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Anche con la sesta rata l’Italia non è prima nell’attuazione del PNRR (pagellapolitica.it)

di Carlo Canepa

PNRR

Il primato rivendicato da Giorgia Meloni non tiene conto del fatto che i piani nazionali di ripresa degli Stati Ue sono molto diversi tra loro

Il 26 novembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha espresso «grande soddisfazione» per la valutazione positiva che la Commissione europea ha dato alla richiesta dell’Italia di ricevere la sesta rata del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). «L’Italia si conferma al primo posto in Europa», ha dichiarato Meloni in una nota. «Ringrazio il ministro Raffaele Fitto per il grande lavoro svolto in questi anni nell’attuazione del PNRR, che ha consentito all’Italia di essere la prima nazione in Europa per numero di obiettivi raggiunti, per risorse complessive ricevute e per richieste di pagamento formalizzate».

Il primato rivendicato da Meloni è confermato dai numeri oppure no? Abbiamo analizzato che cosa dicono i dati più aggiornati raccolti dalla Commissione europea: le classifiche cambiano, e di conseguenza anche la posizione dell’Italia, a seconda dei vari indicatori considerati.

I soldi ricevuti

Partiamo dalle «risorse complessive ricevute» finora dall’Italia per il suo PNRR.

Il 26 novembre la Commissione europea ha annunciato la sua valutazione “preliminare” positiva sull’erogazione della sesta rata del PNRR italiano, rata che vale 8,7 miliardi di euro. In concreto, i soldi della sesta rata non sono ancora stati erogati all’Italia: ora il Comitato economico e finanziario, un organo consultivo dell’Unione europea, avrà un mese di tempo per esprimersi e dare il suo via libero definitivo all’erogazione della rata, che – salvo sorprese – sarà una formalità.

Considerando come fatto l’incasso dei soldi della sesta rata, le risorse erogate finora dall’Ue all’Italia per il suo PNRR salgono a 122,2 miliardi di euro. In valori assoluti, questa cifra è la più alta tra quelle erogate ai 27 Paesi europei, davanti a Spagna (48,3 miliardi) e Francia (30,9 miliardi).

Nel fare questo confronto, però, bisogna tenere a mente che ogni piano nazionale di ripresa ha un valore diverso, e che il PNRR italiano ha il valore più alto di tutti, pari a 194,4 miliardi di euro. Grecia, Croazia e Spagna hanno però un piano nazionale di ripresa più “ricco” di quello dell’Italia, se si considera il loro valore in rapporto al Prodotto interno lordo (PIL) nazionale.
Dunque, per fare un confronto più completo bisogna rapportare il valore dei soldi ricevuti dall’Ue con il valore complessivo dei singoli piani. Così, dando sempre per certo l’incasso della sesta rata, l’Italia ha ricevuto il 62,9 per cento delle risorse totali del PNRR. Questa percentuale non è la più alta, ma la terza, dietro a quelle di Francia e Germania.
Una volta incassati, i soldi dei piani nazionali di ripresa devono anche essere spesi. Qui le cose per l’Italia non stanno andando benissimo, anzi. Secondo i dati più aggiornati raccolti dall’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), la spesa delle risorse del PNRR italiano continua a essere in ritardo: all’inizio di ottobre risultavano spesi circa 53 miliardi di euro, una cifra pari a poco meno della metà dei soldi ricevuti fino a quel momento dall’Ue.
I soldi spesi nei primi nove mesi del 2024 ammontavano a circa 9 miliardi di euro, a fronte di una spesa annuale programmata di 44 miliardi. Non è possibile fare una classifica sull’avanzamento della spesa dei piani nazionali nei singoli Stati membri, dato che non ci sono dati pubblicamente disponibili raccolti dalla Commissione europea.

Le rate incassate

Vediamo adesso come è messo il nostro Paese per «richieste di pagamento formalizzate» e di rate ricevute.

Nessuno Stato Ue, fatta eccezione per l’Italia, ha ricevuto fino a oggi sei rate del proprio piano nazionale di ripresa. Dietro all’Italia seguono Croazia e Portogallo, con cinque rate a testa (il Portogallo ha ricevuto la valutazione positiva sull’erogazione della quinta rata il 26 novembre).

