Con la scusa del climate change l’Africa viene di nuovo spogliata (italiaoggi.it)

di Luigi Chiarello

La Liberia ha ceduto il 10% della superficie, lo 
Zimbabwe il 20

Mentre il mondo legge i fondi del caffè siriano per capire i contraccolpi del cambio di regime nell’area, una partita silente e devastante si gioca in Africa.

Si tratta di un business che miscela ipocrisia, finto ambientalismo, appetiti economici, neocolonialismo. E fa leva su uno dei marchingegni più avanzati di contrasto al climate change: il trading dei crediti di carbonio.

Quando questo mercato è volontario genera un giro d’affari i cui vantaggi cadono a cascata su imprese e agricoltori; Citigroup ha stimato che, nel 2022, il Voluntary carbon market cubava valore per 2 mld di dollari e che, nel 2030, il trading può raggiungere i 50 mld, spinto dalla rilevanza che il target emissioni zero sta assumendo nelle strategie aziendali.

Ma dietro questo volto “pulito” si cela un incubo: la corsa ai crediti di carbonio innesca land grabbing (accaparramento delle terre) nel continente africano. Solo che il tema scotta, chiama in causa gli accordi Onu e le narrazioni green. Così non se ne parla. E il rischio vero è che si chiuda la stalla quando i buoi sono fuggiti.

A denunciare il tutto non è un golpista con le stellette, ma Akinwumi Adesina, presidente della Banca africana di sviluppo (AfDB), già ministro dell’agricoltura della Nigeria. Stiamo parlando del più accreditato istituto creditizio del continente, motore del Piano Mattei, così credibile che Palazzo Chigi ha previsto un aumento della partecipazione di Bankitalia al suo capitale per 205.130 nuove azioni (ddl varato in Cdm e raccontato ieri da ItaliaOggi).

AfDB difende la creazione dei mercati del carbonio in Africa, ma non chiude gli occhi sulla delocalizzazione a basso costo dei progetti di compensazione nel continente. Molti piani sono già diventati contratti di concessione. I più mirabolanti?

Quelli annunciati a fine 2023 dalla società emiratina Blue Carbon LLC: un mln di ettari in Liberia (10% della superficie del paese), otto mln in Zambia (10%), 7,5 mln in Zimbabwe (20%). Adesina ha denunciato: «Diversi paesi stanno rinunciando a intere parti del loro territorio per crediti di carbonio venduti a un prezzo inferiore al loro valore. Con essi, rinunciano alla sovranità e alla possibilità di utilizzarli per i loro obiettivi climatici. Questo è carbon grab!»

Poi è scesa la sordina. L’Africa, dunque, è agli albori di un nuovo ciclo di land grabbing, non per assicurarsi cibo come avvenne nella prima decade del 2.000, ma per produrre crediti di carbonio al posto dei paesi più inquinanti.

A fronte di ciò, c’è il piano Mattei, nel cui alveo rientra l’azione di BF. All’ultimo summit Coldiretti, l’ad, Federico Vecchioni, ha detto: «In Africa ci siamo associati senza far trading di commodity, senza comprar terra e fare land grabbing, ma creando alleanze con poli tecnologici e una popolazione agricola diffusa. Relegare gli agricoltori alla subalternità toglie l’orgoglio».

Amen.