25 anni da zar (lastampa.it)
Se la Storia si potesse riavvolgere come un film,
sarebbe avvincente tornare nel 31 dicembre 1999 – il giorno in cui i preparativi dei russi al cenone di Capodanno sono stati sconvolti dalla notizia che Boris Eltsin si era dimesso per cedere la poltrona a Vladimir Putin – e proiettare un filmato qualsiasi, a scelta, delle esternazioni del presidente russo degli ultimi mesi.
Probabilmente sarebbe stato uno choc: innanzitutto vedere che l’uomo che il mondo aveva appena iniziato a conoscere come astro nascente del Cremlino sarebbe rimasto, un quarto di secolo dopo, ancora sulla sua poltrona, intenzionato a non lasciarla mai più.
E poi, ascoltare quello che dice, quello che promette, quello di cui si vanta: il missile Oreshnik, per esempio, il suo nuovo gioco preferito, di cui decanta le potenzialità a ogni occasione, proponendo di lanciarlo su Kyiv per dimostrare che le difese antiaeree occidentali non riusciranno a intercettarlo.
C’è un abisso tra la Russia che nella notte di Capodanno ascoltava, in un misto di sollievo e stupore, il suo neopresidente, e quella di oggi. La promessa di garantire la «libertà di parola, di coscienza e dei media» oggi suonerebbe quasi come una presa in giro, l’auspicio di «democrazia e riforme» appartiene a un vocabolario politico mandato al macero.
Il Putin esordiente sembrava a molti un leader prudente e razionale, applaudito per le sue riforme economiche e istituzionali, e trattato come un partner da molti colleghi internazionali. E per quanto era apparso evidente che il nuovo, all’epoca appena 47enne, presidente della Russia fosse sensibile alla retorica nazionalista e alla nostalgia sovietica, sembrava impossibile immaginarselo dopo 25 anni come un dittatore ossessionato dai missili, che sta efficacemente isolando il suo Paese dal resto del mondo in una paranoia militarista.
Putin beneficia sempre dalle guerre, e la guerra rimane il suo modo preferito di risolvere i problemi e affrontare gli avversari. Ci fu l’arresto degli oligarchi ribelli, con il processo a Mikhail Khodorkovsky che nel 2003 aveva segnato una rivoluzione che molti scambiarono per l’inizio di una lotta alla corruzione. In quell’occasione vennero brevettati due tratti tipici di quello che nessuno ancora chiamava “putinismo”: una giustizia che non voleva nemmeno fingersi uguale per tutti, e l’affidamento dei pezzi più gustosi dell’economia nazionale agli amici del presidente.
Fu così che nacque il termine di “Kremlin Corporation”, e non è un caso che i dissidenti che avevano indagato la corruzione al Cremlino, come Boris Nemtsov e Alexey Navalny, sono stati uccisi.
È stata una discesa lenta verso l’abisso, sotto gli occhi di un Occidente che a volte quasi stentava a credere in quello che vedeva, come durante la guerra-lampo dell’agosto del 2008 contro la Georgia, che aveva segnato il ritorno ufficiale delle ambizioni imperiali russe nello spazio post-sovietico. A molti era sembrato un incidente di percorso, in una Russia che almeno nelle sue grandi città sembrava avviarsi a una modernizzazione che da economica, tecnologica e logistica doveva diventare inevitabilmente anche politica.
Quando nell’inverno 2011, in piazza Bolotnaya, scoppiarono le proteste contro i brogli elettorali, Putin aveva reso definitivamente regola un altro tratto del suo metodo: non abbassarsi mai al negoziato con chi sfida lo zar, non concedere nulla a chi contesta, perché il potere non si divide con nessuno, e il dialogo equivale a debolezza.
L’invasione dell’Ucraina, iniziata con l’annessione della Crimea nel 2014, e proseguita con la guerra totale nel 2022, a quel punto erano forse quasi inevitabilmente iscritte nella logica di un leader che si comportava come un monarca. La Storia ovviamente non ha il condizionale, ed è vano interrogarsi su quanto il timido Putin degli esordi stesse già covando l’odio per gli ucraini e la convinzione che i problemi si risolvano meglio con le bombe.
