Report Fondazione Migrantes, 122 milioni di persone costrette alla fuga (unita.it)

In Italia accoglienza iniqua

A fine 2024 saranno 130 mln nel mondo le persone bisognose di protezione.

Un numero in aumento a causa di conflitti che si allargano di anno in anno. 68 mln restano nel proprio paese, la maggior parte si sposta in paesi confinanti. Solo una piccola frazione inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa

AP Photo/Leo Correa – Associated Press/LaPresse(AP Photo/Leo Correa – Associated Press/LaPresse)

Pubblichiamo di seguito ampi stralci del Report 2024 della Fondazione Migrantes “Il diritto d’asilo”, presentato ieri a Roma, alla Pontificia Università Gregoriana.

L’8a edizione del Report che la Fondazione Migrantes dedica al mondo delle migrazioni forzate (Editrice TAU 2024, pp. 424, euro 20) anche quest’anno legge e interpreta dati, norme, politiche e storie, portando alla luce come nell’Unione europea e nel nostro Paese a essere sempre più a rischio sia il diritto d’asilo stesso. Le persone in fuga nel mondo hanno superato quota 120 milioni a causa di guerre e conflitti che si allargano di anno in anno, portando a un ulteriore incremento delle vittime, specie tra i civili.

In Medio Oriente la guerra tra Hamas e Israele si è estesa con il coinvolgimento della Cisgiordania, dell’Iran e del Libano. Le armi continuano a essere le uniche a parlare tra Ucraina e Russia, mentre anche situazioni estreme legate al cambiamento climatico contribuiscono a far crescere il numero delle persone costrette ad abbandonare la propria casa e la propria terra per un tempo sempre più lungo.

Non sono invece altrettanto celeri le nostre risposte alle cause profonde di queste migrazioni forzate, e troppo poche le autorità di governo e le istituzioni che, con serietà ed autorevolezza, intendono perseguire obiettivi di pace e giustizia, mentre prosegue una folle corsa agli armamenti.

Nel frattempo, poco prima della chiusura della scorsa legislatura europea è stato approvato il “nuovoPatto europeo sulla migrazione e l’asilo, un compromesso al ribasso in cui si assiste a un ulteriore impoverimento dei diritti di richiedenti asilo e rifugiati. […] L’obiettivo rimane quello di sempre: “Aiutare a costruire un sapere fondato rispetto a chi è in fuga e a chi arriva a chiedere protezione nel nostro continente e nel nostro Paese”, come scrivono nell’introduzione al Report le curatrici Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti, per “restare o ritornare ‘umani’ e capaci, finalmente, di creare condizioni reali perché le persone costrette a fuggire possano continuare a reclamare il loro diritto alla protezione senza essere ‘popoli in cammino… senza diritto d’asilo’, come siamo state costrette ad affermare nel sottotitolo di quest’anno”.

Quale pace per chi fugge?

Alla fine del 2023 il numero di persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni a livello mondiale ha superato i 117 milioni e saranno oltre 130 milioni, secondo l’Unhcr (Agenzia Onu per i rifugiati) le persone bisognose di protezione a fine 2024. Di queste, più di 68 milioni rimangono all’interno del proprio Paese, mentre i rimanenti passano il confine alla ricerca di protezione e sicurezza.

La maggior parte, circa il 69%, si sposta in Paesi confinanti e solo una piccola frazione inizia un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, che presenta una forte carenza di canali di ingresso legali e sicuri e, anzi, continua a rendere l’arrivo sempre più complesso e pericoloso per chi fugge.

Sono stati infatti poco più di 520mila gli ingressi irregolari in Europa tra il 2023 e i primi nove mesi del 2024, mentre sono state più di 1,5 milioni le richieste d’asilo presentate nello stesso periodo.

Il declino del diritto d’asilo in Europa

Il Report include un contributo sulla riforma del Sistema europeo comune di asilo (Ceas), focalizzato sul “nuovo” Patto migrazione e asilo. Nonostante la dichiarazione solenne sul diritto d’asilo come inviolabile, le recenti riforme limitano l’accesso a tale diritto.

In particolare, l’introduzione di procedure accelerate e di restrizioni per chi richiede asilo alle frontiere esterne dell’Ue accentua la detenzione in aree di transito e riduce l’efficacia del ricorso legale contro il respingimento. Inoltre, si introduce la finzione giuridica del “non ingresso”, che considera alcuni richiedenti asilo come non presenti sul territorio, permettendo l’adozione di misure restrittive e respingimenti immediati.

Una delle poche aperture positive riguarda invece il “reinsediamento umanitario”, che rimane però opzionale per gli Stati membri.

