Paesi sicuri, governo bocciato anche dopo la Cassazione (ilmanifesto.it)

di Giansandro Merli

Paesi sicuri, governo bocciato anche dopo la Cassazione (Un giovane migrante trattenuto in Italia – Ansa/Massimo Percossi)

Attraverso le schede del ministero degli Esteri e le fonti qualificate indicate dalla normativa europea il tribunale di Catania ha constatato che in Egitto persistono «gravi violazioni dei diritti umani che investono, in maniera generale e costante, non solo ampie categorie di persone, ma anche il nucleo stesso delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico».

La conseguenza, scrive il giudice Rosario Cupri, è questa: «In Egitto non è “configurabile uno Stato di diritto che si possa definire realmente sicuro per tutti”». Ci sono le doppie virgolette perché l’ultima frase cita l’ordinanza interlocutoria firmata dalla Cassazione giovedì scorso.

Quella su cui gli esponenti della maggioranza erano intervenuti in batteria dicendo: «dà ragione all’esecutivo» (Sara Kelany, FdI), «conferma la linea del governo» (Nicola Molteni, Lega) o «boccia sinistre giudiziarie e politiche che ci boicottano» (Maurizio Gasparri, Fi).

Meno di una settimana dopo, proprio basandosi su quella decisione, le toghe etnee hanno liberato un richiedente asilo egiziano di 30 anni che l’altro ieri era stato rinchiuso nel centro di Modica-Pozzallo. È la prima disapplicazione della legge varata due mesi e mezzo fa dal governo Meloni per rendere la lista dei «paesi sicuri» norma primaria.

«Nel momento in cui l’elenco è inserito in una legge il giudice non può disapplicarla, se ritiene sia incostituzionale può fare ricorso alla Corte [costituzionale, ndr]», aveva detto il 22 ottobre scorso il ministro della Giustizia Carlo Nordio annunciando la misura pensata per rispondere alle non convalide dei trattenimenti in Albania. A differenza di quanto sostenuto dal Guardasigilli, però, anche una norma primaria può essere disapplicata se contrasta con il diritto europeo.

COSÌ HANNO FATTO a Catania seguendo ciò che ha stabilito la Corte del Lussemburgo prima e la Cassazione poi: il giudice deve verificare che la designazione di un paese come sicuro, che spetta al governo, sia legittima. Ovvero rispetti i criteri della direttiva 32/2013. Per il massimo tribunale nazionale questa classificazione è corretta anche se le condizioni di sicurezza sono prevalenti e non assolute, cioè se esistono dei rischi per alcune categorie di persone.

A patto che «la presenza di eccezioni soggettive tanto estese nel numero, accompagnata da persecuzioni e menomazioni generalizzate ed endemiche, non incida, complessivamente, sulla tenuta dello Stato di diritto». In caso contrario sarebbe violata la direttiva e si pregiudicherebbe il valore costituzionale della dignità.

Proprio quello che secondo il tribunale di Catania avviene in Egitto, dove si ritrovano: pena di morte, per impiccagione, con un numero di esecuzioni tra i più alti; detenzioni arbitrarie e arresti senza mandato; sparizioni forzate; violazioni verso avvocati, attivisti, giornalisti e oppositori; discriminazioni di minoranze religiose, donne, persone lgbt; uso sistematico di tortura e maltrattamenti. Lo dice la stessa scheda-paese redatta dai ministeri italiani per inserire, a maggio 2024, lo Stato nordafricano tra quelli sicuri: un’evidente finzione che è andata a sbattere contro l’esame dei giudici.

ERANO DUE MESI che i richiedenti asilo non venivano messi dietro le sbarre del centro di Modica-Pozzallo per sottoporli alle «procedure accelerate di frontiera» sulla loro domanda d’asilo. Nello stesso periodo era rimasta vuota anche l’analoga struttura di Porto Empedocle, dove cinque cittadini del Bangladesh sono stati rinchiusi martedì scorso, il giorno dopo l’ordinanza della Cassazione.

I giudici di Palermo li hanno liberati in 48 ore, ma seguendo un’altra strada giuridica. La doppia mossa è stata un test per l’Albania, dove il governo vuole riprendere i trasferimenti.

Da sabato prossimo, intanto, la competenza su queste convalide passerà dalle sezioni specializzate in immigrazione alle Corti d’appello. Lo ha stabilito la legge approvata il 4 dicembre scorso. L’esecutivo spera di ottenere risultati migliori, ma non si capisce in base a quali presupposti: anche per i tribunali di secondo grado valgono diritto Ue e pronunce di Cassazione e Corte del Lussemburgo.

Tra l’altro a Roma sono stati arruolati dal presidente Giuseppe Meliadò, per esigenze tecniche, i giudici che si sono già espressi sull’Albania dal tribunale ordinario, dove erano stati aggiunti per far fronte all’aggravio di lavoro. A Catania la sezione della Corte cui spetteranno le convalide sarà presieduta da Massimo Escher: era a capo della locale sezione immigrazione del tribunale civile e prenderà servizio nei prossimi giorni.