Quello che sappiamo con certezza è che mai, in questo percorso di un quarto di secolo, il dittatore russo è rimasto solo: è stata la sua promessa di «ammazzare i terroristi ceceni nel cesso» a farlo assurgere da funzionario semisconosciuto a idolo delle folle, ed è stata l’annessione della Crimea in nome della restaurazione dell’impero a portarlo al massimo dei consensi nei sondaggi.
Una delle chiavi del successo di Putin è sempre stata quella di essere parte del suo popolo, con la stessa confusione ideologica che mischia la nostalgia per Stalin e per gli zar, con lo stesso orgoglio nazionalista alimentato da un profondo risentimento verso l’Europa, sognata quanto incomprensibile, con la spregiudicatezza verso le regole caratteristica degli orfani delle dittature. Sentimenti che Putin ha alimentato, e di cui si è alimentato.
Avrebbe potuto entrare nella storia come modernizzatore della Russia postcomunista, e invece lascerà, un giorno, un Paese molto più lontano dall’Europa di quello che aveva raccolto, 25 anni fa.
Scarti umani – Capezzone / Mastromattei / Osmetti / Paoli / Rubini / Sanvito / Sechi 04.01.25 (diario.world)
A Milano “non siamo invasi” dagli immigrati: i dati che smentiscono l’allarmismo (milanotoday.it)
di Marianna Gulli
L'immigrazione è prevalentemente femminile, per circa la metà europea e viene proviene per tre quinti da paesi di tradizione culturale cristiana
Sono circa un milione e 200mila gli stranieri residenti in tutta la Lombardia, il 22% del totale nazionale.
Solo a Milano ce ne sono 492mila. Così il capoluogo lombardo si conferma la seconda provincia italiana, dopo Roma, per numero di stranieri residenti. Il 36% del totale lombardo proviene da paesi europei, al primo posto c’è la comunità rumena, seguita da quella egiziana, marocchina, albanese e cinese.
A snocciolare i dati è il Centro studi e ricerche Idos in collaborazione con il Centro studi e confronti e l’Istituto Pio di studi politici San Pio V nel ‘Dossier statistico sull’immigrazione 2024’, presentato oggi – 29 ottobre – presso la sede di Emergency in via Santa Valeria a Milano.
La realtà dei dati
I dati “smentiscono la retorica di un’immigrazione fuori controllo e soprattutto della prevalenza di immigrati maschi e musulmani – afferma Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni alla Statale -. L’immigrazione in Italia è sostanzialmente stazionaria da una dozzina d’anni a questa parte. Siamo intorno ai 5,3 milioni di immigrati regolari più mezzo milione di immigrati irregolari stimati”.
Ambrosini spiega che l’immigrazione è prevalentemente femminile, per la metà europea e viene proviene per circa tre quinti da paesi di tradizione culturale cristiana. “Rifugiati e richiedenti asilo, che sono l’oggetto dello scontro ideologico sono circa 450mila, cioè meno di un decimo del totale e 50mila sono ucraini, che sono tenuti fuori dal dibattito”, prosegue il professore.
L’inverno demografico: il vero problema
Non siamo, dunque, ‘invasi’. Lo sottolinea anche la segretaria di Cisl Lombardia, Roberta Vaia, per cui l’immigrazione non è un fenomeno preoccupante. “La vera emergenza è il cosiddetto ‘inverno demografico’ del nostro paese, che i cittadini stranieri potrebbero aiutare a colmare – prosegue Vaia -: l’unico modo per fermarlo è quello di regolarizzarsi, lavorare e coabitare con le persone nate in Italia”.
Alla presentazione del report c’era anche l’assessore al Welfare del Comune di Milano, Lamberto Bertolè, che ha colto l’occasione per criticare la gestione dei flussi a livello nazionale: “Il nostro paese continua ad affrontare il fenomeno della migrazione in maniera emergenziale, invece che strutturale, con leggi inadeguate che generano marginalità. Abbiamo migliaia di persone in Italia che chiedono asilo politico, protezione umanitaria e che per la poca organizzazione nazionale su questi temi hanno tempi lunghissimi”, fatto che secondo Bertolè “ricade inevitabilmente sugli enti locali come il comune di Milano”.
