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Cari provita, dite pure che l’aborto è “cattivo”. Ma non che “fa male” (ildubbio.news)

di Chiara Lalli

Lo scontro

Il rapporto sui costi e gli effetti dell’interruzione di gravidanza sulla salute? Falso è antiscientifico: l’IGV è sicuro

Embrioni alti come Napoleone, la contraccezione che è abortiva, i numeri dati a caso, il dolore inestinguibile di ogni aborto perché sei donna e quindi madre anche se non lo sei (ancora) e abortire è contro natura.

Sono un po’ sempre gli stessi i protagonisti della letteratura e della iconografia dei conservatori che sono così furbi che si sono fregati la parola “vita” (sono pro vita, appunto) costringendoci a spiegare che non siamo d’accordo ma no, non siamo contro la vita (cosa significa, poi, essere contro la vita?).

Ieri una costola pro vita ha presentato “Il terzo rapporto sui costi dell’aborto indotto e i suoi effetti sulla salute delle donne”. Si chiamano – anche loro un po’ napoleonicamente – Osservatorio permanente sull’aborto e di permanente mi pare abbiano solo l’ostinazione di non dirne una giusta.

Il rapporto ha però qualche guizzo geniale come il dominio dei criptoaborti, in cui vanno inclusi i contraccettivi d’emergenza che secondo loro sono abortivi e mi chiedo perché non la castità, l’asessualità e tutto il cucuzzaro.

Tra i fondatori dell’Opa ci sono quattro ginecologi tra cui Giuseppe Noia, che si avvicina al capolavoro chiedendoci ma lo sapete quanto avremmo risparmiato senza la legge 194? E io penso: e non sai quanto senza il cancro! E lo so che il paragone è impreciso e se volete faccio un elenco più serio.

Io penso anche che a certe persone non si dovrebbe rispondere: ai novax complottisti, a quelli che salgono sulla cassetta di frutta e cominciano a blaterare o a chi usa l’oroscopo per decidere se uscire oppure no. Però Noia sta al Gemelli e insegna e quello che dice non fa abbastanza ridere.

Nelle conclusioni di quel rapporto scrive che “tutti dicono l’aborto è un grande dramma” e non lo scegli mai davvero, che “l’embrione è medico della madre” e che tra loro due c’è un “dialogo nascosto, il cross-talk” (che pare una cosa BDSM ma comunque). Le cose più gravi non sono i tortuosi giudizi morali ma le pretese di scientificità.

«Rispetto all’aborto chirurgico quello farmacologico è 4 volte più rischioso e 10 volte più mortale e aggiunge solitudine a solitudine, accompagnata da eventi imprevisti e cifre importanti di complicazioni a breve e lungo termine». È falso. Insiste sui soldi che spendiamo per garantire un servizio medico – lo dimentichiamo spesso che l’aborto è un servizio medico e che più o meno tutti i servizi medici sono economicamente svantaggiosi. Quanto risparmieremmo se stessimo tutti sempre bene? O se smettessimo di curare le persone? Tantissimi soldi. Vogliamo provare?

Continuo a pensarlo che a certe persone non si dovrebbe rispondere. Ma mi piacerebbe che il Ministero della salute rispondesse almeno a un paio di questioni: la sicurezza dell’aborto, sia chirurgico sia farmacologico, e l’effetto contraccettivo e non abortivo della contraccezione (appunto) d’emergenza. Mi piacerebbe perché va bene condannare moralmente l’aborto ma barare un po’ meno.

Si può dire che l’aborto è brutto e cattivo perché equivale a un omicidio (secondo voi un po’ ossessionati) ma non si dovrebbe dire che ci fa venire il cancro, ci fa diventare sterili e pazze. Mi piacerebbe perché il Ministero non è Paolo Fox (lo so, quanto ottimismo oggi) e quindi sarebbe il caso che decidesse di credere all’Organizzazione mondiale della sanità e non a Noia o al primo che passa. L’aborto è sicuro, sicurissimo. Ostacolarlo no e dire bugie nemmeno.

