Il Fatto e la Volpe (ilfoglio.it)

di Andrea Marcenaro

Cosa pensano, sullo stesso giornale, Travaglio e 
Lerner della partenership Conte-Schlein

Marco Travaglio, pagina 1: “Conte ha un’indicazione netta dagli elettori: niente alleanze organiche o rapporti preferenziali col Pd.

Fino alle Politiche faccia opposizione, si rifondi e apra alla società anche a costo di ritirarsi per un po’ dalle Amministrative”.

Cioè: niente Regionali. Oplà. Gad Lerner, stesso giornale, pagina 8: “A Conte non dispiacerebbe liberarsi dell’ingombrante partnership con Elly Schlein, più contemporanea e movimentista di lui.

Un auspicio che troverà orecchie sensibili nel Pd e tra gli opinionisti dei giornaloni (Travaglio? Chissà! Ndr)”. E ci siamo.

Alla fine della favola dovevamo pure arrivare e adesso siamo lì: a uno scontro titanico tra il Fatto e la Volpe.

Harris-Trump: l’economia Usa nei prossimi quattro anni (lavoce.info)

di 

Il 5 novembre l’America vota per eleggere il 
nuovo presidente. 

Nonostante tutto, l’andamento dell’economia continua a essere uno dei fattori che determinano le scelte dei cittadini. Vale allora la pena analizzare i programmi economici dei due candidati.

Quanto conta l’economia nel voto americano

Dopo un’estate ricca di colpi di scena, primo fra tutti il ritiro di Joe Biden sostituito da Kamala Harris, i candidati alla presidenza Usa hanno avuto l’opportunità di presentare i propri programmi economici durante il dibattito del 10 settembre, così come nei comizi e nelle interviste.

Nonostante persista la sensazione che il risultato delle elezioni, estremamente incerto, sarà influenzato più dalle “vibes” che dai dettagli dei programmi economici, l’economia è considerata la questione più importante per gli elettori americani.

Nei progetti dei due candidati sull’economia ci sono differenze notevoli, ma forse proprio per la vicinanza nei sondaggi, emergono alcune somiglianze. Prima su tutte la guerra commerciale alla Cina e l’aumento significativo del deficit, un tema di cui né Kamala Harris né Donald Trump sembrano preoccuparsi.

Tuttavia, per entrambi, la realizzazione della maggior parte delle promesse dipenderà dalla composizione del Congresso, ovvero se il partito del futuro presidente avrà o meno il controllo di Camera dei rappresentanti e Senato, che si rinnovano anch’essi il 5 novembre, totalmente la prima, in parte il secondo.

In ogni caso, il programma di Harris si può riassumere nella sua visione di promuovere una “Economia delle opportunità”, volta a garantire una crescita economica inclusiva e accessibile a tutti gli americani. Quello di Trump si rifà ai suoi slogan più conosciuti “Make America Great Again” e “Take America Back”, concentrandosi sulla protezione del paese sia da nemici interni (come tasse e regolamentazioni eccessive) sia da minacce esterne, principalmente gli immigrati e la Cina, attraverso dazi elevati e politiche commerciali aggressive.

I temi principali includono: tasse, dazi sulle importazioni, politica industriale, politiche anti-inflazione, regolamentazioni e ruolo delle agenzie federali, welfare e immigrazione. Li approfondiamo attraverso due articoli. Ci occupiamo qui delle proposte sui primi tre capitoli, per lasciare al secondo intervento l’analisi degli altri.

Le proposte sulle tasse

Kamala Harris: la vicepresidente ha delineato un approccio focalizzato sul sostegno alla classe media e ai lavoratori a basso reddito attraverso una serie di modifiche fiscali. Intende espandere i crediti d’imposta per i redditi da lavoro e offrire crediti fiscali generosi per le famiglie.

Per esempio, ne ha proposto uno di 25mila dollari per chi acquista la prima casa: è una misura controversa perché, se non accompagnata da un aumento delle costruzioni, potrebbe causare un aumento dei prezzi delle abitazioni. Sul fronte delle imposte sui più ricchi, Harris ha abbracciato il piano di Joe Biden di imporre una tassa del 25 per cento sulle plusvalenze non realizzate per i patrimoni netti superiori ai 100 milioni di dollari: è un provvedimento che mira a tassare l’incremento di valore degli asset prima che questi siano venduti.

La misura è stata criticata per la sua complessità, i problemi di liquidità e i potenziali effetti negativi sul comportamento degli investitori.

