Perché l’america ci riguarda (corriere.it)

di Antonio Polito

Dimenticate la Liguria. Lasciate perdere l’Umbria. 

È in Wisconsin e in Pennsylvania che si deciderà il futuro della politica italiana.

Almeno: se vincerà Trump. Con un successo di Kamala la Casa Bianca sarebbe più o meno la stessa di adesso, in termini di rapporti con gli alleati. Ma se prevarrà il «change», allora bisogna chiederci che contraccolpo ne avremo.

T he Donald ha infatti annunciato due grandi cambiamenti, sulla guerra in Europa e sulla guerra commerciale con l’Europa, che ci riguardano da vicino.

Partiamo dal commercio: l’ex presidente avrebbe intenzione di alzare del 10% i dazi sulle merci in arrivo dall’Unione europea. Poiché gli Usa sono il secondo più grande mercato al mondo per il nostro export, subito dopo la Germania; e siccome è il nostro export che tiene in piedi il Paese, soprattutto ora che la crescita sembra essersi fermata, sarebbe un bel problema.

Guai anche dal capitolo Difesa. Sapete come si è espresso a febbraio Trump: «Se i Paesi Nato che non contribuiscono con almeno il 2% del Pil alle spese militari fossero attaccati dalla Russia, non li proteggerò, anzi incoraggerò i russi a fare cosa diavolo vogliono con loro».

Nella lista nera ci siamo anche noi. Nel caso non gradissimo l’idea di essere dati in pasto all’orso russo, dovremmo dunque passare da una spesa già esplosa a 32 miliardi per il 2025, fino a 37 miliardi o più. L’entourage trumpiano ha poi ipotizzato di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina se questa non accetta la resa dei territori già occupati da Putin.

Ammesso e non concesso che gli europei volessero invece continuare da soli a fornire armamenti a Kiev, dovrebbero perciò metterci altri 17 miliardi. Il costo aggiuntivo, tra spese per la Nato e spese per l’Ucraina, farebbe un conto da 80 miliardi per i Paesi della Ue.

Naturalmente non è detto che tutto questo accada. «Cattivissimo me» in campagna elettorale, Trump potrebbe mostrarsi più buono, o realista, una volta al potere. In ogni caso, il rapporto tra il governo più a destra del dopoguerra americano e il governo più a destra d’Europa (escluso Orbán), andrebbe incontro a un vero e proprio riallineamento storico.

Questa volta l’ideologia conterà meno. Steve Bannon, appena uscito di prigione dove ha scontato una pena per oltraggio al Congresso, stavolta non ha avuto il tempo di lavorare a quella Internazionale dei sovranisti europei che doveva avere proprio in Italia, in un monastero del Frusinate, la sua scuola-quadri di formazione politica.

E, d’altra parte, nel frattempo le destre europee non sono più bambine, sono cresciute e camminano con le loro gambe (primo partito in Italia e Francia, primo partito nella Germania dell’Est, forza emergente nel Centro Europa e nei Balcani).

Difficile dunque credere alla nascita di un movimento Maga (Make America Great Again) anche in Italia (dove peraltro suonerebbe Miga). Più dell’ideologia conterà la politica. E da questo punto di vista tutto fa presumere che una vittoria di Trump possa facilitare il cammino di Giorgia Meloni, oltretutto ritenuta più credibile di Salvini dalla destra americana e da più tempo in rapporto con i suoi think tank, come l’Heritage Foundation o il Cato Institute.

Potrebbe soprattutto esaltare l’abile gioco da mediatrice già sperimentato dalla nostra premier in Europa con Ursula (della serie «non ti voto ma sto dalla tua parte»), oppure nel tormentato rapporto con Orbán: l’estremismo di Trump la rilancerebbe anzi a Bruxelles, e a Berlino quando la Cdu tornerà al potere, come il volto umano della nuova destra globale.