Altre cose da ricordare: la relazione ministeriale di attuazione della legge 194 che dovrebbe essere pubblicata ogni anno chissà dov’è (l’ultima è del 2023 con i dati del 2021, chiusi in un pdf e aggregati per media regionale, utilissimi); i consultori che sono sempre meno e meno finanziati; l’aborto farmacologico che non è sempre davvero garantito e mille altri acciacchi.

Per ricordare tutte queste cose la deputata del M5S Gilda Sportiello ha ospitato una conferenza stampa, “L’aborto è un diritto, non un’opinione”, alla Camera dei deputati sempre due giorni fa. Non tanto o non solo come risposta al fantasioso rapporto dell’Opa ma nel lodevole sforzo di informare e per «rivendicare tutto quello che ci spetta». Eravamo in tanti (a parlare Angela Spinelli, Bianca Monteleone, Marte Manca, Leone Orvieto, Mirella Parachini, Marina Toschi, Gabriella Marando, Vaga Bee, Elisa Visconti, Tullia Todros), c’ero anche io.

Ricordo anche che Sportiello alcuni mesi fa ha fatto una cosa lunare: ha detto in aula di aver abortito, di aver scelto di abortire. Non ha abbassato la voce, non si è scusata. Ha detto di aver abortito e ha spiegato: lo dico qui perché vorrei che nessuna donna si sentisse attaccata. E poi una proposta per delle magliette: “Non concessioni ma diritti”.

Il manganello social della destra si abbatte sul giudice Gattuso (ilmanifesto.it)

di Mario Di Vito

Sotto a chi toga 

Il linciaggio dopo il rinvio in Europa del decreto sui paesi sicuri.

L’Anm prova a compattarsi: assemblea straordinaria a Bologna. Dopo i casi Apostolico, Albano e Patarnello continuano le violente offensive contro i giudici

Questa volta l’attacco è particolarmente feroce: Marco Gattuso, presidente della sezione immigrazione del tribunale di Bologna che tre giorni fa ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto sui paesi sicuri, è diventato il nuovo obiettivo della destra e del suo braccio armato mediatico.

Oltre al fatto di essere iscritto a Magistratura democratica e di aver partecipato a «incontri sul gender e sull’immigrazione», il peccato capitale di Gattuso è di essere da dieci anni, insieme al suo compagno, papà di un bambino nato grazie alla gestazione per altri.

Non solo, nel 2023, il giudice bolognese aveva tenuto una lezione alla Scuola superiore di magistratura proprio sui paesi sicuri. In quell’occasione aveva già fatto l’esempio finito anche nella sua sentenza, il paradosso della Germania di Hitler che si poteva considerare «paese sicuro» per la stragrande maggioranza dei suoi abitanti (in effetti tutti tranne ebrei, zingari, omosessuali e nemici politici).

«È un pregiudizio», dicono i suoi critici, ma non può certo essere colpa di un giurista se le leggi del governo fanno acqua da tutte le parti.

IL MODUS operandi del linciaggio, comunque, è sempre il solito, già visto un anno fa contro la giudice di Catania Iolanda Apostolico e in tempi più recenti contro i romani Silvia Albano e Marco Patarnello: si lancia il sasso e poi si nasconde la mano mentre sui social scoppia l’inferno, tra insulti, minacce, trivialità assortite e sospetti fondati sul nulla.

Le coordinate dell’assalto contro il giudice di Bologna le ha dettate per prima la premier Giorgia Meloni, quando mercoledì sera ha bollato la decisione del tribunale come «un volantino di propaganda». Il giorno dopo, sui giornali che fiancheggiano il governo, il dossier contro Gattuso è stato servito. Da lì si è scatenato il solito circo di diffamazioni e insulti. L’ultima volta, tanto per la cronaca, a Silvia Albano erano arrivate addirittura minacce di morte (denunciate in procura).

