Chi è Carlos Mazón: il Presidente della Generalitat di Valencia sotto accusa per la gestione dell’alluvione Dana (unita.it)

Spagna

Anche lui contestato, con lancio di fango e oggetti, nei luoghi della devastazione con il Re Felipe VI e il premier Pedro Sanchez

Per quanto anche gli avversari politici riconoscano quanto sia difficile, e in ogni caso mai abbastanza efficace, intervenire in una situazione del genere, è anche vero che sul banco degli imputati, almeno per quanto riguarda la gestione dell’emergenza che ha colpito Valencia con un’alluvione che ha causato morti, feriti e danni alle infrastrutture gravissimi, ci è finito lui, Carlos Mazón, il presidente della Generalitat Valenciana.

È stato accusato di aver perso molto tempo nel diffondere le allerte. Anche lui è stato preso di mira dal lancio di fango e oggetti dai residenti di Paiporta, uno dei centri più colpiti, come il Re Felipe VI e il premier Pedro Sanchez.

Classe 1974, nato ad Alicante, Mazón è laureato in giurisprudenza. Ha cominciato con la politica nel movimento giovanile Nuevas Generaciones e alla guida del sindacato studentesco Programma 10. Dopo gli incarichi da direttore dell’Istituto Valenciano della Gioventù a soli 25 anni e di Direttore generale del Commercio e del Consumo alla Generalitat, è stato consigliere nel municipio di Catral e vicepresidente in quello di Alicante.

Nel 2021 l’elezione come nuovo presidente del Partido Popular nella Comunitat Valenciana e nel 2023 Presidente della Generalitat Valenciana.

Chi è Carlos Mazón

È nato in una famiglia benestante. Il padre era un noto ematologo di Alicante, il nonno materno, Alfonso Guixot, era stato un uomo d’affari attivo nel cinema, nella corrida e nel calcio, anche da presidente dell’Hércules. Mazón è considerato un delfino politico di Eduardo Zaplana, ex Presidente della Generalitat, ex ministro e portavoce del Partido Popular al Congresso dei deputati. Mazón annunciò a sorpresa il suo ritiro dal mondo della politica nel 2009, durante la parentesi dalla politica partecipò anche ad Eurovision con il gruppo Marengo entrando tra i 39 candidati spagnoli a partecipare al Festival.

El País lo ha descritto come un presidente “incollato ai social network, condivide tutte le attività cui partecipa. Ma martedì, tra le due e mezza fino quasi alle dieci della notte, è rimasto in silenzio”. Pensava di poter gestire da solo l’emergenza più dura e mortale che ha colpito Valencia: alle offerte di aiuto dei vigili del fuoco di Bilbao e della Catalogna non ha risposto fino a venerdì. Non aveva usufruito dei forestali della Comunità valenciana. È passato da chiedere 500 militari a cinquemila nel giro di un’ora. “Non era cosciente della catastrofe”.

In un altro passaggio si legge: “Il Consiglio Provinciale di Alicante è stata la sua accademia e alla guida della Generalitat ha voluto mantenere il suo modo di gestire, battendo molte strade e supervisionando direttamente ogni movimento del Governo Valenciano nel quale ha posto coloro che gli sono sembrati più fedeli a lui, indipendentemente dal fatto che avessero o meno abilità e conoscenza nella responsabilità loro affidata”, continua in un articolo durissimo il principale quotidiano del paese.

Le critiche a Mazón

Sui social ha preso a circolare un video nel quale Mazón minimizzava l’impatto della Dana: mentre l’Agenzia meteorologica statale (Aemet) già aveva emanato un’allerta rossa, lui parlava di un’intensità che sarebbe calata su tutto il territorio intorno alle 18:00 pur invitando la popolazione a essere prudente negli spostamenti. Quel video pubblicato sui social in seguito è stato cancellato.

Altre accuse riguardano la diffusione dell’allerta tramite Es-Alert, un messaggio di allarme sugli smartphone delle persone, soltanto in serata. Soltanto dopo le 16:00 di martedì pomeriggio era stata convocata una riunione del Centro di Coordinativo Integrato, l’organo che gestisce il compito di gestire gli interventi di emergenza.

È stato anche accusato di aver anche apostrofato in termini minacciosi alle persone che volontariamente si dirigevano verso i centri più colpiti mentre gli aiuti ufficiali non arrivavano.