Ma un ruolo di mediazione ha senso quando si confrontano due poteri forti. E non è detto che l’Unione europea lo resti, di fronte a una presidenza Trump. C’è infatti il rischio di una seria disarticolazione della costruzione europea, che lascerebbe i singoli Paesi più soli nel confronto con Washington. Facciamo il caso dei dazi: in un’Europa peraltro priva, e per chissà quanto tempo, di una forte leadership, la tentazione di correre da Trump in ordine sparso, ognuno con le sue richieste di eccezioni, l’Italia magari per parmigiano e meccanica, sarà irresistibile.

D’altra parte, Trump ce l’ha più con le auto tedesche che col vino italiano, e ha più volte dimostrato di preferire i rapporti bilaterali, nei quali tratta da posizioni di maggiore forza. Già una volta fece graziosamente uno sconto all’Italia, al tempo dell’amico «Giuseppi» (a proposito, Conte è un altro che trarrebbe vantaggi da una presidenza Trump, e infatti si è sempre rifiutato di dichiarare una preferenza per Kamala, come il Pd gli chiedeva).

Ma il potere negoziale e lo standing politico di una nuova Europa degli «opt out» ne uscirebbero gravemente indeboliti. E alla lunga l’Italia di Giorgia Meloni finirebbe col pesare molto meno al di fuori di un contesto europeo. Tanto più se fosse costretta, in ossequio a Trump, a un clamoroso dietrofront proprio sulla scelta che più le ha dato in questi due anni credibilità internazionale e rispetto: il sostegno all’Ucraina.

Il sovranismo non è un gioco a somma zero: se qualcuno ci guadagna qualcun’altro ci perde. Non si può dare perciò per scontato che a una destra più forte in America corrisponda anche più destra in Italia.

Ps: è interessante notare che le sorti della destra mondiale dipenderanno martedì in gran parte dal voto di quel concentrato di classe operaia che deciderà la partita nel cosiddetto «blue wall», la barriera di Stati un tempo a prevalenza di voto democratico e di «blue collar», l’equivalente americano delle nostre «tute blu». È una notevole nemesi storica, per chi la classe operaia l’aveva data per morta e sepolta, un relitto della storia.

(Will Oliver – Ansa)

Cosa è la profilazione razziale: così le forze dell’ordine prendono di mira Rom e originari dell’Africa (unita.it)

di Federico Oliveri

Il rapporto Ecri

La Commissione europea contro il razzismo si rammarica del fatto che negli ultimi anni poco o niente sia stato fatto per garantire una maggiore responsabilità nei casi di abusi razzisti commessi da agenti delle forze dell’ordine

La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri), istituita all’interno del Consiglio d’Europa, ha pubblicato il 22 ottobre il suo ultimo rapporto sull’Italia, frutto del sesto ciclo di monitoraggio su 23 paesi membri. Ne è seguito un acceso dibattito politico interno, focalizzato quasi esclusivamente sulle parti del rapporto dedicate ai casi di “profilazione razziale” attribuiti, secondo numerose testimonianze raccolte, alle forze dell’ordine che prenderebbero di mira soprattutto Rom e persone di origine africana.

Non si tratta, come pure si è affermato da parte del governo, di una generica accusa alle forze dell’ordine italiane di essere razziste, ma di una critica puntuale e circostanziata relativa alla pratica della profilazione razziale, proibita da norme nazionali, europee e internazionali.

Tale pratica consiste, in generale, nell’utilizzo di criteri razziali, etnici o nazionali per raccogliere informazioni e assumere decisioni relative a individui identificati, sulla base del loro aspetto esteriore o di altre caratteristiche, come appartenenti a determinati gruppi.

Nel caso specifico, si tratta di controlli e fermi di polizia basati unicamente sull’origine etnica delle persone. La profilazione razziale è vietata per varie ragioni etico-giuridiche. Tale pratica viola alcuni principi fondamentali degli ordinamenti democratico-costituzionali, come l’uguaglianza, la dignità personale e la non discriminazione.