Come Trump, Harris vuole eliminare le imposte sui guadagni derivanti dalle mance, ma il suo piano prevede che questi introiti rimangano soggetti ai contributi previdenziali. Allo stesso tempo, Harris punta ad aumentare l’aliquota fiscale sulle società dal 21 al 28 per cento e ad alzare l’aliquota minima alternativa dal 15 al 21 per cento per le aziende che fatturano oltre un miliardo di dollari. Harris non prevede aumenti di tasse per chi guadagna meno di 400mila dollari all’anno.

Donald Trump: propone tagli fiscali per i redditi alti e le grandi imprese. Ha parlato di ridurre ulteriormente l’aliquota fiscale societaria, portandola dal 21 al 15 per cento per le aziende che producono negli Stati Uniti, una continuazione delle politiche della sua precedente amministrazione che includeva la legge fiscale del 2017, nota per aver introdotto tagli significativi alle imposte per le aziende e per i contribuenti più ricchi.

Trump vorrebbe anche eliminare la doppia imposizione fiscale per i cittadini americani che vivono all’estero e non tassare i benefici della social security (le pensioni). Come Harris, Trump ha proposto di eliminare le tasse sui guadagni che derivano dalle mance.

Nel programma è prevista pure la deducibilità fiscale dei pagamenti dei prestiti auto e l’eliminazione delle imposte sui guadagni da straordinari. Nelle intenzioni del candidato repubblicano, queste misure dovrebbero aumentare gli incentivi a investire e produrre.

Dazi sui beni importati

Donald Trump: sostiene l’introduzione di elevati dazi doganali che, nelle sue intenzioni, dovrebbero proteggere le industrie americane e incrementare le entrate fiscali.

Il suo piano prevede una tariffa del 10 per cento su tutti i beni importati e una del 60 per cento specifica per i prodotti provenienti dalla Cina. Trump afferma che queste misure costringeranno le altre nazioni a ricompensare gli Stati Uniti per il loro ruolo storico globale e prevede che i dazi generati possano ammontare a centinaia di miliardi di dollari.

Kamala Harris: critica l’approccio di Trump, descrivendolo come una tassa indiretta che pesa sulle famiglie americane. Ed è corretto perché le tariffe sui beni importati sono equivalenti a tasse, perché spesso si traducono in prezzi più alti pagati dai consumatori.

Eppure, Harris non ne ha escluso l’uso. Anche perché l’amministrazione Biden ha di recente imposto nuovi dazi (su acciaio e alluminio, così come su semiconduttori, veicoli elettrici, batterie e parti di pannelli solari), prolungandone alcuni già in vigore dalla precedente amministrazione Trump.

In particolare, i nuovi dazi su prodotti cinesi includono un’imposta del 100 per cento sui veicoli elettrici, del 25 per cento sulle batterie agli ioni di litio per veicoli elettrici e del 50 per cento sulle celle fotovoltaiche utilizzate nei pannelli solari. Harris ha confermato l’impegno a promuovere l’industria americana nei settori tecnologici avanzati, come i semiconduttori e l’energia pulita, combattendo le pratiche commerciali definite “ingiuste”, in particolare quelle provenienti dalla Cina, per proteggere i lavoratori statunitensi.

Politiche anti-inflazione

Kamala Harris: nonostante l’inflazione sia tornata intorno al 2 per cento e alcuni prezzi cruciali, come quello della benzina, siano a livelli pre-pandemia, resta tra gli americani la percezione che il costo della vita sia troppo elevato.

Lo riconosce la stessa Kamala Harris e per affrontare il problema, ha proposto una serie di misure a sostegno della classe media e delle piccole imprese, come crediti fiscali per le famiglie e gli acquirenti di prima casa, insieme all’asilo nido universale e al congedo familiare retribuito. Una parte rilevante (e controversa) della sua agenda riguarda il contrasto agli aumenti ingiustificati dei prezzi da parte delle aziende.

Inizialmente, Harris sembrava avere accennato a un controllo diretto sui prezzi, ma la misura è stata poi ridimensionata, trasformandosi in un divieto federale contro pratiche di “speculazione”, con l’obiettivo di proteggere i consumatori e le famiglie americane da rincari arbitrari, soprattutto durante le emergenze.

Donald Trump: la sua campagna si concentra sulle difficoltà economiche affrontate dagli americani sotto l’amministrazione Biden, con particolare enfasi sull’elevato costo della vita e sugli effetti dell’inflazione. Trump cita spesso l’aumento dei prezzi dei generi alimentari come prova dei fallimenti della gestione economica dell’attuale amministrazione.

