Si tratta di una vecchia versione distorta del
modulo per chi si vaccina con Pfizer
Circola un presunto modulo di consenso informato in cui si afferma che il vaccino anti Covid-19 a mRNA sia sperimentale, lasciando intendere che i cittadini italiani siano stati utilizzati come cavie.
Il documento non è nuovo: era già stato verificato nel 2021, riscontrando diverse informazioni scorrette sulla campagna vaccinale.
Di fatto la sperimentazione è giunta attualmente solo alla “FASE 3” (tuttora in corso) cioè non ha ancora concluso l’iter per l’approvazione definitiva. L’accettazione della somministrazione del nuovo trattamento deve avvenire quindi con la consapevolezza e la volontarietà del vaccinando di essere arruolato ad una fase ancora sperimentale.
[…]
Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza, comprese conseguenze sul feto in caso di gravidanza futura, o ripercussioni sulla fertilità. Firmando e accettando il presente consenso, il vaccinato si assume quindi la responsabilità diretta e personale di eventuali conseguenze nella media e lunga distanza temporale.
Una vecchia bufala
Il documento circolava nel giugno 2021 a campagna vaccinale avviata. Di fatto, la fase 3 della sperimentazione era già stata superata da tempo e di fatto fondamentale per venire autorizzata la somministrazione da parte dell’EMA.
Infine, ricordiamo che per nessun farmaco è possibile conoscere tutti i possibili eventi avversi che si dovrebbero manifestare nel lungo periodo, mentre conosciamo con certezza cosa succede ai malati gravi di Covid-19 o le conseguenzenel lungo periodo sulla salute dei positivi, anche quelli che hanno manifestato sintomi lievi.
Se avessimo seguito gli stessi ragionamenti in passato la poliomielite oggi sarebbe ancora un problema.
Conclusioni
Il documento che circola online da anni, risulta falso e non ufficiale. Inoltre, riporta informazioni errate sulla sperimentazione dei vaccini anti Covid a mRNA e, di conseguenza, sul processo di autorizzazione da parte dell’EMA.
Post con affermazioni senza alcuna fonte circolano
sui social:
quando smetteremo di prenderli per oro colato e cominceremo a usare regolarmente il nostro spirito critico?
Ci avete segnalato un post che circola su Facebook, un post come tanti altri che abbiamo visto circolare, specie su Telegram, un post che racconta una specifica storia. La mail che ci è arrivata tra le segnalazioni recita:
Mente la stampa o chi ha postato?
E a seguire il post segnalato:
La foto che mostrerebbe la cattura di un nordcoreano da parte delle forze ucraine è FALSA è una Fake che Open non smascherera. La foto è del 2022 e il prigioniero faceva parte della minoranza etnica russa, non è morto “oggi” ma due anni fa mentre era in mano ucraina ‼️Per chi non lo avesse capito, questa buffonata dei soldati nord coreani pompata da settimane dai media servi di regime, è stata utilizzata per giustificare i missili guidati dall’occidente sul territorio russo, ed è propedeutica a giustificare la sconfitta della NATO nel conflitto ucraino.
Prove a sostegno di quanto viene raccontato? Nessuna.
Eppure l’informazione viene presentata come certa, e lo stesso vediamo fare in mille altri post dello stesso profilo, tutti a difesa della Russia e di Putin.
Profili come questo sono numerosi in giro per la rete, e generano confusione in chi li incontra, confusione come quella di chi ci ha inviato la segnalazione. Confusione che, grazie alle informazioni a nostra disposizione e a uno spirito critico attivo, potrebbe risolversi in pochi minuti.
Perché diciamo questo? Non perché riteniamo la stampa – specie quella italiana – al di sopra di ogni sospetto: siamo assolutamente consci che può sbagliare e usare fonti inaffidabili. Il problema è che il post che ci è stato segnalato non è accompagnato da alcuna prova a sostegno delle proprie affermazioni, sono solo parole senza fonte alcuna.