(Di © Steffen Schmitz (Carschten) Wikimedia Commons)
Scarti umani – Delfino 04.01.25 (diario.world)
Istat, deficit Pil scende al 2,3% nel III trimestre (era 6,3% nello stesso periodo del 2023) (ilsole24ore.com)
Peso fisco sale al 40,5%. Potere d’acquisto in aumento ma cala il risparmio
Nel terzo trimestre del 2024 l’incidenza del deficit delle Amministrazioni Pubbliche sul Pil migliora sensibilmente rispetto al corrispondente trimestre del 2023, portandosi a un livello del -2,3% (-6,3% nello stesso trimestre del 2023).
Lo sottolinea l’Istat. Il saldo primario delle amministrazioni pubbliche (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,7% (-2,8% nel terzo trimestre del 2023).
Peso fisco sale al 40,5%
«Nel terzo trimestre 2024 – spiega l’ente staistico – la pressione fiscale è stata pari al 40,5%, in aumento di 0,8 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».
Potere d’acquisto in aumento ma cala il risparmio
Il potere d’acquisto delle famiglie, pur segnando uno sviluppo più contenuto rispetto ai periodi precedenti, risulta in crescita per il settimo trimestre consecutivo.
La propensione al risparmio diminuisce congiunturalmente, ma in termini tendenziali prosegue il suo sentiero di crescita.
Le società non finanziarie mostrano una diminuzione congiunturale sia della quota di profitto sia del tasso di investimento, confermando la tendenza alla loro riduzione osservata a partire già dai primi mesi del 2023.
I no-vax vandalizzano il velox sulla tangenziale (gazzettadimodena.it)
di Ginevramaria Bianchi
Ancora danni
Spruzzata vernice rossa sul dispositivo della tangenziale di Modena all’uscita 6
La firma è del gruppo ViVi che dal 2020 compie danneggiamenti contro i beni pubblici
Un nuovo bersaglio nella crociata dei no-vax contro tutto ciò che rappresenta regole e controllo: questa volta, il mirino si è spostato sull’autovelox della tangenziale di Modena all’ altezza dell’ uscita 6, direzione sud.
Il dispositivo, che mediamente sanziona 120 violazioni al giorno su un tratto con limite di 70 chilometri orari, è stato gravemente danneggiato. L’atto, che si inserisce in una strategia ormai nota, è stato poi prontamente rivendicato dal gruppo “ViVi” sul loro canale Telegram.
Cosa è successo
La scena del vandalismo è ormai da copione. Vernice spray, manomissioni e danni strutturali. La polizia locale ha già presentato denuncia contro ignoti e, in questi giorni, prontamente si interverrà per ripristinare l’efficienza del dispositivo nella sua totalità. Ma il problema, purtroppo, è più complesso di una semplice riparazione tecnica.
Il dispositivo
Il velox vandalizzato, già oggetto di polemiche a settembre, era stato sottoposto a verifiche su iniziativa della Prefettura dopo una diffida dell’associazione Alt Velox. Il presidente dell’associazione, Gianantonio Sottile, aveva dichiarato che i modelli T-Exspeed 2.0 fossero privi delle necessarie omologazioni, citando inchieste giudiziarie simili in altre città italiane, tra cui Modena.
Nonostante ciò, il dispositivo della tangenziale di Modena era stato giudicato conforme, e quindi era rimasto operativo. Ma anche questa vicenda, seppur tecnica, non è stata sufficiente a placare l’accanimento dei “ViVi”, che ormai sono in azione sulla nostra provincia da tempo.
Il gruppo “ViVi”
Nato come movimento di protesta contro le norme sanitarie cinque anni fa, durante la pandemia, il gruppo si è evoluto in una rete organizzata che promuove azioni di disturbo e vandalismo. Scritte sui muri, imbrattamenti di scuole, sedi di enti pubblici e, ora, anche autovelox. Non si tratta solo di ideologia, ma di un danno concreto. L’episodio dell’autovelox vandalizzato, infatti, segue una lunga scia di atti simili: nel 2022, ad esempio, le scritte lasciate dai no-vax sulla facciata del liceo Fanti di Carpi costarono alla Provincia 40mila euro per la rimozione.
Quanto costerà sistemare il velox
E anche a Modena il costo del ripristino totale di questo velox sarà significativo, anche se i danni non si limiteranno al bilancio comunale, ma pure alla sicurezza dei cittadini sulle strade. Così, il gruppo continua a spingersi oltre, trasformando ogni atto in un messaggio. E il conto, come sempre, lo pagherà la collettività.