Gli europeisti della Romania temono che Putin li stia spingendo di nuovo alla dittatura (politico.eu)

di Tim Ross e Andrei Popoviciu

Elezioni rumene

Călin Georgescu, scettico di estrema destra sulla NATO, è sulla buona strada per vincere la presidenza rumena, grazie a una campagna influenzata dalla Russia.

DSCF4235 (Una folla di migliaia di persone si è radunata a temperature gelide nella piazza dell’Università di Bucarest giovedì sera, cantando “libertà” e sventolando bandiere dell’UE e della Romania. | Andrei Popoviciu)

Morti e feriti, da un fronte all’altro. Numeri veri per restare ancorati alla realtà (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola posta

Vorrei dire al mio caro Tomaso Montanari e al mio carissimo Guido Viale che nella guerra della Russia all’Ucraina non – NON – “si stima oltre un milione di morti”. La stima più pesante, ufficiosamente fornita dal Wall Street Journal, è di “un milione FRA MORTI E FERITI”.

Stavamo registrando il nostro sismografo sui nuovi dati. Il tasso di antiamericanismo di principio fortemente ridotto grazie all’avvento di Donald Trump. Il tasso di filoputinismo immutato nonostante l’avvento delle truppe di Pyongyang sul fronte di Kursk. Poi è arrivato il colpo, il colpetto, di Seul. Sarà tre volte carnevale, e festa tutto l’anno.

E intanto vorrei dire al mio caro Tomaso Montanari, che l’ha dichiarato con drammatica sicurezza sulla 7, e al mio carissimo Guido Viale, che l’ha ripetuto con drammatica certezza sul Manifesto di ieri, e a chiunque altri sia interessato, che nella guerra della Russia all’Ucraina non – NON – “si stima oltre un milione di morti”.

La stima più pesante è stata ufficiosamente fornita a settembre dal Wall Street Journal, e ha nominato “un milione FRA MORTI E FERITI”. Precisando, sulla base di una “fonte confidenziale”, che dalla parte ucraina i morti sarebbero 80 mila e i feriti 400 mila, e da parte russa 200 mila i morti e 400 mila i feriti. Cifre enormi, enormi. L’altro ieri Zelensky ha smentito quel calcolo sugli 80 mila morti ucraini dichiarando che il numero è “minore, molto minore”.

Comunque sia, scambiare un calcolo ufficioso di “un milione fra morti e feriti” per “un milione di morti” vuol dire stare su un altro pianeta, assai peggiore di questo, che è già orribile. Viale va oltre, e al milione di morti aggiunge “due o tre volte di più gli invalidi fisici e psichici per tutto il resto della loro vita”.

Qualcosa di simile avviene per il luogo comune – comune perché altrove, e specialmente a Gaza, largamente fondato – secondo cui nelle guerre il maggior numero di vittime riguarda la popolazione civile. In Ucraina non è nemmeno lontanamente vero, benché le vittime civili siano terribilmente numerose – a gran differenza dalle vittime di parte russa. I russi ammazzano e muoiono fuori casa.

Errori così madornali, almeno nel caso di queimiei cari, non sono certo frutto di mala fede. Al contrario, della buona fede che viene dalla convinzione di perseguire la pace sopra ogni cosa. Sopra ogni cosa, appunto.

Ho un’ultima osservazione, in questa paginetta di errata corrige. C’è una larga, antica, tenace, audace ribellione popolare, di giovani soprattutto, donne e uomini, a Tbilisi e nel resto della Georgia. Il Cremlino ha appena ribadito che è il frutto delle mene occidentali, come nel 2014 ucraino di Maidan. In effetti, la piazza e le strade di Tbilisi, che oggi arrivano al sesto giorno di seguito, alla sesta notte, sono una pietra di paragone della piazza di Kyiv di dieci anni fa.

