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Volodymyr salvatore di bambini: forse un altro caso Schindler, forse una leggenda di guerra (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

Nello Scavo di Avvenire aveva orecchiato racconti su bambini salvati dal rapimento degli occupanti russi nella fatale città di Kherson.

Il protagonista era Volodymyr Sahaidak, direttore di una comunità per minori. “Il salvatore di bambini. Una storia ucraina” è in libreria

“Il salvatore di bambini. Una storia ucraina”. Si chiama Volodymyr Sahaidak (pronuncia: Volodýmyr Sagaidàk) e in questi giorni era in Italia, insieme a Nello Scavo, che ha raccontato la storia sua e dei suoi bambini (per Feltrinelli, pp. 143, 16 euro).

Non era stato facile scovarlo, ed estrarlo dalla sua avventura. Scavo è uno che nel mondo delle disgrazie gira con le orecchie dritte, e aveva orecchiato pezzi di racconti su bambini salvati dal rapimento degli occupanti russi nella fatale città di Kherson.

Kherson era stata l’unico capoluogo di oblast’ “conquistato” dall’invasione russa del febbraio 2022, senza colpo ferire, solo grazie al tradimento di un sindaco fellone. La città delle vacanze di angurie e di deserti di sabbia alla foce del gran Dnipro, restituita all’Ucraina dalla controffensiva dell’autunno 2022 nella sua metà storica di qua dal fiume, e da allora “punita” con i bombardamenti quotidiani di un nemico frustrato.

Scavo sentiva di quei bambini e del loro responsabile, annotava, chiedeva, forse era, in piccolo, un altro caso Schindler, forse solo una leggenda di guerra. Una volta si diceva che i russi mangiavano i bambini, ora che li rubavano… C’era un canale Telegram che dava notizie anonime e puntuali sulle sparizioni di Kherson.

Bisognava trovare un contatto. Il suo stringer locale, Slava – molto di più, autista, custode, virgilio, amico – fece valere la sua reputazione di inviato nelle guerre, nelle torture dei migranti, nelle sopraffazioni di mafia, e il giudizio intransigente sull’invasione, la serietà del suo giornale e dei programmi televisivi cui collabora.

Si guadagnò la fiducia, e anche la provvidenza ci mise del suo, quando un fotografo di Kherson, che aveva rischiato cento volte la vita per documentare i delitti e le malvagità dell’occupazione riuscì a riparare a Zaporizhia e poi a Odessa, in maglietta calzoncini e sandali e nient’altro, macchine fotografiche comprese, ma dopo aver messo al sicuro le foto.

Intanto Volodymyr aveva lasciato la sua casa per trasferirsi giorno e notte nella comunità per minori di cui era direttore, ed escogitava i modi per impedire o ritardare la deportazione dei suoi protetti. Istigava una trama di donatori segreti di cibo e medicine. Inventava parentele e pratiche di adozioni per chi non aveva più nessuno al mondo. Faceva, letteralmente, carte false: nomi falsi, grafie false, timbri falsi, malattie immaginarie vidimate da medici veri, lingue imparaticce, per poterli contrabbandare nei villaggi e consegnare ai custodi internazionali dei corridoi di uscita.

Nascondeva, appena prima che gli squadristi occupanti li scoprissero, i filmati interni delle loro malefatte. Era a gara col tempo, l’intervallo che lo separava dalla “telefonata di Putin”, quella che avrebbe avviato anche lui alla camera di tortura e alla fossa comune. Fronteggiava fieramente i teppisti che irrompevano nella comunità contando sulla loro ubriaca soggezione all’autorità, all’Apparàt.

Alla fine, il suo daffare vale la salvezza di tutti i 52 ragazzi che gli erano affidati, e di altri 15 orfani che gli hanno parcheggiato nel centro, e la sua furtiva documentazione – e gli stessi servizi di Scavo per l’Avvenire – entrano nell’inchiesta dell’Aja, quella ancora persuasa che i bambini non sono bottino di guerra, e che fa di Putin un ricercato internazionale.

Dove ancora ci siano persone capaci di tenere in considerazione il diritto. L’umanità, cioè.

(Nello Scavo e Volodymyr Sahaidak a “Il cavallo e la torre” su Rai 3)

Femministe contro Cua: “Violenze su una compagna” (ilrestodelcarlino.it)

La denuncia della ’Rete sotterranea’. 

Il collettivo: “Non sappiamo di cosa si parli”

“Cua, Collettivo universitario abusers”, poi “Cua covo di abusers”. Sono alcune delle scritte comparse nella notte in zona universitaria. E Rete Sotterranea Transfemminista (REst), spazio virtuale nato per denunciare i casi di violenza di genere “avvenuti all’interno dei movimenti e degli spazi politici che dichiarano di agire dal basso in più città d’Italia”, ieri, nella giornata dedicata al drammatico fenomeno della violenza sulle donne, ha voluto puntare il dito contro presunti abusi che sarebbero avvenuti da parte di membri (maschili) del noto collettivo bolognese.

“Dopo l’ennesima denuncia – scrivono da Rest – da parte di una compagna che ha subito violenza di genere da parte di un uomo del Cua (collettivo universitario autonomo) è arrivato il momento di rompere il muro di omertà su chi da anni è artefice o complice della violenza agita da parte di ’compagni’ all’interno dei collettivi di Bologna. Con questa azione facciamo esplicitamente riferimento al Cua”. La Rete si scaglia poi con forza contro la “retorica ipocrita (del collettivo, ndr), che si fa vanto di portare avanti la lotta transfemminista, appropriandosene, proprio come fanno le istituzioni, ma che non fa nulla per dare concretezza a un lavoro di reale decostruzione e di indagine sul perché, da troppo tempo ormai, ci siano così tanti casi di violenza all’interno dei suoi spazi”.

In ogni caso, si prosegue da Rest, “non possiamo più tacere di fronte all’ennesimo caso di violenza subita e rimasta taciuta dentro al Cua, che non tarderà a presentarsi nelle piazze in cui si denuncia la violenza che donne, trans* e soggettività queer subiscono quotidianamente. Una pantomima grottesca che vogliamo venga smascherata e riconosciuta. Per non abbassare la testa di fronte agli stupratori, per dire che sì, chi violenta abita in primis i nostri spazi”.

A quanto si apprende però nessuna denuncia alle forze dell’ordine sarebbe stata presentata su tali fatti.

Dal canto suo, Cua risponde sui social: “Non sappiamo di cosa si stia parlando. Vogliamo saperlo. In questi anni abbiamo affrontato con difficoltà e desiderio di trasformazione le contraddizioni e la violenza del mondo in cui viviamo. Quale stupro abbiamo taciuto, quale compagna cacciata e quale uomo staremmo proteggendo? A noi non risulta, ma vogliamo agire. Siamo amareggiati e spiazzati. È terribile anche solo l’idea, ma se si trattasse di falsità la gravità sarebbe inaudita perché ci spaventa che una pratica fondamentale come la denuncia venga esposta al rischio di essere screditata”.

Femministe contro Cua: "Violenze su una compagna" (Una delle scritte citate da ’REst’)