Le critiche a Mazón risalgono però a molto prima dell’arrivo delle forti piogge nel sud-est della Spagna: da quando pochi mesi dopo l’insediamento alla Comunitat, aveva chiuso l’Unità valenciana di emergenza, l’ente incaricato di fornire una risposta rapida e coordinata in caso di gravi eventi atmosferici e meteorologici come quello della settimana scorsa. Compromís ha chiesto al premier Pedro Sánchez di prendere il controllo della gestione dell’emergenza.

“Ciò che occorre fare in questo momento è alimentare le risorse in modo ordinato per lo schieramento sul terreno, adattandole cronologicamente alle esigenze. Ma soprattutto obbedendo alle esigenze richieste. Quando servono risorse, le risorse vengono fornite”, ha risposto il PSOE citato da El País.

Mazón si sta difendendo rispondendo tramite i social alle accuse che gli vengono mosse.

L’evasore immaginato (e quello reale) (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

«L’evasione fiscale si paga. Da oggi ancora più controlli e sempre meno evasori», promette uno spot del governo in onda in questi giorni. Si paga? Semmai, chi paga?

L’Osservatorio sulla spesa pubblica ha fornito cifre sconvolgenti: il 45% degli italiani non dichiara redditi o li dichiara nulli e vive a carico di altri. Su 42 milioni di dichiaranti, poi, 32 milioni pagano il 24% dell’Irpef, mentre i restanti 10 milioni, che guadagnano sopra i 35.000 euro (un azzardo definirli «ricchi»), si fanno carico del 76% rimanente. Sono loro che reggono il welfare per tutti.

La lotta eterna contro chi non paga le tasse. E sono sempre gli altri

Molti di coloro che non pagano le tasse si sentono «evasori di necessità, persuasi dalla lunga propaganda di chi, ieri all’opposizione e oggi al governo, dice che la pacchia è finita» (Ferruccio de Bortoli). Intanto l’evasione si aggira sui cento miliardi, nonostante il viceministro Maurizio Leo avesse promesso di stanare i reprobi tramite le storie su Instagram.

In realtà, lo spot del governo vuole essere rassicurante: dice che gli evasori non siamo noi, ma solo quei cafoni che con volgari catene al collo ordinano aragoste al ristorante. Fumo negli occhi: il vero evasore ha una fisionomia molto più sfuggente.

I fessi che pagano sono pochi ma quelli che votano sono tanti. Quale governo deciderà mai di mettersi contro i suoi elettori?

Il distretto sanitario dell’Idaho e i vaccini (butac.it)

di 

Su molti canali legati ai movimenti populisti e complottisti nei giorni scorsi è apparsa questa notizia, qui ripresa dai post pubblicati dal canale Telegram

Dentro la notizia:

MEGA SCOOP! Il distretto sanitario dell’Idaho sudoccidentale decide di fermare la somministrazione dei “vaccini” COVID-19! Il dott. David Wiseman (presente al dibattito assieme al dott. Peter McCullogh) afferma: “Momento storico”!

Quanto riportato è un classico caso di “non” notizia condivisa col titolone urlato MEGA SCOOP per dare a intendere diversamente. Abbiamo pensato di fare cosa utile nello spiegare i fatti meglio di quanto non facciano i tanti diffusori di disinformazione che affollano il web italiano. Siamo infatti di fronte a un classico caso di interpretazione fuorviante dei fatti.

Intanto partiamo col dire che il distretto sanitario dell’Idaho sudoccidentale è una zona che comprende circa 300mila abitanti, poco meno dell’1%permille della popolazione degli Stati Uniti d’America. È vero che il distretto sanitario ha deciso di interrompere l’offerta dei vaccini (anche se la votazione è decisamente stretta, su sette votanti tre volevano mantenere la somministrazione e quattro no – e curiosamente tra i tre a favore del mantenimento appare anche l’unico votante titolato a parlare della materia, cioè un medico).

Il voto è arrivato dopo un dibattito pubblico dove sono stati chiamati a testimoniare soggetti come appunto il cardiologo Peter McCulloughsoggetti che chiunque mastichi di disinformazione scientifica durante la pandemia ha imparato a riconoscere subito come disinformatori seriali.

Ma la notizia è fuorviante soprattutto perché non spiega che non è stata vietata o sconsigliata la vaccinazione, ma solo che nelle cliniche dell’Idaho sudoccidentale non verrà più offerta ai pazienti che la richiedano, i quali però potranno continuare ad acquistare il vaccino nelle tante farmacie locali o presso fornitori facilmente reperibili, compresi quelli della grande distribuzione, come ad esempio Walmart.

