Il cherry picking antivaccinista (butac.it)

di 

Ci vengono presentati come "scienziati senza 
interessi" nella questione dei vaccini anti-COVID, 
vediamo quali sono i loro background

Su alcune bacheche social sta venendo condiviso un video realizzato da AsSIS, Associazione di Studi e Informazione sulla Salute, associazione da anni schierata con molti movimenti contrari alle vaccinazioni.

Il video è questo:

AsSIS lo intitola:

Vaccini Covid la parola agli scienziati senza interessi

Nel video sentiamo quattro soggetti dare il proprio parere sulle vaccinazioni anti Covid:

  • Pierre Kory
  • Ryan Cole
  • James Thorp
  • Peter McCullogh

L’ultimo, Peter McCullogh, è un soggetto che conosciamo beninoavendo dovuto smentire più d’una sua dichiarazione, ma anche riguardo gli altri crediamo sia interessante vedere chi siano e che background abbiano.

Pierre Kory

Medico di terapia intensiva, fino al 2020 uno delle centinaia di migliaia di medici americani, senza che avesse mai pubblicato ricerche degne di nota o partecipato a studi di rilievoKory ha una laurea in medicina conseguita presso la St.George’s University di Grenada, nel Mar dei Caraibi. Negli Stati Uniti invece ha un master in amministrazione pubblica.

Non un curriculum che lo possa includere tra gli esperti di virologia e pandemie, eppure dal 2020 se ne è occupato come se fosse un virologo titolato. Nel 2023 l’American Board of Internal Medicine ha deciso che la sua licenza da dottore venisse ritirata proprio a causa della tanta disinformazione da lui condivisa.

È tra i fondatori della Front Line COVID-19 Critical Care Alliance, gruppo inizialmente nato per spingere possibili trattamenti e sperimentazioni, in un’epoca pre vaccini anti-COVID, per poi decidere di prendere netta posizione contro tutte le vaccinazioni e spingere invece trattamenti a base di ivermectinaidrossiclorochina vitamina C, sostenendo potessero avere effetti positivi per difendersi dal coronavirus. Per inciso, anche all’altro fondatore del gruppo è stata ritirata la licenza per praticare la professione medica.

Ryan Cole

Patologo dell’Idaho, anche lui come Kory fino alla pandemia era uno sconosciuto, salvo essere il rappresentante medico nel Central District del Board of Health dell’Idaho, che amministra il più largo distretto di sanità pubblica dello stato americano.

Cole ricopre ancora quella posizione, in compenso la sua licenza medica è stata sospesa nello stato di Washington – ma non in Idaho – in quanto l’ordine dei medici locale ha stabilito che Cole ha consapevolmente condiviso informazioni false sul COVID-19 e ha infranto gli standard medici prescrivendo virtualmente ivermectina ai pazienti affetti da COVID-19, contro ogni evidenza medica.

James Thorp

Stesso discorso per James Thorp, medico ginecologo di nessuna notorietà prima della pandemia, e autore di uno studio di coorte in cui si sostiene che i vaccini anti COVID-19 manipolino il ciclo mestruale e abbiano effetti sul rischio di morte fetale pubblicato sul giornale dell’Association of American Physicians and Surgeons, un’associazione politicamente conservatrice senza scopo di lucro che promuove teorie del complotto e disinformazione medica, come il negazionismo dell’AIDS, l’ ipotesi che collega aborto al cancro al seno e i collegamenti tra vaccino e autismo.

Quanto sostenuto da Thorp nel suo studio – che non è mai stato pubblicato su serie testate scientifiche che si possano definire tali – è stato smontato già a novembre 2022 da altri studi, scientificamente validati, riportati dai colleghi di FactCheck.

Cherry picking

Questi tre, insieme a McCullough, sono le fonti del video che ci è stato segnalato. Non sono “scienziati senza interessi” come ci dice il titolo scelto da AsSIS, ma quattro scienziati con un preciso scopo: screditare i vaccini, andando contro alle conclusioni della comunità scientifica internazionale.

Usare le parole di questi quattro dando a intendere che rappresentino in qualsivoglia modo la scienza è fare cherry picking, ovvero scegliere solo quelli che dicono le cose che vogliamo sentirci dire e omettere il parere della maggioranza, che è però basato su prove e dati largamente riconosciuti come validi. Non è così che si fa divulgazione scientifica.

I limiti dei quattro soggetti citati nel video andavano dichiarati, andava spiegato che senza la pandemia sarebbero degli assoluti sconosciuti, e che solo grazie alla disinformazione diffusa in questi anni hanno trovato “un posto al sole” nella galassia del complottismo, ma che le loro opinioni non sono basate su qualcosa che il resto della comunità scientifica condivide, perché non hanno mostrato prove a supporto.

