La politica italiana è distratta e nessuno vede più la guerra Ucraina: tutto contro Israele ma il vero criminale è Putin (ilriformista.it)

di Aldo Torchiaro

La brutalità che non indigna

Destra e sinistra divise anche a Strasburgo: Lega, M5S, Verdi e Sinistra non vogliono dispiacere a Putin. In Italia nessuna manifestazione di solidarietà a Kiev. Tajani: «Non vogliamo uso armi, è in Costituzione»

Quanto vale la vita di un ucraino, al mercato del cinismo politico? Poco, pochissimo. Sicuramente molto meno di quella di un palestinese. Centinaia di migliaia di morti nel cuore dell’Europa – incluse donne e bambini – non smuovono nessuno. Non ci sono manifestazioni, cortei o scuole occupate. E la politica non fa eccezione.

Nemmeno quando, ieri, da Mosca è partito l’ordine di annientare la popolazione civile distruggendo simultaneamente le centrali elettriche dell’Ovest ucraino: la paralisi di tutti gli impianti energetici e di riscaldamento – quelli di ospedali, scuole, abitazioni civili – ha messo in ginocchio oltre un milione di persone, nelle giornate in cui l’inverno ucraino picchia più duro.

Il disastro umanitario a poche ore da casa

In una vasta regione ucraina il “buio” riguarda anche le telecomunicazioni, con i cellulari rimasti prima senza ponti di rete, poi senza batteria. Un disastro umanitario a poche ore di macchina da Trieste che però la politica non riesce a vedere. Non considera un problema. Infatti nessuno ieri ha ritenuto di dover manifestare solidarietà a Kiev.

Mentre a Strasburgo andava in scena l’ennesima spaccatura, per giunta su un bis in idem già visto. Già, perché mentre ieri veniva messa in votazione la mozione di sostegno alla decisione di Biden di permettere di colpire la Russia sul suo territorio, gli eurodeputati si dividevano – anche all’interno delle stesse delegazioni e degli stessi gruppi – a certificare, per la gioia di Putin, come l’Europa rimanga debole e frammentata.

Il bis in idem riporta alla votazione dell’ottobre scorso in particolare sull’uso di missili a lungo raggio e sulla possibilità di colpire in territorio russo. L’attenzione era stata posta dai gruppi che volevano sollevare il caso in chiave anti-Biden. Alla fine, però non hanno avuto successo.

Gli emendamenti contro l’uso di armi a lungo raggio non sono passati ed il testo finale è stato supportato da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Pd e dal verde Ignazio Marino. Si sono astenuti invece gli indipendenti del Pd, Marco Tarquinio e Cecilia Strada e i Verdi Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi. Contrari invece al testo la Lega ed il Movimento 5 Stelle.

Quei politici pro Putin

La delegazione di Forza Italia, con l’eccezione del vicepresidente del Ppe Massimiliano Salini, è stata l’unica dei popolari a schierarsi contro la linea del Ppe sul sostegno alla scelta del presidente Joe Biden di permettere all’Ucraina di colpire con i propri missili in Russia.

Sul paragrafo 19 della risoluzione pro-Kiev votata dal Parlamento europeo gli eurodeputati forzisti Caterina Chinnici, Salvatore De Meo, Marco Falcone, Giuseppina Princi e Flavio Tosi sono stati gli unici eurodeputati del gruppo a votare conto il sostegno alla decisione del presidente americano.

Si è schierato invece in linea con il resto dei popolari l’azzurro Massimiliano Salini. Assenti Letizia Moratti ed il capodelegazione Fulvio Martusciello. Anche nel Pd (ancora con Tarquinio seduto dalla parte opposta alle democrazie atlantiste) le posizioni sono state diverse.

Rimane chiara e netta la Vicepresidente del Parlamento europeo, la dem Pina Picierno. «Ho votato la mozione per il sostegno l’Ucraina nella sua interezza, compreso il sostegno all’utilizzo delle armi a lungo raggio sul territorio russo. Credo che sia necessario, oggi più che mai, non permettere alla Russia di guadagnare tempo e spazio.

Per il Cremlino la volontà di negoziato è purtroppo inesistente, ne abbiamo avuto prova anche dopo la sciagurata telefonata tra il Cancelliere Scholz e Putin: la risposta è stata un bombardamento a tappeto contro civili».

Picierno suona la sveglia

Picierno è stata in effetti l’unica esponente del Partito Democratico ad essersi accorta di quel che sta accadendo in Ucraina: «Azioni criminali – segnala – che proseguono senza sosta: stanotte 100, tra missili e droni, hanno colpito i sistemi energetici ucraini con tanto di rivendicazione del presidente russo in conferenza stampa».