Essa implica, infatti, una generalizzazione pregiudizievole nei confronti di un intero gruppo di persone, esposte più di altri a controlli o specifici trattamenti solo perché ritenute appartenere a quel gruppo, definito su base razziale, etnica o nazionale.

La profilazione razziale contribuisce a perpetuare stereotipi negativi su determinati gruppi etnici, rafforzandone l’esclusione e minando la loro fiducia nelle istituzioni. L’Ecri è un organo indipendente di monitoraggio in materia di diritti umani, istituito nel 2002 all’interno del Consiglio d’Europa, la prima e più importante organizzazione internazionale europea istituita dopo la Seconda guerra mondiale per difendere la democrazia, lo stato di diritto e i diritti di tutti/e coloro che vivono nei suoi stati membri, attualmente 46.

L’Ecri è specializzata in questioni relative alla lotta contro il razzismo, la discriminazione (che sia basata su “razza”, origine etnica, colore della pelle, cittadinanza, religione, lingua, orientamento sessuale e identità di genere), la xenofobia, l’antisemitismo e l’intolleranza.

I rapporti dell’Ecri non sono frutto di indagini o prove testimoniali. Si tratta di analisi basate su informazioni raccolte da un’ampia varietà di fonti. La visita in loco dei membri della Commissione fornisce l’occasione di incontrare direttamente le parti interessate, governative e non, al fine di raccogliere informazioni precise e aggiornate.

Prima di adottare un rapporto, l’Ecri si confronta con le autorità nazionali e consente loro, se lo ritengono necessario, di formulare commenti sulla bozza del rapporto, al fine di correggere eventuali errori fattuali. A conclusione di tale confronto, le autorità nazionali possono richiedere, qualora lo ritengano opportuno, che le loro osservazioni siano allegate al rapporto finale.

I rapporti relativi ai paesi inclusi nel sesto ciclo di monitoraggio si concentrano su tre temi: l’effettiva parità nella titolarità e nell’accesso ai diritti, i discorsi e i crimini d’odio, il grado di integrazione e inclusione delle comunità più a rischio. A questi tre temi si aggiungono tematiche proprie di ciascun paese.

Dall’adozione del quinto rapporto dell’Ecri sull’Italia, risalente al 18 marzo 2016, l’ultimo rapporto nota come siano stati fatti progressi e si siano sviluppate buone pratiche in vari ambiti.

Il rapporto nota, ad esempio, come siano “stati compiuti sforzi significativi per mettere in guardia i giovani dai pericoli dell’incitamento all’odio online, in particolare con campagne di sensibilizzazione e attività condotte dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni nelle scuole e in altri luoghi frequentati dai giovani”. E rileva come siano state “adottate diverse misure per aumentare la capacità degli agenti delle forze dell’ordine di contrastare i crimini dell’odio, tra cui una serie di corsi di formazione e pubblicazioni su questo tema”. A fronte di questi progressi, misurati rispetto alle raccomandazioni incluse nell’ultimo rapporto dedicato all’Italia, l’Ecri ha segnalato varie criticità su vari fronti, tra cui casi di “razzismo e intolleranza all’interno delle forze dell’ordine”.

Si riportano integralmente, qui di seguito, i paragrafi dal 91 al 95 del rapporto dedicati al tema, affinché si possa avviare sulle pratiche discriminatorie rilevate all’interno delle forze dell’ordine italiane un dibattito pacato e informato, a partire dai rilievi e dalle raccomandazioni avanzate dalla Commissione.

Durante la sua visita in Italia, la delegazione dell’Ecri è venuta a conoscenza di molte testimonianze sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine in particolare verso la comunità Rom e le persone di origine africana. Queste testimonianze di frequenti fermi e controlli basati sull’origine etnica sono confermate anche dai rapporti delle organizzazioni della società civile (tra cui Associazione studi generici immigrazione ed European roma right centre) e di altri organismi di monitoraggio internazionali specializzati.