Concludendo

Non sta a noi dover smontare le opinioni dei quattro soggetti ma ad AsSIS riportare studi, scientificamente verificati e pubblicati su testate scientifiche autorevoli, che dimostrino quanto sostenuto.

Fino a quel momento sono purtroppo solo chiacchiere inutili generate per creare confusione nell’utente finale, che grazie a questa confusione faticherà a prendere decisioni consapevoli sulla propria salute e sarà più facilmente vittima dei tanti ciarlatani che propongono alternative non validate (ma comunque a pagamento) per la prevenzione.

Vittorio Emanuele Parsi: “Se cade l’Ucraina, crolla il progetto europeo. La svalutazione del rublo può accorciare la guerra di Putin” (ilriformista.it)

di Antonio Picasso

"Medio Oriente? Non si può pensare di pacificare 
la zona soltanto con i bombardamenti"

«Kyiv è in Europa ed è lì che ci giochiamo la nostra credibilità». 

Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano, commenta la visita del presidente del Consiglio Ue, António Costa, e della leader della diplomazia europea, Kaja Kallas, nella capitale ucraina, domenica.

Professore, Ucraina, Stati Uniti di Trump, Medio Oriente: quale dossier viene prima per questa nuova legislatura europea?

«L’Ucraina, senza il minimo dubbio. Perché è in Europa. Ed è alla nostra portata. I paesi membri e l’Unione nel suo complesso hanno capacità militare, politica, demografica ed economica sufficiente per potersi attivare maggiormente sul quel fronte. Oltretutto le conseguenze di una disfatta di Kyiv sarebbero probabilmente letali per il nostro futuro. E accentuerebbero di gran lunga tutte le altre criticità che riguardano gli altri due dossier».

Nel frattempo dovremo gestire dei rapporti con gli Stati Uniti di Trump che son si preannunciano facili.

«La Ue si confronterà con Trump in una condizione in cui non è stata capace di mettere in sicurezza il suo fianco orientale da dove proviene da oltre tre anni una minaccia. Quindi, agli occhi di Trump, i motivi per arrivare a una sua migliore valutazione non ci sarebbero proprio. Né in termini commerciali, né per il nostro ruolo politico-militare».

Parliamo allora di questa componente militare. Stavolta la Difesa comune europea ha delle chance oppure rischia un altro flop com’è stato negli anni Cinquanta?

«Il progetto riposa sulla volontà degli Stati membri, che devono attivarsi in maniera decisa. Se non lo fanno, la buona volontà della Commissione resta lì. È chiaro che un’Europa più attiva militarmente, in grado di garantire a sé stessa la sicurezza e di proiettarla oltre i propri confini, è un partner più pesante nelle relazioni con gli Usa».

Non c’è però un rischio di concorrenza con la Nato?

«Il progetto dev’essere complementare alla Nato. Questa include Usa, Gran Bretagna e Canada e, come tale, ha una propria competenza su una serie di questioni di carattere globale. D’altra parte, se l’Alleanza atlantica non riuscisse individuare un punto di azione comune, potrebbero crearsi quelle condizioni vantaggiose per far agire l’Europa con una propria Difesa comune».

Con Trump si arriverà a una conclusione della guerra in Ucraina?

«Inevitabilmente. Non fosse altro perché avrà quattro anni di presidenza davanti. Per cui è un po’ difficile immaginare che questa guerra duri così a lungo. Sia per le difficoltà ucraine, in termini di uomini e donne da impiegare al fronte, sia perché le armi occidentali o arrivano in maniera più copiosa oppure si apre un problema enorme. Poi c’è l’economia russa. Con buona pace di chi diceva che su Mosca non avrebbero inciso le sanzioni. Con un’inflazione galoppante e la continua svalutazione del rublo, sarà difficile per Putin sostenere all’infinito gli sforzi economici di questa guerra. In più c’è l’aggravamento della situazione in Medio Oriente. Laggiù i russi erano convinti di aver raggiunto un punto di equilibrio, soprattutto nelle relazioni con l’Iran e la Turchia. Quanto sta accadendo rimette tutto in discussione».

Tornando all’Ucraina, la ricostruzione è un’opportunità che l’Europa può offrire?

«L’opportunità per l’Europa è che l’Ucraina non crolli. Altrimenti crolla il progetto europeo. La ricostruzione del paese è un follow up. Richiederà un importante impegno economico. Ma è una questione che si presenterà successivamente».

Lei ha già accennato al Medio Oriente. Quali sono i rischi per l’Europa di una nuova crisi in Siria?

«Il ritorno del terrorismo e la destabilizzazione del Golfo sono una fonte di preoccupazione per noi europei quanto per tutti. Possiamo poi aspettarci nuovi flussi di profughi. Come già successo pochi anni fa. D’altra parte sono la dimostrazione di come nessuno possa pensare di pacificare la zona soltanto con i bombardamenti. Non ci sono riusciti gli Usa, non ci riusciranno gli israeliani».

