Che capolavoro! Quei pm hanno legittimato la retorica dei porti chiusi (ildubbio.news)

di Davide Varì

Salvini non è più l’uomo che fermò la Open Arms, 
da oggi è l’uomo che un tribunale ha certificato 
come difensore dei confini

Sognavano di farlo uscire da quell’Aula in ceppi, Salvini.

La procura di Palermo aveva imbastito l’inchiesta con la solennità delle grandi occasioni: l’ex ministro dell’Interno era l’imputato perfetto, il bersaglio politico ideale. Il messaggio era chiaro: fermare l’immigrazione non è un’opzione politica, è un reato. Ma la sentenza ha stabilito il contrario e ora Salvini festeggia con un brindisi sotto la bandiera che più gli piace: “Difendere i confini non è reato”.

Già, l’eterogenesi dei fini, una vecchia storia che si ripete. Chi voleva demolire la politica dei porti chiusi l’ha resa legittima. Salvini non è più l’uomo che fermò la Open Arms; da oggi è l’uomo che un tribunale ha certificato come difensore dei confini. L’accusa di sequestro di persona, così pensata, così costruita, è diventata un boomerang.

E non c’è un solo centimetro quadrato della procura che non lo sapesse già: un processo contro un politico si trasforma sempre in un referendum. E questa volta l’hanno perso.

Ma sia chiaro: i giudici del tribunale di Palermo non hanno fatto politica. Hanno applicato la legge, hanno guardato i fatti e stabilito che no, negare lo sbarco a una nave non è un reato. Punto. Il problema sta altrove, sta nell’inchiesta.

Perché quell’inchiesta non aveva lo scopo di accertare un reato: aveva lo scopo di azzoppare una politica, di fermarla per via giudiziaria, visto che quella politica, giusta o sbagliata, aveva trovato consenso. Ma non si ferma la politica con un avviso di garanzia, e tanto meno con un processo. Neanche la peggiore. Quando lo capiranno?

Il risultato? Salvini è vivo, vegeto e gongolante. Meloni gli ha già regalato il ritornello perfetto: “Difendere i confini non è reato”. Lo ripeteranno fino alla nausea, nei comizi, in televisione, in Parlamento. È una vittoria senza nemmeno dover combattere: la procura ha fatto tutto da sola, ha consegnato a Salvini la legittimazione politica che non riusciva più a guadagnarsi da sé.

Perché la politica dei porti chiusi, che fino a ieri era contestata e divisiva, oggi è certificata da una sentenza.

Lettera a Trump sull’addio all’ora più buia o forse l’altra (e sull’ignoranza americana) (linkiesta.it)

di

L’avvelenata

L’asino in chief

Pare che Donald non abbia idea di quando l’ora è legale e di quando è solare, quindi non si sa quale delle due voglia abolire. Il che è normale per il presidente d’un Paese che non sa leggere lo stampatello

Caro Donald,

ti scrivo con un certo sollievo dopo che, per due giorni, ho pensato di dichiararti guerra. Sì lo so: tu non sapevi delle mie intenzioni bellicose e quindi non ti risulta dovessi perdonarti – ho fatto tutto da sola, sapessi quanto spesso succede nella mia vita.

È accaduto infatti che venerdì sera tu abbia scritto su Twitter, o come vogliamo chiamare il giocattolone di Elon Musk, queste spaventose tre righe: «Il partito repubblicano impiegherà le proprie forze per eliminare l’ora legale, che ha una piccola ma agguerrita corrente di difensori, che però non dovrebbero essere tali! L’ora legale è scomoda, e molto costosa per la nostra nazione».

Ora, non ripeto qui tutta la manfrina che minimo scrivo due volte l’anno e i lettori quindi già sanno a memoria: il mio lutto a ogni arrivo di ora solare, il mio rimandare ogni impegno da ottobre (quando si smette di vivere) a marzo, la mestizia di giornate con tre quarti d’ora di luce o giù di lì, i cretini che due volte l’anno mi scrivono che loro lavorano presto al mattino (mica come me sfaccendata) e non vogliono uscire al buio – eccetera.

Ma insomma, per due giorni ho pensato che ti avrei detto che io ti avevo sempre difeso, che avevo superato le correnti gravitazionali e l’assalto al Campidoglio, la candeggina e i balletti sconnessi, l’impresentabilità sociale e la moglie che vive lì da cent’anni e parla come una sbarcata a Ellis Island l’altroieri – io ti avevo sempre difeso, ma questa dell’ora legale non te l’avrei perdonata.

Poi ho capito che era stato tutto un equivoco. L’ho capito grazie a Joyce Carol Oates, nota a noi stronzi con la definizione di Gore Vidal («Le tre parole più meste della lingua inglese sono Joyce Carol Oates»), a Joyce Carol Oates che ha ottantasei anni e di recente è stata a Milano.

Una sua ammiratrice, una signora ottantunenne, le ha consegnato una lettera. Era una breve lettera in cui le diceva che nel 1988, quarantacinquenne, lesse “Sulla boxe” e restò incantata dalla capacità della Oates di catturare l’essenza delle persone (chissà se la signora ha mai letto Gore Vidal).