In totale, le rate con cui saranno erogati tutti i soldi del PNRR italiano sono dieci. Ma come abbiamo visto sopra per il valore dei piani, non tutti i Paesi hanno concordato l’erogazione dei soldi in dieci rate. Secondo le nostre verifiche, altri cinque Stati membri hanno concordato l’erogazione dei fondi dei loro Pnrr in dieci rate:

hanno concordato invece nove rate; BelgioRomania Lituania otto; SloveniaRepubblica CecaEstonia Ungheria
sette; FinlandiaLettoniaMalta Austria 

e la Svezia quattro.

Dunque, l’Italia ha ricevuto il 60 per cento delle rate concordate del PNRR, la stessa percentuale di Francia e Germania (quest’ultima, il 26 novembre, ha ricevuto il via libera della Commissione europea sull’erogazione della sua seconda e terza rata).

Gli obiettivi raggiunti

Veniamo infine al «numero di obiettivi raggiunti», che secondo Meloni dimostrerebbe il primato italiano nell’attuazione dei PNRR nell’Ue.

Per fare richiesta all’Ue di incassare una rata del proprio piano nazionale di ripresa, ogni Stato membro deve raggiungere un certo numero di traguardi (milestone) e obiettivi (target). I traguardi fanno riferimento al raggiungimento di risultati qualitativi (per esempio l’approvazione di riforme o singoli provvedimenti normativi), mentre gli obiettivi a risultati quantitativi (per esempio l’assunzione di un determinato numero di personale in un settore specifico).

Considerando i 23 traguardi e 16 obiettivi raggiunti per chiedere la sesta rata, fino a oggi l’Italia ha raggiunto complessivamente 271 tra traguardi e obiettivi. Anche qui vale il discorso fatto prima: in valore assoluto, questo è il numero più alto di traguardi e obiettivi raggiunti da uno Stato membro.

Ma l’Italia ha concordato con l’Ue il numero di traguardi e obiettivi più alto di tutti: 618 in totale. Se si rapporta il numero di quelli raggiunti con quest’ultimo, si scopre che fino a oggi è stato portato a termine il 44 per cento del PNRR. Tre Paesi hanno percentuali di attuazione più alte: Francia, Germania e Danimarca.

Tiriamo le somme

Tra gli Stati Ue l’Italia è prima nell’attuazione del suo PNRR se si considerano gli obiettivi e i traguardi raggiunti, i soldi ricevuti e il numero di rate erogate, ma solo in valore assoluto. Ogni Stato ha concordato con l’Ue un numero diverso di rate, traguardi e obiettivi, e soldi da ricevere.
L’Italia è quarta per traguardi e obiettivi raggiunti, in percentuale sul totale; è prima per rate ricevute sul totale di quelle concordate, insieme a Francia e Germania; ed è terza per soldi ricevuti, dietro proprio a questi due Paesi.

In cella anziché in comunità: un altro ragazzo muore suicida in carcere (ildubbio.news)

di Francesco Insardà

Cagliari

Il numero di detenuti che si sono tolti la vita in cella sale a 82 dall’inizio dell’anno. Appello della Garante sarda al guardasigilli, che insiste: «Nuovi percorsi di comunità per detenuti con disagi psichici o tossicodipendenti»

Ha donato tutti i suoi organi, dimostrando di avere una umanità che gli è stata negata dallo Stato e dal sistema penitenziario. È stato l’estremo gesto di G. O., un ragazzo di 27 anni, che si era impiccato nella sua cella a Cagliari la settimana scorsa, morto questa notte in ospedale. Era un tossicodipendente in attesa di andare in comunità, segnalato dai genitori e costretto in una cella nella quale non doveva stare.

Parliamo della Casa Circondariale “Ettore Scalas” che, dice Maria Grazia Caligaris presidente dell’associazione Socialismo Diritti Riforme, «registra la presenza di 765 detenuti (32 donne) a fronte di 550 posti disponibili e una forte carenza di agenti penitenziari e operatori». La morte di G. O. fa salire a 82 il numero dei detenuti che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno, ai quali bisogna aggiungere i 7 agenti della penitenziaria.

Irene Testa, garante delle persone private della libertà personale della Sardegna e tesoriere del Partito Radicale, non si dà pace. Conosceva bene quel ragazzo e ha scritto una lettera al ministro della Giustizia Nordio per esprimere tutto il suo disappunto.

«Da giorni penso e ripenso a quella visita, a cosa avrei potuto fare. Lo avevo incontrato due giorni prima che compisse il gesto disperato. Aveva catturato la mia attenzione perché a differenza di altri non chiedeva niente. Quando si entra nelle sezioni le richieste d’aiuto sono interminabili e si levano disperate da tutte le celle come fossero gironi infernali.