Il trasferimento è stato proposto all’unanimità dalla commissione del Consiglio superiore della magistratura (Csm) a fine settembre, quando lo spostamento di competenze non era neanche un’ipotesi, e deliberato dal plenum il 20 novembre, quando la modifica era solo una proposta.

IN OGNI CASO più che le toghe conta la legge: se la Cassazione ha sospeso il giudizio sul tema per attendere la decisiva sentenza della Corte Ue è difficile credere che le Corti d’appello possano dare il via libera ai trattenimenti. O non li convalideranno o rinvieranno tutto in Lussemburgo, liberando comunque i richiedenti asilo.

La decisione dei giudici europei è attesa per la primavera. Prima di allora i centri di trattenimento in Albania, o quelli in Sicilia, non si riempiranno.

AfD, dall’opposizione al potere? Il rebus tedesco visto da Crescenzi (formiche.net)

di Luca Crescenzi

Esteri

I sondaggi dimostrano come i tedeschi considerino Alice Weidel, presidente di AfD e possibile candidata al cancellierato, la meno affidabile fra i potenziali concorrenti.

E non possono bastare al partito sovranista i vasti consensi raccolti, fin qui, soprattutto nei Länder dell’est e in Baviera. Ma gioca a favore di AfD lo scarso dinamismo, per non dire la mancanza di coraggio e iniziativa, che la politica tedesca sta dimostrando nella gestione delle diverse crisi. L’analisi di Luca Crescenzi, presidente dell’Istituto italiano di studi germanici

Chi confida o anche solo spera in un ridursi del peso politico di Alternative für Deutschland in occasione delle prossime elezioni politiche di febbraio, magari contando – come forse fa lo stesso cancelliere Olaf Scholz – sulla prudenza connaturata alla più recente cultura politica dei tedeschi, fa con ogni probabilità un calcolo sbagliato.

E dimostra di non avere la fantasia necessaria a proiettare la storia di successi dei partiti di estrema destra nei diversi Paesi europei anche sulla situazione tedesca.

Non c’è alcun dubbio, infatti, che AfD – al di là delle distinzioni ideologiche e programmatiche che la collocano in una situazione di sostanziale marginalità in Europa, insieme al gruppo dei sovranisti che comanda – ha assorbito non pochi degli atteggiamenti politici e dei tatticismi che hanno coronato di successo la storia recente di molte formazioni nazionaliste e di estrema destra del continente.

Potendo per di più contare sul crescente malcontento tedesco per gli sviluppi geopolitici internazionali, cui una percentuale considerevole di cittadini attribuisce – non del tutto a torto – la colpa delle attuali difficoltà economiche della Germania. Certo, anche gli ultimi sondaggi dimostrano come i tedeschi considerino Alice Weidel, presidente di AfD e possibile candidata al cancellierato, la meno affidabile fra i potenziali concorrenti. E non possono bastare al partito sovranista i vasti consensi raccolti, fin qui, soprattutto nei Länder dell’est e in Baviera.

Ma gioca a favore di AfD lo scarso dinamismo, per non dire la mancanza di coraggio e iniziativa, che la politica tedesca sta dimostrando nella gestione delle diverse crisi. Al contrario, AfD condivide con molti analoghi partiti europei la capacità di proporre ed escogitare con notevole tempestività ed efficacia comunicativa proposte di soluzioni a problemi di nuova insorgenza o di lunga durata che, seppure deboli, occupano per molto tempo, in una condizione di unicità o quasi unicità, il campo della discussione.

Ma naturalmente il successo di AfD si alimenta soprattutto dei problemi, per molto tempo sottovalutati, che in una situazione di perdurante e mai sperimentata stagnazione economica richiedono di trovare una soluzione. In questo senso la questione dei Länder orientali – congelata per tutta l’era Merkel e ora tornata chiaramente alla ribalta – costituisce un prototipo delle difficoltà della politica di governo tedesca.

Qui la crisi economica viene interpretata più facilmente come il risultato derivante da vecchi errori e nuove emergenze: e su questo terreno AfD si trova in netto vantaggio.

Il caso più evidente è quello dei Länder orientali, dove permangono le conseguenze degli errori commessi al momento della riunificazione (privatizzazioni mal organizzate con conseguente chiusura di un terzo delle aziende acquisite da imprese dell’ovest, introduzione forzata di management occidentale, frustrazione delle aspettative di un ancor giovane ceto medio di dirigenti e funzionari orientali, sostituzione del personale accademico, eccetera) e una sostanziale incomprensione delle differenze di cultura politica con la parte occidentale del Paese.

Fattori che creano difficoltà soprattutto alle forze di governo. È probabile, a questo punto, che AfD abbia già raggiunto il massimo della sua capacità di espansione sia a est (con punte di consenso che raggiungono localmente il 33%) che a ovest (dove la vetta massima è il 14,6% raggiunto in Baviera nel 2023). Il differenziale di popolazione fra est e ovest (l’est della Germania conta 12,6 milioni di abitanti contro i 68 milioni dell’ovest) non dovrebbe consentire un dilagare della formazione di estrema destra paragonabile a quello visto in altri Paesi europei.

