Scontri tra tifosi ad Amsterdam o “pogrom organizzato”? (butac.it)

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Scommettiamo che ad ascoltare solo una delle due 
parti la risposta sembra semplice. 

Ed è il motivo per cui riportare acriticamente solo la versione di una delle due parti molto spesso è sbagliato…

Ad Amsterdam la settimana scorsa sono avvenuti scontri che hanno portato a numerosi feriti e svariati arresti. In Italia, e su tante testate internazionali, la notizia è passata come un attacco mirato contro i tifosi ebrei del Maccabi, o in generale contro gli ebrei, riportando addirittura la definizione di “pogrom” o il paragone con la notte dei Cristalli data da Netanyahu.

Noi riteniamo vada fatta un po’ di chiarezza sui fatti, anche per non mancare di rispetto alla memoria di quelli che sono stati perseguitati proprio a causa della loro appartenenza religiosa. E lo facciamo come sempre andando a cercare le notizie alla fonte, che in questo caso sono i quotidiani olandesi, unici sul posto ad aver documentato quanto avvenuto.

La prima cosa che sottolineiamo è che BUTAC non ha una posizione a favore o contro qualcuno, come sempre cerchiamo di stare dalla parte della corretta informazione, anche quando non è così facile.

Il prepartita

Partiamo con un articolo del 7 novembre pubblicato sul sito dell’emittente olandese PowNed, articolo uscito prima che la partita di calcio tra Maccabi Tel Aviv e Ajax si giocasse, e dunque che gli scontri post partita – quelli a cui quasi tutti fanno riferimento – avvenissero. Articolo che titola:

I tifosi del Maccabi Tel Aviv strappano le bandiere della Palestina dalle case nel 020 (codice del distretto di Amsterdam ndmaicolengel), scontro con i tassisti

Ma come? Non erano i tifosi del Maccabi ad aver subito attacchi? A quanto pare prima degli attacchi avvenuti nel post partita erano successe altre cose, che quasi nessuna testata italiana ha riportato. Vi incollo alcune parti dell’articolo di PowNed:

Stasera l’Ajax gioca in Europa League contro i suoi amici israeliani del Maccabi Tel Aviv e penseresti: è una bella chiacchierata tra due club con radici ebraiche, ma ovviamente c’è gente (gente di sinistra) ad Amsterdam che guarda la cosa molto diversamente. In tutta la città hanno appeso volantini contro il club israeliano e dove c’erano i tifosi del Maccabi in città sono apparse bandiere palestinesi ovunque. I tifosi del Maccabi hanno reagito contro questo. 

Ad esempio, una bandiera palestinese è stata rimossa dalla facciata di un edificio a Rokin, al grido di Vaffanculo Palestina.

Si dice che sia stata data alle fiamme anche una bandiera. Inoltre, ci sarebbe stato uno scontro tra tifosi del Maccabi e tassisti a Max Euweplein. I sostenitori israeliani sarebbero poi fuggiti all’Holland Casino. Anche l’auto di un tassista sarebbe stata colpita con una cintura.

E ancora:

Ad Amsterdam prima della partita alcuni gruppi erano pronti protestare contro gli israeliani, ma le proteste sono state vietate dalla sindaca della città, Femke Halsema, dopo che su Telegram erano circolati post molto violenti. Pertanto mentre i tifosi del Maccabi nel prepartita sono stati lasciati liberi di muoversi e comportarsi come descritto da PowNed – e mostrato in tantissimi video presenti su svariate piattaforme – ai loro antagonisti è stato vietato farlo.

Sostenere che si sia trattato di una “caccia all’ebreo” o arrivare a usare termini come “pogrom organizzato” è a nostro avviso terribilmente sbagliato. Ci sono stati scontri, che non hanno avuto nulla a che fare con i tifosi della partita, scontri tra sostenitori della Palestina e sostenitori di Israele, scontri che forse non era difficile prevedere visto appunto le premesse del prepartita. Come spiegato dal New York Times:

Amsterdam, patria di migliaia di immigrati provenienti da paesi islamici, ha visto regolarmente marce e dimostrazioni pro-palestinesi negli ultimi 15 mesi e ospitare una squadra israeliana in una partita di alto profilo era stato considerato un evento ad alto rischio dalle autorità locali.

La presenza di circa 1.000 tifosi in trasferta non ha fatto molto per placare un’atmosfera tesa e sui social media sono stati ampiamente condivisi video che sembravano mostrare sostenitori del Maccabi che cantavano slogan anti-arabi. Il Maccabi ha anche una storia problematica con una parte dei suoi sostenitori, con il loro gruppo ultras che è stato precedentemente accusato di usare un linguaggio razzista.

Concludendo

Questo non giustifica la violenza, ma speriamo che sia chiaro che le colpe non sono solo da un lato della barricata. BUTAC, come sa chi ci legge con regolarità, da sempre cerca di stare con la corretta informazione, anche quando è complesso farlo.

Ci auguriamo, coi link qui sopra, di avervi dato materiale su cui riflettere, ricordandovi nuovamente che su certi argomenti non è sempre una questione di bianco o nero, ma spesso di sfumature di grigio.