La decisione presa dal distretto sanitario dimostra come le pressioni di un piccolo gruppo con forti opinioni antiscientifiche possano influenzare una popolazione preoccupata portando alla modifica delle politiche sanitarie di un intero distretto. Per questo è profondamente sbagliato che di politiche sanitarie si occupino amministratori comunali e non medici e scienziati.

Qui potete leggere un ottimo articolo, pubblicato su Idaho Statesman, che spiega i fatti al meglio.

Perché Didier Raoult è stato sospeso dalla professione medica per due anni (open.online)

di Juanne Pili

FACT-CHECKING

Dopo la prima inchiesta e le accuse di aver “gonfiato” la produzione di studi, il guru dell’idrossiclorochina resta sospeso per due anni

Si aggrava la situazione del medico francese Didier Raoult, dopo una prima inchiesta in cui lo si accusava di aver messo in pericolo la salute dei pazienti positivi alla Covid-19, per usarli nei suoi esperimenti sull’idrossiclorochina, nonostante il farmaco si fosse già rivelato inefficace contro il nuovo Coronavirus. Forse anche per queste ragioni Raoult è presto diventato uno dei punti di riferimento della sfera No vax e dei movimenti delle cosiddette «cure alternative».

Così, Il 3 ottobre scorso una nuova sentenza d’Appello della Camera disciplinare nazionale francese, aggrava la situazione del medico. La sospensione di Raoult dalla professione medica si estende così a due anni, con decorrenza dal 1° febbraio. Il provvedimento è in linea con la decisione del consiglio nazionale dell’Ordine dei Medici.

La sanzione, più severa rispetto al primo grado, è stata emessa in risposta alla promozione infondata dell’idrossiclorochina come trattamento contro la Covid-19, secondo quanto riportato da Le Parisien citando a sua volta AFP.

I controversi studi del “guru” dell’idrossiclorochina

Vengono quindi confermate le accuse a carico del guru dell’idrossiclorochina, in merito alla violazione di diversi articoli del Codice di salute pubblica, promuovendo un trattamento senza supporto scientifico. Già nel dicembre 2021, Raoult era stato oggetto di una semplice ammonizione da parte della Camera disciplinare nazionale francese.

Sanzione che l’Ordine dei Medici aveva considerato troppo indulgente, decidendo così di presentare ricorso. In Appello si è così stabilito, che il professor Raoult non ha basato le sue posizioni pubbliche su dati confermati, non ha esercitato la dovuta cautela e ha promosso un trattamento con prove insufficienti.

Tuttavia, come nel giudizio di primo grado, la Camera ha rilevato che Raoult non ha sottoposto i suoi pazienti ad un «rischio ingiustificato», in parte perché le dosi prescritte di idrossiclorochina rispettavano quelle raccomandate, inoltre aveva escluso consapevolmente i pazienti con fattori di rischio elevati.

Secondo un comunicato stampa del settembre 2022 dell’Istituto Ospedaliero Universitario (IHU) di Marsiglia, si sarebbe trattato di «non conformi alle normative e possono generare un rischio per la salute dei pazienti, in particolare durante i protocolli di ricerca […] eccessi nelle pratiche di gestione, che possono generare molestie e disagio sul lavoro […] eccessi nella governance, che non rispetta rigorosamente le regole che disciplinano le fondazioni di cooperazione scientifica».

Una carriera sovradimensionata?

Come riportato in una precedente analisi di Enrico Bucci, adjunct professor alla Temple University e specialista nella revisione di studi scientifici, l’attività accademica di Didier Raoult, noto per la sua promozione dell’idrossiclorochina, appare estremamente sovradimensionata. Raoult risulta coautore di oltre 2.300 pubblicazioni, ottenendo un H-Index molto elevato, che però potrebbe essere fuorviante.

Facendo un rapido calcolo, tra il 1995 e il 2020, avrebbe firmato 1.836 articoli, con una media di uno ogni tre o quattro giorni lavorativi. Stando a quanto riportato dal New York Times, questo ritmo prolifico di pubblicazione è dovuto al fatto che Raoult tendeva a includere il proprio nome in quasi tutte le ricerche prodotte dall’istituto da lui diretto.

Non si è trattato certo dell’unico esperto a scovare irregolarità nelle pubblicazioni co-firmate da Raoult.