Fintanto che la Cdu/ Csu conserverà il suo forte appeal e il suo ruolo stabilizzatore potrà al più avvenire – e forse solo localmente – che essa tenti di imbrigliare AfD in una coalizione di governo pragmatica che ne riduca la spinta anti-sistema.

Tuttavia una possibilità che AfD compia un decisivo passo verso un primato per ora impensabile, ma già raggiunto da altri partiti della destra europea, esiste ed è nelle mani dei partiti tradizionali. Se questi cercheranno di inseguire AfD adottando provvedimenti ispirati alle sue posizioni di maggior appeal e rinunciando al loro ruolo di garanzia istituzionale e di laboratorio di soluzioni politiche democratiche, questo risultato è addirittura probabile.

Qualche sintomo è, purtroppo, avvertibile. Fra i più recenti vi è certamente la scandalosa fretta con cui il governo tedesco, al pari degli altri governi europei, ha sospeso il rilascio di visti di soggiorno per i cittadini siriani giunti in Germania a partire dal 2015 dopo il repentino cambio di regime nel Paese d’origine, pur in assenza di qualsivoglia garanzia che l’esautorazione di Assad porti in esso maggior sicurezza per gli espatriati.

L’aggravante tedesca sta nel fatto che questi cittadini – ben diversamente che altrove – sono all’incirca un milione e ormai da anni integrati in Germania, svolgono lavori necessari soprattutto nel campo della sanità e sono stati accolti a suo tempo in virtù di un patto etico di solidarietà (il famoso “Accoglieremo tutti i siriani” di Angela Merkel) avanzato contro le spinte opposte della destra estrema che ora, sorprendentemente, è il governo a guida socialdemocratica a revocare.

Se a questo si aggiunge la manifestata tentazione di alcuni esponenti della Cdu/Csu di favorire accordi locali, all’est, con AfD, il rischio di un lento, parziale ma progressivo scivolamento a destra dei principali partiti storici della Germania è plausibile.

E in tal caso sarà difficile evitare che AfD reclami il diritto di non vedersi più considerare solo come il volto impresentabile della politica tedesca.

Beatrice Venezi trasforma in kitsch il pop di Puccini (corriere.it)

di Aldo Grasso

A fil di rete 

Sulle reti Rai, il primo giorno del nuovo anno ci ha regalato ben tre concerti di musica classica. Vorrà dire qualcosa?

Su Rai1, dal Teatro La Fenice di Venezia il Concerto di Capodanno diretto da Daniel Harding, con tre brani corali di grandissima presa: «Va, pensiero» dal Nabucco di Verdi, «Padre augusto» dalla Turandot di Puccini e l’immancabile brindisi «Libiam ne’ lieti calici» di nuovo dalla Traviata (c’era anche l’ormai inevitabile «Nessun dorma»).

Su Rai2 il Concerto di Capodanno da Vienna con i Wiener Philharmoniker diretti da Riccardo Muti (applauditissimo), sempre nella cornice della Sala d’Oro del Musikverein, sempre con La marcia di Radetzky a chiudere la festa (ma se il Lombardo-Veneto fosse rimasto nell’impero absburgico, come staremmo oggi?).

Infine, su Rai3, «Viva Puccini», un programma ideato da Angelo Bozzolini per il maestro Beatrice Venezi (cuore a sinistra, bacchetta a destra, di necessità si fa tivù). La folgorante idea è quella di avvicinare la musica del grande maestro al pubblico televisivo, prendendo un po’ a prestito quello che facevano Corrado Augias (malamente imitato all’inizio per prevenire critiche) e Speranza Scappucci.

Ma al contrario: non è il pubblico che deve innalzarsi a Puccini, ma Puccini che deve abbassarsi al pubblico meno attrezzato e dunque grande spreco di «Puccini moderno, Puccini amante del bello, Puccini pieno di fragilità, Puccini pop…».

E poi Bianca Guaccero a condurre, Gianmarco Tognazzi nelle vesti di Puccini (che era un po’ come suo padre, dice lui), Enrico Stinchelli a spiegare (dalla «Barcaccia» a «Fin che la barca va»), Giordano Bruno Guerri a fare l’ospite d’onore, come ora fa in tutti i programmi.

Kitsch, Kitsch, Urrà! In realtà non era un programma su Puccini, ma su Beatrice Venezi che quando dirige si agita e fa le faccette come la nostra premier. Telecamere sempre puntate su di lei, primi piani, celebrazione indiscriminata del piacere estetico a detrimento della fattura materiale dell’oggetto artistico.

Anche qui, per la gioia del maestro Muti, ennesima proposta del «Nessun dorma», a dimostrazione che a passare dal pop al kitsch ci vuole niente.