Diluvio di missili sull’Ucraina, colpiti gli impianti energetici. Nelle città gelo e black-out (lastampa.it)

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di Anna Zafesova

Quasi cento missili e duecento droni: 
dopo due settimane in cui gli attacchi russi si erano fatti relativamente meno frequenti e pesanti, Mosca ha deciso di tornare a colpire le città dell’Ucraina, con numeri da record.
«Si è trattato di uno degli attacchi più vasti contro il nostro sistema energetico», ha commentato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha anche dichiarato che almeno uno dei 94 missili lanciati dai russi era il razzo nordcoreano KN-23.
A venire presi di mira sono stati soprattutto impianti di produzione e distribuzione dell’energia elettrica e del riscaldamento, e già ieri in tutta l’Ucraina erano partiti black-out emergenziali per risparmiare elettricità.
Diverse zone di Odessa sono rimaste al buio, ma gli attacchi più intensi si sono concentrati stavolta soprattutto nelle regioni occidentali del Paese: la regione dei Carpazi ha subito il bombardamento più intenso dall’inizio dell’invasione russa, e ci sono stati missili a Ternopil e Leopoli.
Le difese ucraine sono riuscite a intercettare 81 missili russi, di cui 11 sono stati abbattuti dai caccia F-16 forniti dai Paesi occidentali. Ma i missili e i droni rimasti sono riusciti comunque a infliggere un danno ingente, proprio mentre l’Ucraina sta per venire colpita da un’ondata di freddo che potrebbe far scendere le temperature fino a meno 10 gradi.
Un attacco che aveva dunque l’evidente obiettivo di piegare gli ucraini condannandoli a un inverno al freddo e al buio, e che potrebbe venire interpretato anche come la risposta di Vladimir Putin alle diverse ipotesi di negoziato per fermare la guerra, che sono state fatte circolare nelle ultime settimane sia dall’entourage di Donald Trump che da vari esponenti europei, e anche dal governo di Kyiv.
L’incontro di Zelensky con il presidente eletto degli Usa a Parigi, patrocinato da Emmanuel Macron, la missione del capo della sua amministrazione Andriy Yermak a Washington, l’insediamento della nuova leadership dell’Unione Europea e il dibattito sull’invio di eventuali peacekeeper europei: è evidente che la partita diplomatica internazionale sia in pieno svolgimento, e il diradamento delle piogge di missili sulle città ucraine avrebbe potuto venire letto come un segnale di distensione.
Gli analisti militari russi e ucraini però non l’hanno interpretato così: il sito russo Agentstvo sostiene, basandosi sui dati dello Stato Maggiore di Mosca, che gli attacchi con le bombe pilotate contro l’Ucraina si sono più che dimezzati a novembre, ma vede la causa nell’autorizzazione di Joe Biden a usare i missili made in Usa contro il territorio russo, che ha costretto i bombardieri di Mosca ad arretrare dalla linea del fronte. Secondo altri osservatori militari, i russi sarebbero stati semplicemente messi in difficoltà dalle condizioni meteorologiche.
La scelta di Mosca quindi, in attesa dell’insediamento di Trump, è quella di alzare la posta e mostrare di non voler arretrare. Yermak di ritorno da Washington aveva sostenuto che un «piano Trump sull’Ucraina non esiste ancora, ci sono diverse proposte e ipotesi», e nel mese che rimane all’insediamento della nuova amministrazione tutte le parti devono dare mostra del proprio potenziale (e occultare le debolezze).
Un funzionario americano ha rivelato a condizioni di anonimato al Financial Times che l’intelligence Usa sta aspettando un nuovo lancio dell’Oreshnik, il missile balistico a testate multiple che Putin ha presentato come un’arma in grado di «ridurre in polvere» una città intera.
Da qualche giorno però, sia il presidente russo che il suo missile sembrano spariti dai teleschermi russi. In una pausa molto singolare, Putin ha deciso di non dichiarare nulla sulla caduta di Bashar al-Assad, e anche i suoi fedelissimi si sono astenuti dal commentare il collasso del regime siriano che Mosca aveva tenuto in piedi per quasi dieci anni.
Il ritorno dei bombardamenti massicci dell’Ucraina potrebbe essere letto infatti anche come un tentativo del dittatore russo di ricordare al mondo la sua potenza militare, dopo una sconfitta bruciante sullo scacchiere mediorientale.