Landini in imbarazzo sullo stipendio

Il leader balbetta in radio: "Adeguate le 
retribuzioni all'inflazione". Malumori 
dentro la Cgil

Maurizio Landini si infervora, un po’ «balbetta», e infine prova a «giustificare» il ritocchino allo stipendio da segretario generale della Cgil svelato ieri.

Il leader del sindacato interpellato sul tema nel corso della trasmissione Radio anch’io su Rai Radio 1 replica un po’ infastidito: «Abbiamo messo mano a tutti gli stipendi di chi lavora in Cgil, dopo anni che erano bloccati, per adeguarli all’inflazione. Non possiamo chiedere a tutti di adeguare gli stipendi e non farlo noi».

In effetti il ritocco allo stipendio è stato possibile grazie a un passaggio in assemblea generale della Cgil con una modifica alle condizioni contrattuali dei dipendenti Cgil. A beneficiare dell’aumento dello stipendio non è stato solo Landini ma tutti i vertici sindacali.

Per citare alcuni esempi: il segretario regionale Cgil (Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania) incassa ora a uno stipendio loro pari a 4.735 euro.

Parliamo delle regioni più grandi e con un maggior numero di iscritti. L’indennità scende a 3.700 euro lordi per le regioni piccole. Un segretario di categoria porta a casa 3100 euro lordi a patto che la federazione abbia più di 40mila iscritti.

Ma il numero uno della Cgil, sempre più testa d’Ariete della sinistra contro il governo Meloni, fa chiarezza anche su un altro passaggio: da dove arrivano i soldi per pagare lo stipendio a Landini e ai suoi? Ecco svelato: «I soldi del sindacato – sottolinea Landini – vengono dai lavoratori iscritti che versano ogni mese l’1% della propria busta paga e quando abbiamo finanziamenti pubblici è perché facciamo servizi che lo Stato riconosce. Le nostre buste paga e i nostri bilanci sono pubblicati».

Landini nell’intervento radiofonico ci tiene a precisare un punto: «Il mio aumento è pagato dagli iscritti, no dai fondi pubblici». Viva l’onestà! Però le buste paga di Landini hanno provocato malumori in Corso Italia. Pare infatti che gli aumenti non siano scattati per tutti. Tra i fedelissimi del segretario è scattata la caccia al «traditore». «Chi ha interesse a far uscire una notizia contro Landini?».

I fari sono puntati sulla minoranza interna. Intanto sui social impazza l’ironia contro Landini. Ricostruito l’aumento di stipendio, tra rinnovo del contratto ed eventuali scatti di anzianità, del numero uno della Cgil. Nel settembre del 2023, lo stipendio lordo riconosciuto al segretario generale della Cgil è stato pari a 7.359 euro. Parliamo di una cifra lorda, la retribuzione netta, finita in tasca di Landini a fine mese, è stata pari 3863.

Dopo un anno, e dunque prendendo in visione, la busta paga riferita al mese di settembre 2024 si nota il balzo: lo stipendio di Landini passa dai 7.359 euro lordi alla cifra di 7.616 (lordi). A fine mese il netto incassato da Landini è pari a 4.021. L’aumento è netto: 257 euro al mese in più sullo stipendio.

Marco Travaglio: sentenze di condanna in sede civile (wikipedia)

Nel 2000 è stato condannato in sede civile, dopo essere stato citato in giudizio da Cesare Previti a causa di un articolo in cui Travaglio aveva definito Previti «futur[o] client[e] di procure e tribunali» su L’Indipendente, Previti era effettivamente indagato ma a causa dell’impossibilità da parte dell’avvocato del giornale di presentare le prove in difesa di Travaglio in quanto il legale non era retribuito, il giornalista fu obbligato al risarcimento del danno quantificato in 79 milioni di lire.

Il 4 giugno 2004 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile a un totale di 85 000 euro (più 31 000 euro di spese processuali) per un errore contenuto nel libro La Repubblica delle banane scritto assieme a Peter Gomez e pubblicato nel 2001; in esso, a pagina 537, si attribuiva erroneamente all’allora neo-parlamentare di Forza Italia, Giuseppe Fallica, una condanna per false fatture che aveva invece colpito un omonimo funzionario di Publitalia. L’errore era poi stato trasposto anche su L’Espresso, il Venerdì di Repubblica e La Rinascita della Sinistra, per cui la condanna in solido, oltreché alla Editori Riuniti, è stata estesa anche al gruppo Editoriale L’Espresso. Nel 2009, dopo il ricorso in appello, la pena è stata ridotta a 15 000 euro.

Il 5 aprile 2005 è stato condannato dal Tribunale di Roma in sede civile, assieme all’allora direttore dell’Unità, Furio Colombo, al pagamento di 12 000 euro più 4 000 di spese processuali a Fedele Confalonieri (Mediaset) dopo averne associato il nome ad alcune indagini per ricettazione e riciclaggio, reati per i quali, invece, non era risultato inquisito.[64] Travaglio in un articolo dichiarerà che aveva scritto che “era coimputato con Berlusconi, ma usando un’espressione giudicata insufficiente a far capire che lo era per un reato diverso da quello contestato al Cavaliere”.