Il primo ministro Irakli Kobakhidze, e l’oligarca Bidzina Ivanishvili, “il più ricco”, del Partito dell’Incubo georgiano filorusso, avevano annunciato sei giorni fa di posporre al 2028, cioè mai, i negoziati per l’ingresso della Georgia nell’Unione europea, iscritto nella Costituzione.

Alla vigilia del 2014 di Euromaidan il presidente Viktor Janukovyč aveva ripudiato la firma del trattato di associazione con l’Unione europea per tornare alla dipendenza dalla Russia. A Maidan le forze antisommossa Berkut fecero molte decine di morti. In Georgia le truppe antisommossa hanno finora fatto centinaia di arresti e molte decine di feriti.

Ognuno, ognuna, può guardare e trarne le conseguenze.

(Luke Jones)

L’unico accordo buono per la sicurezza dell’Ucraina è l’ingresso nella Nato (linkiesta.it)

di

Non ti scordar di Kyjiv

A trent’anni dal fallimentare Memorandum di Budapest, gli ucraini pretendono garanzie reali.

Una soluzione di compromesso potrebbe essere l’adesione all’Alleanza Atlantica dei territori sotto controllo ucraino, estendendo su di essi la protezione dell’articolo 5

Il 5 dicembre 2024 cade il trentesimo anniversario della firma del Memorandum di Budapest, siglato nel 1994 dai leader di Ucraina, Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna per garantire la sicurezza di Kyjiv in relazione alla sua adesione al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari. Grazie a questo documento, l’Ucraina avrebbe dovuto ottenere rassicurazioni da parte dei firmatari su sicurezza, indipendenza e integrità territoriale.

Dal 2014, con l’invasione della Crimea e delle regioni di Donetsk e Luhansk, uno dei firmatari, la Russia, ha violato il patto, mentre gli altri firmatari non hanno protetto l’Ucraina dall’aggressione, almeno fino al 2022, anno dell’invasione russa su larga scala.

In vista della riunione dei ministri degli Esteri della Nato che si terrà in questi giorni a Bruxelles, il ministro degli Affari Esteri ucraino Andrii Sybiha ha inviato una lettera ai partecipanti per sottolineare che l’Ucraina non aderirà a nessun altro patto di sicurezza se non a quello della Nato, definendo il Memorandum di Budapest «una testimonianza della mancata lungimiranza nel prendere decisioni strategiche sulla sicurezza», e affermando che «la costruzione dell’architettura della sicurezza europea senza considerare gli interessi dell’Ucraina è destinata al fallimento».

Negli ultimi giorni, le discussioni sull’ingresso dell’Ucraina nella Nato si sono intensificate, anche grazie alle dichiarazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky – sia in un’intervista a Sky News sia durante una conferenza stampa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Esperti ucraini, come il politologo Maksym Dzhyhun, non si sorprendono del cambio di strategia dell’amministrazione Zelensky, ritenendolo necessario in vista dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. Se con Joe Biden l’integrità territoriale ucraina non era in discussione, oggi, con l’incognita della politica estera statunitense, l’amministrazione Zelensky cerca nuove vie per garantire la sopravvivenza dello Stato ucraino durante la spietata invasione russa, che negli ultimi giorni si è intensificata anche in regioni lontane dalla linea del fronte, come Ternopil, rimasta parzialmente senza elettricità dopo gli attacchi della notte tra lunedì e martedì.

Zelensky propone di far aderire alla Nato i territori sotto controllo ucraino, estendendo su di essi l’articolo 5 della Nato. Questa soluzione metterebbe al sicuro le retrovie dell’Ucraina, arginando l’aggressione russa nell’Est e ponendo fine alla fase più acuta del conflitto.

Tuttavia, l’Ucraina non riconoscerà mai i territori occupati dall’esercito russo come parte della Russia e intende riappropriarsene attraverso la via diplomatica. Una soluzione che potrebbe essere rimandata alla morte di Vladimir Putin e a un cambio di governo in Russia.