Noi non siamo in Ucraina, come non vi è l’autore del post, e nemmeno i giornalisti che hanno riportato la notizia. Dobbiamo basarci su quello che viene riportato da chi è sul posto e mostra documentazione a sostegno di quanto raccontato. Nel caso dei soldati nordcoreani la (quasi) certezza che stiano operando a fianco dell’esercito russo viene da immagini e racconti come questo (tradotto dall’ucraino):
«Saldatori e copritetti» dalla Corea del Nord.
La Russia sta cercando di nascondere la presenza di militari nordcoreani, fornendo loro documenti falsi.
Secondo dati decrittati, i veri nomi dei soldati nordcoreani eliminati sono Ban Guk Jin, Li Dae Hyuk e Cho Chul Ho. Tuttavia, nei documenti russi risultano come Kim Kang Solat Albertovich, Dongnk Jan Suropovich e Belek Aganak Kap-Oolovich.
Le forze speciali continuano a eliminare il nemico, tra cui altri tre militari nordcoreani nella regione di Kursk, entrando in possesso dei loro documenti.
In questi documenti militari mancano timbri ufficiali e fotografie, i patronimici sono adattati in stile russo, e il luogo di nascita è indicato come Repubblica di Tuva, la terra natale del criminale di guerra Shoigu.
Ma il dettaglio più interessante sono le firme dei possessori, realizzate in coreano, a conferma della reale origine di questi soldati.
Questo episodio dimostra ancora una volta che la Russia ricorre a qualsiasi metodo per nascondere le proprie perdite sul campo di battaglia e celare la presenza di stranieri.
Le forze speciali continuano a monitorare ed eliminare i reparti di mercenari, vanificando i piani del nemico.
Questo post viene diffuso dai canali ufficiali delle forze armate ucraine, accompagnato da specifiche immagini:
Immagini che confermerebbero quanto raccontato appunto dalle forze speciali ucraine. Le tre foto difatti mostrano quelli che sono Военный билет, libretti militari russi, e come dichiarato ci sono alcuni elementi interessanti da notare:
le firme sembrano scritte in alfabeto coreano (hangul)
mancano completamente di timbri e fotografie
Il post delle forze armate mostra anche immagini coi cadaveri dei tre soldati a cui si fa riferimento, ma abbiamo preferito evitare di mostrarvele qui su BUTAC. Onestamente speravo di finire l’anno cercando il più possibile di evitare fact-checking del genere, ma le segnalazioni di episodi cruenti continuano ad arrivare.
Il profilo che ci è stato segnalato col post iniziale pubblica tra i venti e i quaranta contenuti al giorno, tutti provenienti da fonti filorusse, tra cui spicca il solito Giorgio Bianchi. Chi ha il tempo per condividere così tanti contenuti online ha chiaramente scopi ben precisi, nel caso specifico lo scopo è quello di generare dubbi che portino, tra l’altro, anche a segnalazioni come quella ricevuta.
Concludendo
Non è possibile fare veri fact checking su alcune notizie, ma è possibile riportare le fonti così che i lettori possano farsi un’idea della situazione anche quando non esistono reali certezze.
Noi non abbiamo trovato alcuna prova che le foto mostrate nel post segnalato risalgano a due anni fa, in compenso abbiamo trovato fonti che spiegano perché si pensa che in Ucraina stiano combattendo soldati nordcoreani. Sta a chi sostiene che non sia vero dimostrare che tali fonti siano in errore.
Questa è diventata da anni la rotta migratoria del Mediterraneo centrale, tornata drammaticamente d’attualità a cavallo tra la fine del 2024 e primi giorni del nuovo anno.
Negli almeno due naufragi accertati tra Lampedusa e la Tunisia si contano almeno quattro bambini dispersi in mare, i sommersi. Mentre i numeri e i volti dei 33 salvati dalla nave della società civile Resq-People Saving People confermano che una persona su quattro circa è un minore non accompagnato.