Il 20 febbraio 2008 il Tribunale di Torino in sede civile lo ha condannato a risarcire Fedele Confalonieri e Mediaset con 26 000 euro, a causa di una critica ritenuta «eccessiva» nell’articolo Piazzale Loreto? Magari pubblicato nella rubrica Uliwood Party su l’Unità il 16 luglio 2006

Il 21 ottobre 2009 è stato condannato in Cassazione (Terza sezione civile, sentenza 22190) al risarcimento di 5 000 euro nei confronti del giudice Filippo Verde che era stato definito «più volte inquisito e condannato» nel libro Il manuale del perfetto inquisito, affermazioni giudicate diffamatorie dalla Corte in quanto riferite «in maniera incompleta e sostanzialmente alterata» visto il «mancato riferimento alla sentenza di prescrizione o, comunque, la mancata puntualizzazione del carattere non definitivo della sentenza di condanna, suscitando nel lettore l’idea che la condanna fosse definitiva (se non addirittura l’idea di una pluralità di condanne)». Travaglio scriverà che “avevo scritto “più volte condannato” nel senso del primo e del secondo grado, mentre il giudice ha inteso due volte condannato in via definitiva”.

Il 18 giugno 2010 è stato condannato dal Tribunale di Torino – VII sezione civile – a risarcire 16 000 euro al Presidente del Senato Renato Schifani (che aveva chiesto un risarcimento di 1 750 000 euro) per diffamazione avendo evocato la metafora del lombrico e della muffa a Che tempo che fa il 10 maggio 2008. Il Tribunale ha invece ritenuto che le richieste di chiarimenti, da parte di Travaglio, circa i rapporti di Schifani con esponenti della mafia siciliana rientrino nel diritto di cronaca, nel diritto di critica e nel diritto di satira.

L’11 ottobre 2010 Travaglio è stato condannato in sede civile per diffamazione dal Tribunale di Marsala, per aver dato del “figlioccio di un boss” all’assessore regionale siciliano David Costa, arrestato con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e poi assolto in appello. Travaglio è stato condannato a pagare 15 000 euro. Dopo l’assoluzione in primo e secondo grado, nel 2013 Costa verrà condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere dalla Corte di Appello di Palermo per concorso in associazione mafiosa.

Il 23 gennaio 2018 è stato condannato per diffamazione dal Tribunale di Roma in merito ad un editoriale su Il Fatto Quotidiano contro tre magistrati siciliani, riguardo alla latitanza di Bernardo Provenzano; la provvisionale disposta ammonta a 150 000 euro.[100] Il 15 ottobre 2013 in un articolo intitolato “La cluster-sentenza”, Travaglio scrisse: “…nelle prime 845 (pagine) non parlano del reato contestato ai loro imputati: cioè la mancata cattura di Provenzano” e aggiunge: “Si avventurano invece nella storia delle stragi e delle trattative del 1992-’93, oggetto degli altri due processi”; la sentenza “non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti, e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”.

Travaglio è stato citato in giudizio per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi (il padre di Matteo Renzi), per due editoriali su Il Fatto Quotidiano riguardanti un processo penale per bancarotta che ha visto lo stesso imputato assolto con formula piena. Nel primo articolo, parlando dell’indagine in corso a Genova sulla azienda controllata dalla famiglia di Tiziano Renzi Chil Post, Travaglio aveva usato il termine “fa bancarotta”; nel secondo articolo Tiziano Renzi era stato accostato per “affarucci” a Valentino Mureddu, iscritto, secondo le cronache, alla P3. Il 22 ottobre 2018, il tribunale civile di Firenze lo ha condannato (in solido con la giornalista Gaia Scacciavillani e con la Società Editoriale Il Fatto) al pagamento di una somma di 95 000 euro a titolo di risarcimento per diffamazione.

Il 16 novembre 2018, in un procedimento (relativo alle parole pronunciate nel corso di un’ospitata nella trasmissione “Otto e mezzo”), Travaglio è stato condannato dal Tribunale di Firenze al pagamento di 50 000 euro per diffamazione nei confronti di Tiziano Renzi. Travaglio disse che “Il padre del capo del governo si mette in affari o s’interessa di affari che riguardano aziende controllate dal governo”. Travaglio dichiara nel suo editoriale su Il Fatto Quotidiano del 17 novembre 2018 che “Tiziano Renzi era ed è indagato dalla Procura di Roma per traffico d’influenze illecite con la Consip, società controllata dal governo, ai tempi in cui il premier era il figlio Matteo” e che “Tiziano Renzi si era messo in affari con un’altra società partecipata dal governo, Poste Italiane, ottenendo per la sua “Eventi 6” un lucroso appalto per distribuire le Pagine Gialle nel 2016”. Dichiara inoltre di non avere avuto notizia alcuna del processo in corso contro di lui, e di non essere stato quindi in grado di difendersi.