Si tratta di una decisione difficile e dolorosa, ma anche matura e consapevole delle condizioni attuali. L’Ucraina è consapevole della mancanza di risorse umane e militari per respingere l’esercito russo oltre i confini (anche per lo scarso impegno nell’invio delle armi da parte degli alleati), così come è consapevole del rischio che gli aiuti militari statunitensi, fondamentali, potrebbero essere ridotti o addirittura azzerati nei prossimi mesi.

L’amministrazione Trump è nota per essere più scettica verso l’Ucraina rispetto a quella Biden, e per questo Zelensky e il suo governo cercano una soluzione che possa essere presentata ai propri alleati all’indomani dell’insediamento di Trump. L’adesione alla Nato dei territori liberi dell’Ucraina potrebbe essere la soluzione migliore.

L’Ucraina vuole dimostrarsi un interlocutore affidabile, aperto al dialogo, come sempre è stata, nonostante sia spesso descritta diversamente dai media italiani. L’amministrazione Zelensky sta lavorando intensamente per trovare punti di incontro con la futura amministrazione Trump.

Addirittura, un deputato del partito di Zelensky, Oleksandr Merezhko, presidente del Comitato per gli Affari Esteri e la Collaborazione interparlamentare, ha nominato Trump al Premio Nobel per la Pace 2025. Conoscendo l’ambizione e l’ego del presidente statunitense eletto, il partito di Zelensky cerca di sfruttare le sue debolezze, consapevole che Trump non vuole essere da meno rispetto a Putin.

In questi giorni, nel contesto della riunione dei ministri degli Esteri della Nato a Bruxelles, è previsto un incontro con i rappresentanti dell’Ucraina. Qualora, per qualche miracolo, si ricevesse un riscontro positivo alla richiesta di adesione dell’Ucraina alla Nato, non si tratterebbe di un’ammissione immediata: sarebbero necessari da uno a due anni per completare la procedura, senza considerare eventuali opposizioni da parte di membri come Ungheria e Slovacchia.

Un segnale positivo rappresenterebbe comunque un forte messaggio politico alla Russia, che continua a perseguire gli obiettivi principali della sua cosiddetta “operazione speciale militare” e potrebbe sfruttare nuovamente le debolezze occidentali per intensificare ulteriormente la guerra in Ucraina.

Alla luce della fallimentare esperienza del Memorandum di Budapest, l’Ucraina questa volta pretende garanzie reali, ben lontane dalla carta straccia di trent’anni fa.

(Max Kukurudziak)

Che cosa c’è nel nuovo decreto sull’immigrazione approvato dal Parlamento (pagellapolitica.it)

Immigrazione

Dalla lista dei Paesi sicuri all’emendamento “Musk”, il testo contiene misure di cui si è discusso molto nelle ultime settimane

Mercoledì 4 dicembre il Senato ha convertito ufficialmente in legge un nuovo decreto sull’immigrazione, ribattezzato “decreto Flussi”. Questo provvedimento, che era già stato approvato dalla Camera il 27 novembre, contiene misure che riguardano la gestione, appunto, dei flussi migratori. I decreti “Flussi” sono approvati ogni anno dal governo e stabiliscono il numero massimo di stranieri che possono entrare legalmente in Italia per motivi di lavoro, oltre alle modalità con cui questi lavoratori possono fare richiesta di permesso per lavorare e risiedere in Italia.

Il nuovo decreto “Flussi”, appena approvato dal Parlamento, contiene però alcune novità su cui si è discusso molto nelle ultime settimane.

In questo decreto, infatti, è confluita la lista dei 19 Paesi considerati “sicuri” dall’Italia, inserita a fine ottobre dal governo in un decreto-legge che aveva l’obiettivo di mantenere operativi i centri per i migranti costruiti in Albania.