Landini ha sbagliato libro (italiaoggi.it)

di Michele Magno

Apprezzerebbe un autore che ha l'opposto 
delle sue idee

Forse affidandosi al solo titolo, vuol regalare a Meloni «L’uomo in rivolta» di Camus

Caro direttore, mentre si stanno ancora versando (giustamente) fiumi di inchiostro sulla vittoria di Donald Trump, mi consenta di spendere poche parole su un piccolo fatto, che tuttavia in qualche misura denota la modestia del dibattito pubblico nel nostro paese.

Durante lo sciopero dei trasporti di venerdì scorso (il venerdì è d’obbligo per garantire un weekend lungo), Maurizio Landini ha ribadito che ci vuole «una rivolta sociale perché è in discussione la libertà di esistere delle persone» . Il segretario generale della Cgil, inoltre, ha annunciato che avrebbe regalato a Giorgia Meloni «L’uomo in rivolta» di Albert Camus.

Ora, lasciamo stare il linguaggio protogruppettaro, che mal si addice al capo di un sindacato che è diventato una grande, responsabile e democratica organizzazione grazie a leader come Giuseppe Di Vittorio, Luciano Lama e Bruno Trentin. Andiamo, invece, al merito delle sue dichiarazioni.

Non so se Landini sia «pronto a occupare le fabbriche», come diceva circa dieci anni fa quando era segretario della Fiom i metalmeccanici della Cgil. Né ha chiarito se è pronto a occupare anche le Camere, Palazzo Chigi, i ministeri, Confindustria, la Rai, le scuole. So però, ma forse lui non se n’è accorto, che in realtà una sorta di «rivolta sociale» in Italia è in corso già da tempo.

È cominciata nel 2020 con il blocco dei licenziamenti imposto a un accondiscendente presidente del consiglio (Giuseppe Conte). La sua abolizione, qualcuno forse lo ricorda, fu duramente avversata dalla Cgil e dalla Uil agitando lo spettro di uno tsunami di licenziamenti. Solo che gli impieghi stabili da allora sono aumentati e quelli precari sono diminuiti (dati Istat, Bankitalia e Inps).

Quella rivolta è poi proseguita con una raffica di scioperi nei servizi pubblici e di scioperi generali, che hanno preso in ostaggio gli utenti e che spesso hanno riempito le piazze, ma non hanno svuotato i luoghi di lavoro. Non basta. Nel costosissimo elenco di rivendicazioni, illustrato dalla Cgil nell’audizione parlamentare sulla legge di Bilancio, compare nuovamente il blocco dei licenziamenti. Richiesta che all’epoca della pandemia poteva avere un senso, ma che nel tempo presente è palesemente strampalata.

Vengo al secondo e ultimo punto. Chiuque conosca anche solo superficialmente la letteratura sul dono, non può ignorare il suo significato ambivalente. Il termine «gift» vuol dire infatti dono in inglese, ma veleno in tedesco. Fiabe e miti sono pieni di doni avvelenati, che portano, se non proprio alla rovina, sfortuna a chi li riceve.

Basta ricordare il cavallo di Troia, il vaso di Pandora, il pomo di Adamo, il bacio di Giuda, la mela di Paride e quella della strega di Biancaneve. Forse il libro di Camus promesso alla premier da Landini non è un dono avvelenato, ma, nonostante lo sfoggio di cultura apprezzabile, non ci azzecca niente con la sua idea di rivolta sociale.

Pubblicato nel 1951, L’homme révolté creò una spaccatura insanabile nell’avanguardia intellettuale francese che si proclamava «engagée» impegnata. Il suo esponente più brillante e autorevole, Jean-Paul Sartre, guardava con interesse all’esperimento sovietico e predicava, nei confronti del partito comunista francese, una sorta di «compagnonnage critique».

Una scelta delicata di fronte ai rigori dello stalinismo, ai suoi processi politici e alle sue «purghe» nei campi di concentramento. Ma che l’autore de L’étranger se ne servisse per concludere che la rivoluzione, proprio perché autorizzava quelle misure, si autodistrugge fino a ridursi a ignobile crimine e a follia omicida, Sartre non riusciva a mandarlo giù. Di qui la rottura clamorosa e (verbalmente) violenta col suo vecchio amico e compagno di lotta.

Caro direttore, a differenza di altri opinionisti non mi interessa conoscere qual è il progetto politico di Landini (se ne ha uno). Se ambisce o meno, a colpi di scioperi, referendum (dal Jobs Act all’autonomia differenziata) e slogan a effetto, a diventare un «punto di riferimento fortissimo delle forze progressiste».

Ne abbiamo già avuto uno, impalmato dal Pd, e abbiamo visto che fine ha fatto. Mi interessa piuttosto che il sindacato maggioritario italiano, nel quale ho trascorso buona parte della mia vita, riconquisti la sua tradizionale saggezza e capacità di proposta, e un ruolo da protagonista nell’era dell’intelligenza artificiale. E presumo di non essere l’unico.