L’Europa può fare qualcosa?

«Direi non molto. Se non contribuire a un raggiungimento del cessate il fuoco in Libano. Potremmo intervenire se un domani venisse raggiunto un accordo su Gaza, attraverso un nostro coinvolgimento di carattere politico, finanziario. Del resto, è già in corso una pressione politica sul governo israeliano affinché questa guerra non sia portata avanti chissà fino a quando e a scapito di una qualunque chance di una Palestina indipendente nei prossimi anni».

Così Putin usa l’arma della russofonia per invadere le ex repubbliche sovietiche (linkiesta.it)

di

Eurasiatismo

Come spiega Maurizio Molinari nel suo nuovo saggio “La nuova guerra contro le democrazie” (Rizzoli), il Cremlino sfrutta la tutela delle comunità russofone all’estero come pretesto strategico per legittimare interventi politici e militari nelle sue ex colonie, senza rispettare il diritto internazionale

Un elemento chiave per comprendere la strategia di Putin è l’importanza dei russofoni ovvero l’insieme delle persone di lingua e cultura russa che abitano al di fuori dei confini della Federazione sono presenti in numerose nazioni dell’ex Unione Sovietica, dall’Ucraina alla Bielorussia fino al Kazakistan e in molti altri Stati dell’Europa orientale e dell’Asia centrale. Per un totale stimato di quasi quattordici milioni di anime.

Queste comunità rappresentano un legame culturale e storico con la Russia e Putin ha dimostrato di essere pronto a difendere i diritti e gli interessi dei russofoni al di fuori del suo Paese, fino al punto da farne motivo di interventi militari.

L’annessione della Crimea nel 2014 è un momento cruciale: Putin giustifica l’operazione con la volontà di proteggere la popolazione russofona contro presunte minacce. Anche nell’Ucraina orientale, il Cremlino sostiene movimenti separatisti russofoni che rivendicano l’indipendenza da Kyjiv.

L’ideologia politica di Putin, da alcuni definita «eurasiatismo», promuove l’idea di una Russia come ponte tra l’Europa e l’Asia, sottolineando il ruolo centrale della cultura russa come collante per le diverse nazioni dell’area ex sovietica.

Questa visione si basa sul concetto di «Russkij Mir» (il mondo russo), che mira a proteggere e promuovere l’identità russa al di là dei confini della Federazione. Il concetto di «Russkij Mir» e il suo ruolo nel plasmare l’ideologia russa hanno radici profonde nella storia, la politica e la cultura nazionali.

Dal punto di vista strategico, questo sostegno ai russofoni si inserisce in una visione più ampia di consolidamento della sfera di influenza di Mosca nelle regioni confinanti, in un momento in cui la Russia si sente circondata da una crescente presenza occidentale. Putin percepisce i russofoni come un cardine per sostenere la presenza e l’influenza in queste aree, utilizzandoli come strumento di pressione politica ed economica.

Ecco perché l’importanza di questa componente demografica per l’ideologia e la strategia del Cremlino è evidente: rappresentano un’opportunità per la Russia di mantenere la sua influenza regionale e costituiscono una sfida a stabilità e sicurezza delle nazioni confinanti. L’equilibrio tra il diritto delle comunità russofone di preservare la propria identità culturale e la sovranità nazionale degli Stati ospitanti è cruciale per il futuro delle relazioni internazionali nell’Eurasia.

In tale contesto è interessante valutare la relazione tra le opinioni di Aleksandr Dugin, teorico politico, filosofo e attivista russo, e l’ideologia di Vladimir Putin. Dugin è noto per le visioni geopolitiche radicate nell’«eurasiatismo» e nella «quarta teoria politica», che comprende una critica sia al liberalismo occidentale che all’ideologia fascista e comunista.

Le opinioni di Dugin hanno un impatto nel dibattito politico in Russia e contribuiscono a plasmare il circolo intellettuale che più influenza Putin. In particolare, sia Aleksandr Dugin che Vladimir Putin esprimono un forte sostegno alla diffusione e la preservazione della russofonia. Dugin sostiene l’importanza della «civilizzazione russa» e la promozione dell’identità culturale russa all’interno dello spazio postsovietico e oltre i confini della Federazione.

Le sue teorie sull’«eurasiatismo» enfatizzano il ruolo centrale di Mosca come guida di una comunità culturale e geopolitica più ampia che si estende dalla Russia all’Europa orientale e centrale.