Da quando sono stati aperti questi centri, in due occasioni alcuni migranti provenienti da Egitto e Bangladesh – due Paesi entrambi considerati “sicuri” dall’Italia – sono stati portati in Albania dopo essere stati salvati nel Mar Mediterraneo.

Ma in entrambe le occasioni il Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti nei centri, chiedendo alla Corte di giustizia dell’Unione europea di esprimersi sul nuovo decreto del governo.

L’emendamento “Musk”

Il decreto “Flussi” è stato modificato alla Camera con un emendamento, ribattezzato “emendamento Musk”, perché è stato presentato in seguito alle critiche fatte dall’imprenditore statunitense Elon Musk contro i giudici che non hanno convalidato il trattenimento dei migranti in Albania. Il nuovo decreto affida le decisioni sui trattenimenti dei richiedenti asilo alle Corti d’Appello, e non più alle sezioni dei tribunali specializzate in immigrazione.
La speranza del governo è che, in questo modo, possano cambiare i giudizi sulle richieste di trattenimento dei migranti dei centri. Secondo i partiti all’opposizione, invece, questa misura genererà ulteriori problemi: da un lato i magistrati delle Corti d’Appello potrebbero non avere le competenze adatte a giudicare le situazioni riguardanti le richieste d’asilo, dall’altro lato le nuove pratiche potrebbero rallentare ulteriormente i lavori delle Corti d’Appello.

Il nuovo decreto “Flussi” prevede poi che rimangano segreti i dettagli degli appalti per la fornitura di mezzi e i materiali ai Paesi terzi per il controllo delle frontiere, dei flussi migratori e delle attività di soccorso in mare. In altre parole, con questa nuova norma l’Italia potrebbe cedere a Paesi come la Libia o la Tunisia navi e motovedette per il controllo dei flussi marittimi senza doverlo rendere noto.

Sono state introdotte anche norme più stringenti per l’ingresso in Italia di lavoratori stranieri. Tra le altre cose, il testo prevede che i datori di lavoro e i lavoratori stranieri sottoscrivano il contratto di soggiorno entro otto giorni dall’ingresso in Italia del lavoratore.

Il contratto di soggiorno è il contratto di lavoro stipulato dai datori di lavoro e dai lavoratori migranti, e consente il rilascio del permesso di soggiorno per il cittadino straniero. Se quest’obbligo non viene rispettato, il datore di lavoro rischia di non poter fare per tre anni ulteriori richieste per l’ingresso di lavoratori stranieri.

Per contrastare il fenomeno del “caporalato”, il decreto prevede la concessione di un permesso di soggiorno speciale per i lavoratori stranieri vittime di sfruttamento sul lavoro. Questo permesso ha durata di sei mesi e può essere rinnovato per un altro anno al fine di garantire assistenza legale ed eventualmente sanitaria al lavoratore sfruttato.

Le reazioni

«Questo provvedimento, come altri voluti dal nostro governo e approvati dal Parlamento, vuole dare ordine a una materia molto complessa e dare risposte concrete per il controllo dell’immigrazione», ha detto il senatore della Lega Paolo Tosato durante le dichiarazioni di voto sul decreto, su cui il governo ha posto la questione di fiducia. Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri ha detto che il suo partito «ritiene validissimo questo provvedimento che riguarda sì la sicurezza ma riguarda anche l’accoglienza, gli ingressi, il lavoro».

Al contrario, come anticipato, il provvedimento è stato criticato dai partiti di opposizione: «Il principale effetto di questo decreto-legge sarà quello di aumentare il numero delle presenze irregolari, di alimentare lo sfruttamento, il lavoro nero e, al tempo stesso, di accrescere il rischio che coloro che verranno messi ai margini della società diventino preda della criminalità, altro che sicurezza», ha dichiarato il senatore del Partito Democratico Andrea Giorgis.

Prima del voto finale sul provvedimento, il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha definito i centri per i migranti in Albania «una delle più grandi buffonate che si potessero pensare».