Ma lui no, non aveva chiesto niente. Era seduto pensieroso davanti alla finestra della sua cella. Gli ho domandato se stava bene. Sembrava spaesato, come se quella dimensione non fosse per lui. Occhi azzurri e volto pulito, lo facevano apparire come un corpo estraneo all’interno di un contenitore di dolore. Mi ha detto che stava leggendo un libro che teneva sulla branda e che aspettava il nulla osta per poter andare in comunità.

Il compagno di cella si preoccupava per lui, ripeteva in continuazione che non stava bene e che aveva già tentato il suicidio. Doveva essere curato non custodito. In tanti in questi giorni ci siamo sentiti in colpa, ci siamo domandati se ognuno di noi avesse potuto fare di più».

La garante Testa pensa alla madre del ragazzo e aggiunge: «Abbiamo fallito tutti ed è inaccettabile che noi operatori a vario titolo dobbiamo sentirci in colpa a causa di un sistema che non funziona. Di un sistema che fa strage di diritto e di vite umane. Di un sistema che induce alla morte più che a riprendersi la vita.

Non si può continuare ad assistere a questa carneficina quotidiana. E non dobbiamo essere noi operatori a chiedere scusa ma uno Stato assente e cinico che ha deciso di nascondere il disagio all’interno di contenitori oramai illegali che producono morte e disperazione. Mi rifiuto di accettare che il carcere produca morte anziché riabilitazione.

Mi appello ancora al ministro della Giustizia affinché comprenda che ogni giovane che evade dal carcere togliendosi la vita è anche e soprattutto un suo fallimento». E sui social Irene Testa ha voluto sottolineare l’ultimo gesto di G.O.: «Era una sua volontà scritta da tempo. Lo scrivo perché voglio che si sappia di questo suo importante gesto. Voglio che si sappia che la sua vita non valeva meno di altre anche se detenuto».

Denunce quotidiane che arrivano da più parti, ma il governo è granitico sulle proprie convinzioni e sordo a qualsiasi sollecitazione. Il decreto Carceri, convertito in legge all’inizio di agosto, è diventato un vero e proprio mantra. Da mesi, sia il ministro Nordio sia il sottosegretario Del Mastro, ripetono che le misure previste nel provvedimento serviranno a ridurre la popolazione carceraria, i suicidi in carcere e affrontare il problema dei detenuti tossicodipendenti.

Purtroppo i mesi passano e al 25 novembre, secondo i dati pubblicati dal Garante nazionale, i detenuti sono 62.410, rispetto ai 46.771 posti regolarmente disponibili, per l’inagibilità di 4.478 posti. Il che significa il 133,44% di sovraffollamento medio, con San Vittore che è al 231,49.

Ancora ieri il ministro Nordio lo ha ribadito nel question time alla Camera, rispondeva a Roberto Giachetti di Italia viva: «Sono stati previsti nuovi percorsi di comunità per detenuti affetti da disagi psichico o tossicodipendenti. Abbiamo più volte ripetuto che molti tossicodipendenti più che essere criminali da punire sono ammalati da curare».

E il guardasigilli ha aggiunto: «Per contrastare il fenomeno dei suicidi abbiamo investito molto sul potenziamento della rete di assistenza psicologica e sull’opera di reclutamento di adeguato personale specializzato per rispondere a queste crescenti esigenze. Il Dap sta monitorando con costanza l’esistenza e l’adeguamento dei piani locali e regionali per la prevenzione dei suicidi. Lo stesso sostegno è stato fornito al Corpo di polizia penitenziaria».

Peccato che Caterina Pozzi, presidente del Coordinamento nazionale comunità accoglienti, nella conferenza stampa di martedì scorso alla Camera, abbia fatto un quadro della situazione che è molto lontano da quello rappresentato dal governo: «Ci sono 400 persone con problemi di dipendenza patologica in misura alternativa alla detenzione, ma quasi altrettanti posti sono disponibili nelle comunità della rete sparse per l’Italia».

Durante la conferenza “Vuoti a prendere. L’affidamento in prova in comunità per i detenuti tossicodipendenti, una pratica in calo mentre il sovraffollamento carcerario aumenta”, sono stati sottolineati altri aspetti: negli istituti di pena italiani ci sono 17.405 detenuti tossicodipendenti, pari al 29%, ma solo il 7% che ha problemi legati all’uso di sostanze ha accesso a un percorso alternativo alla detenzione nelle comunità terapeutiche, come riportato nella “Relazione al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2024”.