E Putin ha fatto leva su queste idee per promuovere attivamente la lingua e la cultura russe come elementi unificanti per i Paesi della Comunità degli Stati indipendenti (Csi) e per la diaspora russa nel mondo. Ha sostenuto la creazione di organizzazioni internazionali quali la Comunità degli Stati indipendenti e l’Unione economica eurasiatica per promuovere la cooperazione tra i Paesi che condividono la lingua e la cultura russe.


Tratto da “La nuova guerra contro le democrazie”, di Maurizio Molinari (Rizzoli), 240 pagine, 20,90 euro

Ucraina, Rutte: la Nato si concentri sugli aiuti militari, non su accordi di pace (euronews.com)

di Alice Tidey

Notizie dall'Europa

I Paesi della Nato puntano a rafforzare le loro difese e la posizione dell’Ucraina nella guerra contro la Russia prima che Donald Trump torni alla Casa Bianca, tra poco più di un mese

Gli alleati della Nato devono concentrarsi più sulla fornitura di assistenza militare all’Ucraina, in modo che si possa fermare la lenta ma costante avanzata della Russia, che sulle discussioni per possibili accordi di pace. A dichiararlo è stato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Mark Rutte, mentre i ministri degli Esteri dei 32 Stati membri si riuniscono a Bruxelles per un vertice di due giorni.

Il dirigente olandese ha dichiarato ai giornalisti in una conferenza stampa, poche ore prima dell’inizio del vertice, che “la cosa più importante che dobbiamo fare ora” è assicurarci “che l’Ucraina, nel momento in cui deciderà di avviare dei colloqui di pace, lo faccia da una posizione di forza. Kiev non ha bisogno di opinioni su come si potrebbe effettuare un processo di pace.

Ed è su questo che ci concentreremo nei prossimi due giorni: su come far arrivare più aiuti militari in Ucraina, più difesa missilistica, un migliore coordinamento di tutto ciò che stiamo facendo”.

L’incontro sarà l’ultimo a cui parteciperà il segretario di Stato Antony Blinken, poiché il 20 gennaio si insedierà la nuova amministrazione statunitense, guidata da Donald Trump. Il presidente eletto repubblicano ha affermato di poter fermare la guerra entro pochi giorni dal suo insediamento, scatenando il timore che Washington possa tagliare il suo sostegno a Kiev e imporre dolorose concessioni territoriali come parte di un accordo di pace con la Russia.

L’inerzia della guerra, che dura ormai da più di mille giorni, sembra essere dalla parte del Cremlino, con la linea del fronte che si sta spostando verso ovest, mentre l’offensiva ucraina nella regione russa di Kursk è in fase di stallo. La difesa di Mosca nella zona è stata aiutata dalla Corea del Nord, che ha inviato oltre 10mila soldati nella regione, secondo gli alleati.

Nel frattempo, Iran e Cina hanno fornito alla Russia tecnologie militari e a duplice uso, che sono state impiegate anche per colpire le infrastrutture civili, in particolare quelle energetiche, in Ucraina.

Zelensky: “Dobbiamo trovare soluzioni diplomatiche”

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ammesso lunedì all’agenzia giapponese Kyodo che “l’esercito ucraino non ha la forza” per riprendere alcuni dei territori occupati dalla Russia.

“Dobbiamo trovare soluzioni diplomatiche“, ha dichiarato, ribadendo la richiesta che il suo Paese diventi membro della Nato il prima possibile. Negli ultimi mesi, l’Ucraina ha firmato una serie di accordi bilaterali di sicurezza con i Paesi occidentali, ma per Kiev nessuno di questi può essere paragonato alla piena adesione all’alleanza militare per scoraggiare future aggressioni russe.

“Con l’amara esperienza del Memorandum di Budapest alle spalle, non accetteremo alcuna alternativa, surrogato o sostituto della piena adesione dell’Ucraina alla Nato”, ha dichiarato il ministero degli Esteri ucraino in un comunicato diffuso martedì mattina.

“Invitare subito l’Ucraina ad aderire all’Alleanza – ha aggiunto – costituirebbe una risposta efficace al ricatto russo e priverà il Cremlino delle sue illusioni sulla possibilità di ostacolare l’integrazione euro-atlantica dell’Ucraina. È anche l’unica possibilità che abbiamo per fermare l’erosione dei principi chiave della non proliferazione nucleare e ripristinare la fiducia nel processo di disarmo“.

Il Memorandum di Budapest, firmato il 5 dicembre 1994, prevedeva che l’Ucraina rinunciasse al suo arsenale nucleare in cambio di garanzie da parte della Russia di non usare la forza o la coercizione economica contro la sua integrità territoriale o indipendenza politica. Rutte ha tuttavia affermato che gli accordi bilaterali fanno parte del percorso dell’Ucraina verso la piena adesione: “Durante il vertice di Washington (nello scorso mese di luglio, ndr), abbiamo concordato un percorso irreversibile verso la Nato, il che sta avvenendo passo dopo passo”.