Secondo l’Unicef, tra i 1.700 morti e dispersi nel 2024 solo sulla rotta del Mediterraneo centrale spiccano centinaia di bambine, bambini e adolescenti perché una persona ogni cinque di tutte quelle che migrano attraverso il Mare nostrum sono minorenni in fuga, da soli o con la famiglia, da conflitti violenti e povertà.
Le cifre, lo sappiamo da anni, sono utili ormai alle coscienze impegnate e agli addetti ai lavori. E sono certamente preziose per costruire una narrazione corretta che contrasti le strumentalizzazioni e i discorsi di odio che ricoprono le notizie drammatiche con una cappa di oblio. Ma per bucarla, quella cappa, ci vuole altro. Forse occorrerebbe una Spoon river mediterranea che raccontasse le storie dei naufragi davanti alle coste italiane.
O, forse, la potenza delle immagini di altri film come “Io Capitano” che raccontassero i viaggi della speranza su altre rotte africane dei più vulnerabili.
Intanto possiamo cominciare con un’operazione basica di umanità per contrastare l’ignoranza alimentata dalla propaganda multimediale con la retorica dell’invasione (smentita dalle cifre) e con immagini perennemente emergenziali e messaggi allarmistici, allontanando dalle coscienze i drammi autentici.
Che sono quelle delle famiglie spezzate, delle madri che vedono annegare i propri bambini in mezzo al mare dopo il naufragio delle carrette su cui viaggiavano verso l’Italia. Dei bambini morti mentre stavano viaggiando per raggiungere genitori o parenti in un luogo sicuro dove poter crescere e realizzare un sogno come laurearsi, fare il medico o lo sportivo o il cantante.
O quelli dei genitori che lasciano i figli per poterli poi chiamare in sicurezza e legalità con i ricongiungimenti e invece spariscono per sempre tra le onde, condannandoli all’immobilità magari in un campo profughi. Perché i morti in mare non li va a cercare quasi nessuno per identificarli e un bambino che non è legalmente riconosciuto orfano senza la firma dei due genitori non si sposta.
Dell’orrore, degli stupri, delle violenze e delle torture cui vengono sottoposti i migranti di ogni età e sesso dalle gang di trafficanti per estorcere riscatti alle famiglie abbiamo sempre scritto. Possiamo solo aggiungere che spesso anche i minorenni in viaggio da soli vengono costretti a lavorare in schiavitù dai sequestratori se le famiglie non possono pagare i riscatti.
C’erano minori per inciso anche tra gli oltre 20mila che la cosiddetta guardia costiera libica ha riportato indietro nel 2024, sottoponendoli a nuove torture, detenzioni degradanti e inumane e schiavitù.
Ultima cosa da fare per rispetto dell’umanità delle vittime in mare, non chiediamo più “chi glielo ha fatto fare” ai genitori. Perché dimostriamo solo di non aver mai provato un tale grado di disperazione, quella che ti porta a fuggire mettendo a rischio la vita tua e quella dei tuoi figli, e facciamo apparire la nostra miseria umana.
Le alternative per prevenire le morti in mare almeno di mamme e bambini ci sarebbero. Secondo l’Unicef si potrebbe utilizzare il Patto Ue sulla migrazione e l’asilo per dare priorità alla salvaguardia di bambine e bambini con l’apertura di percorsi sicuri e legali per la protezione e il ricongiungimento familiare, nonché operazioni coordinate di ricerca e salvataggio e sbarchi sicuri.
E poi intensificare i corridoi umanitari e lavorativi su scala europea per famiglie e le evacuazioni umanitarie di vulnerabili. Dietro i numeri ci sono sempre volti e storie che non si possono cancellare.
C’è un Giubileo di speranza anche per il Mediterraneo centrale, e ci dice che è arrivato il tempo di dire basta a tutto questo carico di morte in mare.