È così che il livello d’allarme è salito anche tra le toghe: lunedì, a Bologna, si terrà un’assemblea straordinaria dell’Associazione nazionale magistrati dell’Emilia Romagna alla quale parteciperà il presidente Giuseppe Santalucia e, con ogni probabilità, anche i vertici delle correnti progressiste. Non si esclude che nell’occasione si faranno vedere esponenti delle opposizioni. Del resto la guerra che il governo ha deciso di dichiarare alla magistratura si sta facendo via via sempre più dura e ormai è impossibile derubricarla al livello del canonico scontro tra le parti che riempie il dibattito pubblico da un trentennio.

Non è un caso che, dopo le mancate convalide del tribunale di Roma sui trattenimenti in Albania, dal Quirinale era trapelata grande preoccupazione, molto più che in passato: l’aria che tira, in effetti, sembra non avere precedenti. «La vita degli altri, vale a dire ogni manifestazione della sfera privata del cittadino, costituisce limite del diritto di informazione, perché connessa ai diritti fondamentali della persona», è il commento dell presidente del tribunale di Bologna Pasquale Riccardo in difesa di Gattuso.

«I MAGISTRATI della sezione protezione internazionale di Bologna sono stati aggrediti sulla stampa e contestati da alcuni politici solo per avere fatto il loro lavoro – dice invece il segretario di Area democratica per la giustizia Giovanni Zaccaro, che ha annunciato la sua presenza a Bologna per lunedì -. Si scandaglia la vita privata dei magistrati e se ne diffondono vicende intime che riguardano altre persone, anche minori.

C’è un limite oltre al quale la cronaca diventa linciaggio e la doverosa critica diventa dileggio. Spetta a tutti i cittadini e soprattutto a tutti i giuristi presidiare tale limite». Magistratura democratica, la corrente delle «toghe rosse» a cui appartiene Gattuso e contro la quale la destra si scaglia un giorno sì e l’altro pure, guarda alla questione interna e sollecita il Csm – in queste settimane concentrato esclusivamente sulla questione ordinamentale interna delle nomine degli uffici giudiziari – a intervenire.

«SI TRATTA di attacchi che esorbitano dal sacrosanto diritto di critica dei provvedimenti giudiziari – scrive l’esecutivo di Md in una nota -. Negli ultimi anni, troppe volte, a fronte di attacchi alla persona del magistrato, il Csm ha abdicato all’esercizio di questa alta responsabilità istituzionale: rinunciando a intervenire a tutela di un magistrato; tardando ad aprire la pratica a tutela; procrastinandone intollerabilmente la trattazione, e indugiando in calcoli e tatticismi che non sono all’altezza del mandato che la Costituzione gli affida». Da qui la richiesta che il consiglio «torni a esercitare, con le necessarie fermezza e serietà e, soprattutto, con l’indispensabile tempestività, gli interventi a tutela dell’indipendenza e del prestigio dei magistrati» altrimenti «il rischio è che della credibilità della funzione giudiziaria restino soltanto macerie».

Incremento Fondo sanitario. Meloni a Porta a Porta: “Sto a sbaglià tutti i conti”. Ecco perché il presidente del Consiglio ha ragione (quotidianosanita.it)

di Giovanni Rodriquez

Con uno stanziamento di 136,5 miliardi, nel 2025 
la spesa sanitaria sul Pil si dovrebbe intorno 
al 6,3%, al di sotto della media Ocse 
del 2022 (7%). 

Al netto del simpatico siparietto del presidente del Consiglio, calcolatrice alla mano e calcoli sbagliati, il dato fornito parla di un incremento di 391 euro di spesa pro capite tra il 2019 e il 2025.

Manca però il confronto col resto d’Europa. Anche non considerando gli incrementi degli altri Paesi, la spesa pro capite italiana si collocherebbe comunque sotto la media europea visto il gap di 873 dollari registrato dall’Ocse nel 2022

Per il 2025, grazie alla legge di Bilancio, ci saranno in tutto 136,5 miliardi per la sanità. A confermarlo nuovamente è il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ieri sera ospite di Porta a Porta su Rai Uno. Rispetto all’anno precedente, ricorda correttamente Meloni, ci sarà dunque un incremento del Fondo sanitario nazionale di circa 2,5 miliardi.

