passa eccome.
Per tutte queste ragioni stiamo assistendo a una sorta di «trumpizzazione» della destra italiana nel senso di un uso massiccio della falsificazione della realtà non ancora violento. Ma nessuno può giurare che la situazione non degeneri.