[…] Il protocollo Italia Albania

Il protocollo migratorio firmato il 6 novembre 2023 tra Italia e Albania mira a combattere l’immigrazione illegale attraverso la costruzione di centri di accoglienza e identificazione in Albania, finanziati dall’Italia. Questi centri hanno il compito di ospitare migranti soccorsi nel Mediterraneo per determinare la loro idoneità alla protezione internazionale o, in caso contrario, per il rimpatrio.

Presentato come una “soluzione innovativa”, l’accordo, che ha una chiara funzione deterrente, ha tuttavia sollevato dubbi tra i giuristi e le organizzazioni per i diritti umani: malgrado i significativi costi economici, il protocollo potrebbe risultare inefficace rispetto ai suoi stessi obiettivi e dannoso per i diritti fondamentali dei migranti, creando di fatto un sistema di “esternalizzazione” che isola i migranti dal territorio e dalla società italiana.

Minori stranieri non accompagnati (Msna)

Nonostante il divieto di trattenimento per i Msna previsto dalla legge italiana, molti minori sono trattenuti in centri inadeguati, quali hotspot e centri governativi di accoglienza, spesso in condizioni critiche e promiscue con adulti.

Questi centri non garantiscono un’adeguata tutela legale, né la possibilità di chiedere asilo o permessi di soggiorno, lasciando i minori in uno stato di isolamento e incertezza. La recente legge 176/2023 ha legalizzato il collocamento dei Msna sopra i 16 anni in strutture per adulti, una misura che contrasta con il superiore interesse del minore sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia.

Le ripetute violazioni dei diritti fondamentali sono state confermate da sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), che ha condannato l’Italia per trattamenti inumani e degradanti nei confronti di minori collocati proprio in strutture per adulti. Nonostante le condanne, tuttavia, le prassi non sono state modificate e la gestione emergenziale continua a prevalere.

Il (nuovo) volto del sistema di accoglienza in Italia

Il sistema di accoglienza italiano per richiedenti asilo e titolari di protezione ha subìto trasformazioni profonde e restrittive, soprattutto a seguito delle recenti riforme legislative.

Il Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), originariamente concepito per offrire un’integrazione duratura, è stato relegato a un ruolo marginale, accessibile solo a specifiche categorie di beneficiari e subordinato alla volontaria adesione dei Comuni. Le riforme hanno introdotto i Cas (Centri di accoglienza straordinaria) e i Casp (Centri di accoglienza provvisori), strutture temporanee con standard minimi che soddisfano esclusivamente le necessità di base.

Con l’entrata in vigore del DL 124/2023, il ministero della Difesa è stato incaricato della realizzazione di hotspot e Cpr (Centri di permanenza per il rimpatrio), consolidando una politica di gestione emergenziale e securitaria che limita l’inclusione sociale dei migranti.

Il quadro attuale è quello di un sistema frammentato e disorganizzato, in cui l’accesso alle misure di accoglienza è soggetto a disparità territoriali e a criteri di disponibilità piuttosto che di equità.

La mancanza di servizi essenziali come l’assistenza psicologica, i corsi di lingua e l’orientamento legale pregiudica l’integrazione e accresce paradossalmente la dipendenza dalle misure di accoglienza, ostacolando l’autonomia.

Inoltre, il sistema attuale tende a isolare i migranti in grandi centri collettivi lontani dai centri urbani, penalizzando le occasioni di scambio e arricchimento reciproco con la società ospitante. Le prospettive future richiederebbero una pianificazione territoriale equilibrata e il ripristino di un’accoglienza diffusa e integrata, unica via per rispondere ai bisogni delle persone e ridurre i costi di una continua gestione emergenziale.

Come è cambiata l’accoglienza con i decreti del 2023

Dopo l’entrata in vigore della legge n.50/2023, la rete di società civile del Forum per cambiare l’ordine delle cose ha condotto un monitoraggio in diversi territori su quattro macro tematiche: le procedure accelerate in zone di frontiera o transito; i tempi e le prassi di convocazione per le audizioni e i tempi di decisione delle Commissioni territoriali; i criteri di riconoscimento della protezione speciale fondata sul rispetto dell’articolo 8 Cedu; i tempi e le prassi nei casi di rinnovo e conversione della protezione speciale. Il monitoraggio ha rilevato in varie Questure una serie di pratiche di esclusione e di cattiva informazione, con circolari che hanno indotto in errore migliaia di persone già in possesso del permesso di soggiorno per protezione speciale che avrebbero voluto rinnovarlo o convertirlo, oppure con ritardi nella concessione degli appuntamenti, con gravi ripercussioni sulla possibilità di svolgere un’attività lavorativa regolare e con conseguenze che si sono estese ai familiari degli interessati.