A questa cifra, ricordiamolo, si arriva sommando agli 1,3 miliardi stanziati dall’articolo 47 della manovra varata nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri, l’importo già previsto dalla precedente manovra. La spesa sanitaria sul Pil si dovrebbe così come confermare, come annunciato dallo stesso governo, intorno al 6,3%.

Se, come spiega Meloni calcolatrice alla mano, rispetto al 2019 ci sono oggi 22 miliardi in più sul Fondo sanitario nazionale rispetto ai 114,7 miliardi del 2019, resta invece pressoché invariata la spesa sanitaria sul Pil che, sempre nel 2019, si attestava al 6,4%.

Considerando l’incidenza sul Pil, in base ai dati Ocse, la spesa sanitaria pubblica italiana è stata nel 2022 (ultimo anno di rilevamento) pari al 6,8%, superiore a quella del Portogallo (6,7%) e della Grecia (5,1%), ma inferiore di ben 4,1 punti percentuali rispetto a quella tedesca (10,9%), di 3,5 punti rispetto a quella francese (10,3%), di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%), e inferiore di mezzo punto anche rispetto a quella spagnola (7,3%). L’Italia si collocava dunque al di sotto della media Ocse (7%).

Anche l’investimento relativo al 2025 di certo non è quindi l’importante investimento di rilancio del Ssn che si vuole far intendere. Il “record” di stanziamenti sbandierato dal Governo in questi giorni lascia il tempo che trova visto che negli ultimi quindici anni, tranne in due casi, tutti gli anni il Fondo sanitario è cresciuto segnando un nuovo “record” di stanziamenti rispetto all’anno precedente.

Il confronto di spesa 2019-2025 fatto da Meloni dovrebbe poi tenere conto di alcuni elementi chiave quali le spese sostenute per far fronte ad una pandemia globale, l’invecchiamento progressivo della popolazione con l’incremento della domanda di salute, gli accantonamenti per i rinnovi dei contratti del settore e, soprattutto, la crescita dell’inflazione che ha ridotto pesantemente il potere d’acquisto.

Passiamo poi al dato riguardante la spesa pubblica pro capite. Qui Meloni, sempre calcolatrice alla mano, ha provato a fare un calcolo confondendo i dati dei diversi anni: “Sto a sbaglià tutti i calcoli, dai. Ho fatto un casino!”. Al netto del simpatico siparietto, il dato fornito dal presidente del Consiglio parla di un incremento di 391 euro pro capite. Manca però il confronto col resto d’Europa. Facciamolo noi con i dati Ocse per contestualizzare questi dati.

La spesa sanitaria pubblica pro capite, a parità di potere d’acquisto, espressa in dollari statunitensi, l’unità di misura adottata dall’Ocse, in Italia nel 2019 era di 2629,24. Un dato ben inferiore rispetto ai 3479,87 del Regno Unito, ai 4314,28 della Francia e ai 5.389,89 della Germania.

Al 2022, ultimo rilevamento Ocse, la spesa sanitaria pro capite, a parità di potere d’acquisto, in Italia è stata di 3.255 dollari inferiore del 53% a quella della Germania (6.930), del 42% rispetto a quella della Francia (5.622) e del 27,3% rispetto al Regno Unito. Il gap della spesa sanitaria pubblica pro capite italiana, a parità di potere d’acquisto, era di 873 dollari nel 2022 rispetto alla media europea.

Pur tenendo conto degli incrementi di spesa attuati dal governo italiano, ed anche senza considerare quelli che riguardano gli altri Paesi europei, l’Italia continuerebbe comunque a confermasi ad un livello di spesa pro capite a parità di potere d’acquisto inferiore rispetto alla media europea.