Tra l’altro ieri ha aggiunto alle sue dichiarazioni di voto una denuncia fuori dai denti (e dal protocollo istituzionale): «È importante sottolineare anche il tentativo del regime putiniano di infiltrarsi tra le cancellerie europee, penso per esempio all’annunciata partecipazione del Premier slovacco Robert Fico alle celebrazioni nella piazza Rossa il prossimo 9 maggio o alle strategie per influenzare il voto Georgia, Moldavia e da ultimo in Romania.

L’Europa non può essere una terra di conquista dei regimi illiberali». Tornando in Italia, anche Lorenzo Guerini, Presidente del Copasir, ha stigmatizzato «Un’azione che, nelle scelte del regime di Putin, si mostra sempre più aggressiva ed escalatoria». Da Conte nessuna sorpresa.

Si schiera contro la difesa dell’integrità europea – l’Ucraina è Europa, anche se non ancora Ue – il leader del 5 Stelle ed ex premier. Fu in quella veste che permise l’ingresso a un centinaio di agenti dell’intelligence di Mosca in Italia. «In Europa ci siamo ritrovati sul tavolo una risoluzione per cui gli Stati europei – compresa l’Italia – si impegnano a mandare più armi, missili a lungo raggio e a investire lo 0,25% del Pil (circa 5 miliardi per il nostro Paese) nel sostegno militare in questa guerra.

Non solo. Viene anche censurato il Cancelliere tedesco Scholz per la telefonata a Putin; siamo all’assurdo: nessuno deve permettersi di tenere aperto un canale di dialogo con Putin, non sia mai si creassero le premesse per una svolta negoziale», ironizza. Il titolare della Farnesina e leader di Forza Italia ha in parte spiegato perché gli azzurri italiani hanno deciso di votare in difformità dal Ppe. «Le scelte sull’utilizzo delle armi sono sempre bilaterali, non europee.

L’Italia ha detto di usarle sempre all’interno del territorio ucraino, non in territorio russo perché non siamo in guerra con la Russia. Ma credo che ci siano anche limiti costituzionali e la nostra posizione rimane immutata».

Le sanzioni inutili? Ora il rublo sprofonda (corriere.it)

di Federico Fubini

Che succede al rublo? 

La moneta russa precipita senza rete. Ieri è crollata fra il 6% e il 7% sull’euro, sul dollaro, sullo yuan cinese e sulla rupia indiana.

Nelle ultime due settimane ha ceduto fra il 12% e il 14% su tutte e quattro queste valute: poco importa se monete di potenze con cui i rapporti commerciali sono in declino(Europa e Stati Uniti) o in aumento (Cina e India). Si direbbe che tutti stiano vendendo e pochi abbiano voglia di mantenere la valuta di Vladimir Putin fra le mani.

Voci dal sistema finanziario di Mosca riferiscono di una caccia diffusa alla valuta estera, la sola utile per importare beni dal resto del mondo: sembra essercene poca disponibile, mentre in molti cercano di disfarsi dei propri rubli.

Ma questo è un sintomo, non una causa. Altro sintomo, più emblematico, è che gli esportatori si stanno rifiutando di rimpatriare in Russia i proventi delle loro vendite all’estero. Si fidano di più delle banche cinesi o indiane, che di quelle di Putin. Ma anche questo è un altro sintomo allo stato latente da tempo.

Sei giorni fa poi si è dimessa la numero due della Banca di Russia, Olga Skorobogatova, che in teoria avrebbe dovuto realizzare il rublo digitale per aggirare le sanzioni. La stessa governatrice Elvira Nabiullina è sotto attacco a Mosca, perché tiene i tassi d’interesse a un astronomico 21% per cercare di fermare l’inflazione che ha raggiunto il 30% o 40% sui beni alimentari di base.

L’economia intanto sta chiaramente rallentando e qualcosa, da qualche parte, scricchiola nel regno di Putin.

L’annuncio sulla totale inutilità delle sanzioni era forse leggermente prematuro.

Neanche l’Adi cattura la povertà assoluta (lavoce.info)

di  e 

Le famiglie che percepiscono l’Adi non hanno le 
stesse caratteristiche dei nuclei poveri assoluti 
individuati dall’Istat. 

Dipende in larga parte dalle differenze tra il metodo di calcolo della povertà assoluta e le regole di attribuzione del sussidio.

L’Adi a un anno dall’introduzione

L’Assegno di inclusione (Adi), la misura che ha preso il posto del Reddito di cittadinanza (Rdc), compirà tra poco un anno. In attesa che l’Inps aggiorni i dati dell’Osservatorio statistico relativi al primo semestre 2024, può essere utile confrontare il profilo di povertà dei beneficiari della nuova misura con quello che risulta dalle statistiche Istat sulla povertà assoluta in Italia nel 2023, pubblicate il 17 ottobre scorso: le caratteristiche dei poveri assoluti coincidono con quelle dei beneficiari dell’Adi o vi sono differenze rilevanti?