Decisioni dei giudici e dubbi di costituzionalità

Le norme adottate dal legislatore italiano nel 2023 (quattro decreti legge con altrettante leggi di conversione) in materia di protezione internazionale hanno suscitato molti dubbi di costituzionalità negli operatori legali e negli studiosi della materia. Ad oggi, tuttavia, non sono state sollevate questioni di legittimità costituzionale perché i giudici di merito sono sempre intervenuti garantendo una lettura costituzionalmente orientata della nuova disciplina.

Due temi, in particolare, hanno suscitato accesi dibattiti nell’opinione pubblica, mentre la giurisprudenza assumeva su di essi posizioni rigorose nel rispetto dei principi costituzionali, comunitari e costituzionali.Il primo tema riguarda gli obblighi di soccorso in mare, il cui esercizio è messo a dura prova dalle disposizioni contenute nel DL 1/2023 che mirano a sanzionare l’operato delle navi soccorritrici per violazioni che non corrispondono ad alcuna previsione del diritto internazionale marittimo.

Il secondo tema, invece, riguarda la nuova tipologia di procedura accelerata di frontiera introdotta dal DL 20/2023, operante nei confronti dei richiedenti asilo provenienti da Paesi di origine considerati sicuri e accompagnata da una misura restrittiva della libertà personale, il “trattenimento”.

Le Destre delle libertà e la simpatia per gli autocrati (corriere.it)

di Francesco Battistini e Milena Gabanelli

«I progressisti? Comunisti che limitano le scelte 
individuali» però non disdegnano Putin e Xi Jinping 
che vietano tutto

Quando i leader della destra usano la parola «libertà», e la usano spesso per dire che viene minacciata, la contrappongono alla parola «comunisti». Ma di quali libertà parlano? E a quale comunismo si riferiscono?

Negli Stati Uniti Donald Trump ha ripetuto per mesi che la sua elezione «non era una scelta fra democratici e repubblicani, ma una scelta fra comunismo e libertà».

E il presidente argentino Javier Milei ha salutato così la vittoria del nuovo presidente americano: «Oggi uno spettro diverso s’aggira per il mondo: lo spettro della libertà, per mettere fine al modello di servitù che regna nel mondo libero».

Nel resto d’Europa non va diversamente. Per il leader ungherese Viktor Orbán, che pure strizza l’occhio alla Russia rifondata da un ex del Kgb come Vladimir Putin, «i progressisti non sono altro che comunisti con un diploma». Anche in Italia, da trent’anni, il berlusconismo definisce la sinistra italiana «comunista», nonostante il Pci si sia dissolto nel 1991.

Giorgia Meloni dice che «è incredibile come la visione comunista si sia rafforzata da quando il comunismo è stato sconfitto». E l’ex comunista padano Matteo Salvini considera i suoi contestatori «zecche rosse, comunisti», senza ricordare che il Pci ha provato a governare solo insieme alla Dc nel famoso compromesso storico, e senza riuscirci, quand’era un partito ormai ben lontano da Mosca.

Non importa andare troppo per il sottile, l’etichetta di comunista si porta un po’ con tutto. «Uccideremo i comunisti del cambiamento climatico» promette Herbert Kickl, leader dell’ultradestra austriaca, ritenendo comunista ogni liberale o centrista che dia retta ai rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), a cui partecipano gli scienziati di 195 Paesi membri.

Attenti ai comunisti, allora. In Europa, degli oltre 40 partiti esistenti, nessuno è al governo. In molti casi non sono neppure rappresentati nei Parlamenti, o sono minuscoli e irrilevanti come in Italia, e nemmeno s’ispirano al marxismo leninismo.

Perché allora si continua ad agitare il pericolo comunista? Il termine «comunista» in realtà è usato dalle destre per indicare quei governi progressisti e di sinistra che ucciderebbero le libertà individuali. «Voi in Italia e noi in Francia siamo impegnati nella stessa lotta — ha detto Marine Le Pen a Pontida, il 17 settembre scorso —. La lotta per le libertà, per la patria: io so quanto ci teniate alle vostre libertà». E il sovranista olandese Wilders: «È necessario tutelare la libertà di coloro che dicono la verità e sono odiati per questo».

In agosto, dopo l’arresto in Francia di Pavel Durov, il creatore del social Telegram (utilizzato anche per attività criminali), Salvini ha avvertito che «in Europa siamo ormai alla censura, alla puzza di regime. Chi sarà il prossimo a essere imbavagliato? Il grande Elon Musk?».

Anche il leader spagnolo di Vox, Santiago Abascal, è convinto che la vittoria sulla «tirannia» delle sinistre passi per «la difesa dei diritti di Musk», ignorando quanto sia improbabile negarli a uno che è il principale consigliere della Casa Bianca, è proprietario di X, di satelliti militari e civili, e del più grande patrimonio finanziario mondiale. «Forze oscure vogliono togliervi la libertà», ha avvertito Donald Trump in un comizio a Butler, il 20 ottobre: «E io sono l’unico ostacolo».