Tuttavia, le autorità non raccolgono dati adeguatamente disaggregati sulle attività di fermo e di controllo della polizia, né sembrano essere consapevoli dell’entità del problema, e non considerano la profilazione razziale come una forma di potenziale razzismo istituzionale.

L’Ecri ritiene che le autorità debbano sottoporre le pratiche di fermo e di controllo/perquisizione della polizia ad un esame indipendente. Tale esame dovrebbe essere condotto con la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile pertinenti e dei rappresentanti dei gruppi potenzialmente esposti alle pratiche di profilazione razziale.

Tali esami dovrebbero essere utilizzati per sensibilizzare i funzionari delle forze dell’ordine sulle pratiche che possano potenzialmente condurre alla profilazione razziale con effetti nocivi sulla fiducia dei cittadini nella polizia nonché per identificare modelli indicativi di razzismo istituzionale all’interno delle forze dell’ordine, in particolare nei confronti dei Rom e delle persone di origine africana.

L’Ecri raccomanda, in via prioritaria, che le autorità commissionino prontamente uno studio completo e indipendente con l’obiettivo di individuare e affrontare qualsiasi pratica di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine che riguardi in particolare i Rom e le persone di origine africana, alla luce della Raccomandazione di Politica Generale dell’Ecri n. 11 sulla lotta al razzismo e alla discriminazione razziale nell’ambito delle attività di polizia e della Raccomandazione Generale n. 36 del Comitato delle Nazioni Unite sull’eliminazione della discriminazione razziale in materia di profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine.

Inoltre, osserva che la fiducia da parte dei gruppi di interesse è significativamente minata anche da una serie di accuse di cattiva condotta della polizia nei confronti di persone appartenenti a minoranze etniche.

Ad esempio, in uno studio condotto nel 2022 tra persone con esperienza di migrazione, in cui è stato chiesto agli intervistati in quale tipo di ufficio pubblico avessero subìto la maggior parte delle discriminazioni, i commissariati di polizia sono stati la risposta più comune (con il 45,8% degli intervistati che hanno subito discriminazioni) secondo un rapporto del 2023, curato da Asgi e dal Centro Studi Migrazioni nel Mediterraneo. I migranti hanno riferito, ad esempio, il rifiuto dell’accettazione delle loro richieste di asilo senza un motivo, di avere subito la distruzione dei loro documenti, di aver subito abusi verbali durante le procedure negli uffici immigrazione dei commissariati di polizia e, in alcuni casi, di aver subito violenze da parte degli agenti di polizia.

L’Ecri ha anche ricevuto segnalazioni di vari tipi di abusi da parte della polizia nei confronti dei Rom, compresi i bambini Rom, con insulti e violenze, anche durante le operazioni di polizia nei loro insediamenti. Uno dei casi più gravi ha riguardato un intervento di polizia che ha lasciato un uomo Rom in coma, in seguito al quale quattro agenti di polizia sono stati accusati di tortura, falsa testimonianza e tentato omicidio.

In questo contesto, l’Ecri si rammarica del fatto che negli ultimi anni poco o niente sia stato fatto per garantire una maggiore responsabilità nei casi di abusi razzisti o Lgtbi-fobici commessi da agenti della Polizia di Stato, Carabinieri e altri agenti delle forze dell’ordine.

L’Ecri invita le autorità ad istituire un gruppo di lavoro che coinvolga l’Unar, i funzionari pubblici dei servizi e delle istituzioni competenti, i pubblici ministeri ed i rappresentanti della società civile al fine di esaminare i modi e i mezzi per sviluppare meccanismi di responsabilità effettivi nei casi di abusi di polizia a sfondo razzista e Lgbti-fobici, anche attraverso l’istituzione di un organismo indipendente di supervisione della polizia.