Sabato Oates pubblica la foto della lettera su Twitter (possiamo stabilire che lo chiamiamo Twitter?); la signora, essendo d’altri tempi ma moderna, in fondo al foglio aveva apposto il proprio indirizzo email ma anche quello di casa, che insomma non è proprio bellissimo vedersi pubblicato sull’internet, un posto dove ci sono più psicopatici che nel “Nido del cuculo”.

Perché la Oates l’ha pubblicato, posto che non è certo per fare quella che ostenta l’avere dei fan, come ipotizzano alcuni nelle risposte (mica è un’ospite di talk-show, suvvia)?

Perché non riesce a capire cosa ci sia scritto e vuole che l’internet glielo decifri. Non capisce la grafia. La grafia d’una lettera scritta in stampatello (adesso arrivano quelli che chiamano le scuole elementari «primarie» e mi spiegano le fondamentali differenze tra stampatello corsivo, stampatello maiuscolo, stampatello minuscolo, nella sempiterna illusione che anche per me, come per loro, la priorità sia non farmi dire «boomer» dai bambini, invece che usare una lingua condivisa con gli adulti).

Se Joyce Carol Oates fosse nata nel 1992, non mi preoccuperei: l’incapacità di leggere è parte del declino scolastico, è il portato d’un mondo in cui nessuno scrive più niente a penna, è tutto quel che io e la sua ammiratrice sappiamo (e infatti scriviamo in stampatello e non in corsivo: giacché il corsivo non solo non lo capisce più nessuno, ma scriviamo a mano ormai così di rado che, non so la signora, ma io non so proprio più scriverlo).

Ma Joyce Carol Oates è cresciuta in anni in cui si scriveva quasi solo a penna, com’è possibile che non sappia leggere la chiarissima scrittura della signora? L’ho scoperto leggendo gli americani nelle risposte.

Tipo: «Il nome sembra Cousabella o Corabella, ma visto come scrive potrebbe essere Donatella». Tipo «agli italiani insegnano a scrivere diversamente».

Forse la leggenda delle migliori elementari del mondo non era una leggenda: è un superlativo relativo, e se agli americani non riescono a insegnare a leggere lo stampatello, effettivamente le nostre elementari sono migliori.

Naturalmente i commenti autoassolutori spiegano che loro a scuola imparano le lettere con una grafia leggermente diversa, ma voi avete mai visto un intellettuale italiano (ma pure un barista italiano, un tassista italiano, un farmacista italiano) sostenere che d’una cosa scritta a mano da un anglofono non capisce le lettere? Io no, e se accadesse chiederei che a quell’intellettuale o a quel tassista fossero ritirati lo Strega o la patente.

Nel mio commento preferito, viene linkato un file della versione in inglese di Wikipedia, in cui si riproducono le lettere dell’“handwriting Italian”, cioè quelle che a sei anni vedevamo sul libro di testo, il che non è di grande utilità visto che esse sono appunto in corsivo, ma evidentemente risponde a un bisogno: gli americani sono un popolo di ritardati che non sa leggere né il corsivo né lo stampatello, e hanno i missili nucleari. Cosa potrà mai andar storto.

Questa imbarazzante vicenda, caro Donald, mi permette però di capire che ha ragione il giornalista del New York Times che aveva riportato il tuo tweet dicendo che probabilmente intendevi dire che l’ora legale diverrà permanente, non che verrà abolita. Mi fido delle sue verifiche (anche perché figuriamoci se ne faccio di mie, a metà dicembre, quando ci sono tre quarti d’ora di luce sì e no e quindi le mie giornate lavorative sono di mezz’ora), secondo cui nel 2019 avevi postato che per te l’ora legale permanente andava benissimo.

Mi fido delle sue verifiche che implicano che tu non abbia la più pallida idea di quando l’ora è legale e quando è solare, il che è credibilissimo per il presidente d’un paese di analfabeti. Rendi permanente quella di cui non sai il nome ma che non è quella di adesso.

Rendi permanente l’ora primaverile (forse così è più facile), così poi noi scemi provinciali ti emuliamo e ne ricaviamo un qualche vantaggio: dopo Starbucks, l’ora legale permanente (speriamo di copiarla meglio degli Starbucks, che da noi sotto Natale non fanno lo zabaione e vorrei proprio sapere a cosa servono).

Quando il tuo paese di drammatici analfabeti senza congedo di maternità retribuito, senza scuri alle finestre, senza elaborazione del conflitto di classe, senza gusto per l’arredamento, senza assorbenti che funzionino (il vero grande dramma statunitense: non capisco perché non se ne parli più spesso), quando combinerete qualche casino portando l’umanità all’estinzione, io non voglio, se accadrà d’estate, avere il problema d’essermi svegliata alle quattro del mattino perché c’è l’ora solare e arriva la luce troppo presto.

Che l’olocausto nucleare venga in un autunno in cui, grazie all’ora legale permanente, almeno fa buio dopo le quattro di pomeriggio.