Le libertà invocate

Potersi esprimere contro idee considerate dominanti come il Green Deal, il cambiamento climatico, l’Europa, la cultura woke

Dunque quali sono le libertà invocate dalle destre? Quelle di potersi esprimere contro idee considerate dominanti come il Green Deal, il cambiamento climatico, l’Europa, la cultura woke, il politicamente corretto. Libertà di espressione che però nessuno nega, e nessun organismo giuridico in Occidente ha mai segnalato restrizioni al diritto d’esprimersi su questi temi.

Lo stesso Musk possiede la piattaforma con 368 milioni di utenti, dove proliferano le fake news, dove s’insulta la Commissione europea, dove si chiede il licenziamento dei nostri giudici quando applicano la legge sui migranti. Nessuno s’è mai sognato di censurare il generale Vannacci, con il suo best seller contro il «pensiero mainstream».

Quella agitata dalle destre è la libertà di non pagare le tasse che non piacciono, come se un singolo cittadino potesse scegliere; d’avere un’istruzione cristiana, come se l’ora di religione a scuola fosse vietata; di negare le misure di contrasto al riscaldamento globale. Anzi. In tutta Europa, dall’Olanda alla Polonia, le destre hanno portato le rivolte dei trattori in Parlamento con gli striscioni contro le politiche ambientali della Ue.

Anche se in realtà i contadini protestavano contro il rialzo dei prezzi del gasolio, gli accordi commerciali con il Sudamerica (Ue-Mercosur) e lo strozzinaggio della grande distribuzione, poiché le politiche della Pac (Politica agricola comune) erano state già state riviste nelle sedi competenti. Lo scorso maggio Giorgia Meloni ha detto: «In questi anni, l’Europa ha messo in atto una limitazione della libertà degli Stati nazionali da cui si deve tornare indietro».

È il caso di ricordare che l’Italia è un Paese fondatore dell’Unione e che a Bruxelles ogni decisione viene adottata solo con l’approvazione all’unanimità, o a maggioranza, dei Paesi membri. Bernard Carr, nominato da Trump presidente della Commissione federale per le comunicazioni, sostiene che «dobbiamo ripristinare il diritto degli americani alla libertà di parola», nel Paese che l’ha inserita nel Primo Emendamento della sua Costituzione.

È curioso che il modello di ispirazione venga proprio da regimi liberticidi. Marine Le Pen, il leader di Vox Abascal, Matteo Salvini e Giorgia Meloni simpatizzano per l’Ungheria di Orbán. Nella risoluzione del Parlamento Ue contro il leader ungherese per violazione dello stato di diritto, la Lega e FdI hanno votato contro.

Eppure nell’Ungheria di Orbán il concetto di libertà è variabile: la Costituzione vieta i matrimoni fra persone dello stesso sesso; le minoranze, come i rom, devono frequentare scuole separate; l’Authority dei media, nominata dal premier, di fatto controlla l’informazione; i giudici ungheresi dipendono dal governo, che ne decide le carriere.

Matteo Salvini ha sempre detto di voler «cedere due Mattarella in cambio di mezzo Putin». Il partito Rassemblement National di Marine Le Pen, fra i primi a riconoscere l’invasione di Putin in Crimea, ha ricevuto 9 milioni di euro da banche di Mosca per finanziare le sue campagne elettorali.

Lo stesso Trump guarda alla Russia di Putin: un Paese dove chi critica l’invasione dell’Ucraina rischia fino a 15 anni di carcere, che considera spie tutte le ong internazionali e indipendenti, che blocca gli accessi a siti internet senza l’obbligo di fornire spiegazioni, che ha chiuso definitivamente giornali scomodi come la Novaja Gazeta di Anna Politkovskaja, assassinata nel 2006, e sopprime fisicamente gli avversari politici.

Simpatizza per Putin anche Orbán, che al tempo stesso ammira la Cina dell’«amico di lunga data» Xi Jinping e il suo stato di polizia. In Cina la legge sulla sicurezza nazionale (2015) vieta la libertà d’espressione, associazione e riunione; la legge sulla sicurezza dei dati (2021) dà al partito unico l’accesso illimitato a qualsiasi informazione dei cittadini; la legge sulla cybersicurezza (2016) impone una sorveglianza video e digitale completa; la legge sulle Ong straniere (2016) proibisce la difesa dei diritti umani, e nel Paese continua la persecuzione delle minoranze.

«Abbiamo filosofie simili ed entrambi stimiamo l’indipendenza e l’agire di propria iniziativa», ha detto cinque mesi fa il leader ungherese al presidente cinese. Un bel complimento all’unico, grande Paese comunista del mondo.