La sua retorica mira a convincere gli elettori che un ritorno alle sue politiche economiche possa alleviare queste pressioni sui bilanci familiari. Eppure, molte delle proposte di Trump non contribuirebbero a mantenere bassi i prezzi, anzi rischierebbero di essere inflazionistiche. Prime fra tutte, le promesse di imporre pesanti dazi sulle importazioni, poiché le aziende importatrici trasferirebbero almeno in parte i rincari sui prezzi di vendita.

Anche le severe restrizioni sull’immigrazione proposte dal candidato repubblicano potrebbero accentuare l’inflazione, riducendo la disponibilità di manodopera in settori essenziali come l’agricoltura, l’edilizia e la sanità, spingendo così i datori di lavoro ad aumentare i salari per attrarre lavoratori.

Trump ha dichiarato che, se rieletto, vuole avere maggiore controllo sulla politica monetaria della Federal Reserve, riducendone l’indipendenza. Ha criticato in passato le decisioni del presidente della Fed, Jerome Powell, e ritiene che il presidente degli Stati Uniti dovrebbe avere voce in capitolo sulle scelte della banca centrale, per esempio l’impostazione dei tassi di interesse.

Questa posizione minerebbe il tradizionale assetto indipendente della Fed, rischiando di destabilizzare la fiducia dei mercati finanziari e compromettendo l’efficacia dell’istituzione nel gestire la politica economica del paese.

Scarpinato, bufera sul caso. Dal Carroccio a Italia Viva: “Limite ormai superato”

di Edoardo Sirignano

Bisogna agire subito e fare in modo che gli 
ex togati, come nel caso del senatore M5S Scarpinato, 
non possano accedere a informazioni che riguardino 
il loro precedente lavoro,

in barba a qualsiasi considerazione su un possibile conflitto d’interesse. Posizione netta in tal senso è quella della Lega, il partito più dossierato.

«Il limite – dichiara il senatore del Carroccio Marco Dreosto – ormai è superato. Ex pm, ora politici, che chiedono di leggere atti che li riguardano? Se non fosse una cosa seria sembrerebbe uno scherzo. La questione non può passare inosservata ed è necessario fare chiarezza».

A tal proposito, i verdi insistono su una commissione ad hoc, in grado di andare oltre le competenze dell’Antimafia. «Non arretreremo – continua – nemmeno di un centimetro. Non è possibile vedere attori ostili di vario tipo, che lavorano per sovvertire la volontà popolare, contro gli interessi nazionali».

Giampiero Zinzi, deputato della Lega e membro dell’Antimafia, intanto, sulla vicenda Scarpinato, spiega come il movimento di cui fa parte «oltre a trattare la questione formalmente, avendo presentato una proposta di legge per evitare scandali di incompatibilità, chiede al pentastellato urgenti spiegazioni sulla sua particolare vicenda. Si tratta di un comportamento inopportuno.

Parliamo di fatti che lo riguardano direttamente e in cui non dovrebbe entrare nel merito, ma osservare da soggetto terzo. Fino a quando il testo, che abbiamo già depositato in entrambi i rami del Parlamento, non entrerà in vigore, non possiamo fare nulla. Bene il presidente Colosimo che gli ha negato di accedere alle intercettazioni che lo riguardavano». Sulle medesime posizioni della maggioranza, pur non avendo firmato il documento presentato da Lega, Fdi e Fi, pure i renziani.

«È paradossale – afferma la coordinatrice nazionale di Italia Viva Raffaella Paita – che Scarpinato, dopo aver chiesto la distruzione delle sue intercettazioni, ora provi a chiedere di avervi accesso. Abbiamo la conferma del doppiopesismo e del conflitto di interessi. Ho più volte chiesto che Scarpinato, ma lo stesso vale per Cafiero de Raho sulla vicenda Striano, chiarisca la sua posizione in Antimafia. La mia domanda è ancora senza risposta». Il senatore Roberto Scarpinato, nel frattempo, continua a insistere per leggere gli atti su se stesso e scrive addirittura al presidente dell’Antimafia Colosimo: «Nell’esprimere il mio stupore per avere dovuto apprendere dalla stampa un provvedimento che mi riguarda, chiedo la formale comunicazione di tale provvedimento che lede gravemente le mie prerogative di parlamentare e pregiudica la mia partecipazione ai lavori della commissione antimafia, ai fini di adire le vie istituzionali a difesa dei miei diritti».