Il confronto tra la platea di famiglie beneficiarie dell’Adi e l’insieme delle famiglie povere assolute stimate dall’Istat conferma, e in alcuni casi accentua, la divaricazione nella composizione delle due popolazioni già emersa ai tempi del Rdc relativamente ad alcune caratteristiche, come la ripartizione geografica e la cittadinanza dei componenti della famiglia.

Minore rispetto al passato è invece lo scostamento tra i due profili di povertà, se valutato relativamente alla presenza o no di minori.

Dove sono i poveri e dove arriva l’Adi

Le famiglie Adi si concentrano nelle regioni del Sud e nelle Isole, dove raggiungono il 69 per cento del totale, mentre nel Nord risiede solo il 18 per cento dei nuclei beneficiari della nuova misura, una quota minore anche di quella (21 per cento) registrata a dicembre 2023 ai tempi del Rdc. Secondo le stime Istat, nel 2023 risiedeva in Meridione il 39 per cento delle famiglie povere assolute, contro il 45 per cento nel Settentrione. Il numero di famiglie in povertà assoluta che vivono nelle regioni del Nord supera quindi quello delle famiglie povere che risiedono nel Sud.

La forte differenza geografica tra distribuzione dei poveri e dei beneficiari Adi dipende dal fatto che non si prende in considerazione il maggior costo della vita al Settentrione ai fini della prova dei mezzi e della determinazione dell’importo dell’Adi.

Qual è la cittadinanza dei richiedenti

Solo il 9 per cento dei nuclei che beneficiano dell’Adi ha come richiedente un cittadino non italiano (europeo, extracomunitario in possesso di permesso di soggiorno Ue o altro), mentre secondo l’Istat il 31 per cento delle famiglie povere assolute include anche componenti stranieri. Il dato Adi coincide con quello stimato per i beneficiari del Rdc nel dicembre 2023.

L’allentamento del criterio della residenza in Italia (da 10 a 5 anni) non sembra quindi aver prodotto un’estensione della platea dei nuclei percettori dell’Adi tra i non italiani. Come sarebbe viceversa auspicabile, se si considera che l’incidenza della povertà assoluta tra i nuclei dove sono presenti stranieri (30,4 per cento nel 2023) è la più alta dal 2014, contro un valore del 6,3 per cento per le famiglie di soli italiani.

Non è chiaro perché la presenza di stranieri tra i beneficiari non sia aumentata. Forse la ragione principale è che, nel passaggio dal Reddito di cittadinanza all’Assegno di inclusione, si è ridotta la soglia di reddito per chi vive in affitto, da 9.360 a 6mila euro, un calo che ha penalizzato di più gli stranieri, perché più spesso degli italiani abitano in affitto.

Una misura per famiglie con minori

I vincoli categoriali dell’Adi contribuiscono a spiegare l’alta quota (42 per cento) di nuclei Adi in cui sono presenti minorenni, in crescita rispetto al 34 per cento per il Rdc. Difficile dire se il risultato dipende anche dalla revisione della scala di equivalenza.

Come fa notare il rapporto del 9 luglio 2024 dell’Osservatorio statistico Adi dell’Inps, la singolarità della nuova scala è infatti che può assumere valori minori, maggiori o uguali a quelli della scala di equivalenza Rdc, a seconda della composizione per età e per condizione di fragilità (disabilità, minore età, o altro) dei membri della famiglia.

In sintesi, le caratteristiche delle famiglie percettrici di Adi sono ancora piuttosto diverse da quelle dei nuclei poveri assoluti individuati dall’Istat:

Leggi anche:  Se la povertà diventa una “questione settentrionale”

– sono più spesso residenti in Meridione;

– hanno in gran parte cittadinanza italiana;

– hanno più spesso membri minorenni.

L’incompleta sovrapposizione tra i due gruppi dipende in buona parte da tre differenze tra il metodo di calcolo della povertà assoluta e le regole di attribuzione dell’Adi:

  1. i poveri assoluti vengono individuati in base alla spesa per consumi, i beneficiari Adi in base a reddito disponibile e patrimonio (con l’Isee);
  2. la stima della povertà assoluta tiene conto del fatto che il costo della vita e le spese per riscaldamento sono maggiori al Nord, mentre le regole di calcolo dell’Adi sono uniformi sull’intero paese;
  3. l’Adi non è universale, esclude le famiglie in povertà che non hanno familiari minorenni, anziani o invalidi.