Così i bambini russi sono diventati i «prigionieri politici» della propaganda del Cremlino (linkiesta.it)

di

Educazione putiniana

L’oppositrice Aleksandra Skochilenko ha inviato una lettera aperta ai media indipendenti di Mosc denunciando la sempre più spietata ingerenza del regime nei banchi di scuola per occultare il fallimento dell’invasione in Ucraina

Terminato da poco l’anno della Famiglia, il 2025 sarà vissuto in Russia come l’anno della Patria, come annunciato da Vladimir Putin durante la consueta conferenza stampa prima di Natale. Secondo il dittatore russo, i prossimi dodici mesi dedicati al Difensore della Patria saranno un’occasione per onorare «gli eroi del passato e i partecipanti all’operazione militare speciale di oggi». Tradotto, la sanguinosa invasione russa in Ucraina che ha decimato centinaia di migliaia di soldati russi dal febbraio 2022.

Come in ogni tradizione che si rispetti, chi celebra la Patria a Capodanno corre il serio rischio di celebrarla per tutto l’anno, ovvero ciò sta accadendo in Russia a cominciare dai più piccoli. Nei primi giorni di guerra la foto dei bambini di Kazan disposti a formare la “Z”, simbolo dei militari russi impegnati nel Donbas, ha fatto il giro del mondo: stavolta invece a venire infarcito di propaganda è stato l’appuntamento del 1° gennaio, fin dall’epoca sovietica fondamentale festa laica contrapposta al Santo Natale.

Il progetto “Lettere in prima linea” porta i bimbi fin dall’asilo a scrivere e spedire cartoline direttamente ai soldati impegnati al fronte negli ultimi giorni dell’anno: «Ciao caro soldato! Ti auguro ottima salute, forza e coraggio, di vincere la guerra e di tornare presto a casa!», è un tipico messaggio scritto sul retro di tanti cartoncini colorati.

Un altro esempio viene da Nizhny Novgorod, lungo le sponde del Volga, dove i bimbi di un asilo hanno ricevuto in dono per il nuovo anno un pallone da calcio autografato non da un giocatore famoso, bensì da un militare vestito di tutto punto e col volto coperto da un passamontagna, in un incontro che l’amministrazione dell’istituto scolastico da definito «caloroso e familiare».

Secondo la testimonianza dell’insegnante e psicologa infantile Yekaterina Yashina, raccolta dal Moscow Times – testata nella lista nera del Cremlino – le celebrazioni del Capodanno sono rimaste in gran parte libere da messaggi politici, ma quando le autorità russe hanno iniziato a limitare la velocità di YouTube è stato via via più difficile riuscire a isolare la festa dalla propaganda di guerra: «Ho fatto sempre ascoltare le canzoni di Capodanno su Internet ai miei alunni, ma l’ultima volta il computer si è bloccato.

Ho detto, “YouTube non funziona”, e loro hanno risposto “Lo hanno spento gli americani”».

Eppure, fra tante testimonianze dell’ingerenza del regime putiniano tra i banchi di scuola, nei giorni scorsi è tornata a levarsi una voce avversa al Cremlino per sottolineare l’impatto negativo della propaganda sui più piccoli.

Aleksandra Skochilenko è un’artista e attivista russa per la pace, nota le sue azioni di protesta non violenta a San Pietroburgo contro l’invasione dell’Ucraina: aver sfilato in un corteo anti militarista e aver attaccato dei bigliettini contro la guerra in un supermercato le è costato ben sette anni di carcere, motivati secondo i giudici dal suo «odio politico contro la Russia».

Arrestata nell’aprile 2022, lo scorso mese di agosto fu liberata ad Ankara nell’ambito di un complesso scambio di prigionieri: durante la permanenza in cella, Skochilenko ha affermato di essere stata punita in quanto rappresentante di «tutto ciò verso cui il regime di Putin è intollerante: creatività, pacifismo, diritti per la comunità Lgbt, femminismo», tanto che alla sua compagna è stato negato il diritto di farle visita in carcere.

«Il mio paese ha sete di sangue, incluso il mio», diceva l’attivista nei mesi di detenzione.

In questi giorni Aleksandra Skochilenko è tornata a scagliarsi contro il sistema che l’ha tenuta prigioniera: lo ha fatto inviando una lettera aperta ai media indipendenti, in cui ha definito i bambini «prigionieri politici di Putin». Fin dalle prime righe l’attivista rievoca il suo periodo in cella: «Un giorno una donna mi disse che, presto o tardi, il regime cadrà a causa dei bambini».

Ma perché? Skochilenko, oggi libera cittadina, racconta che nella prigione in cui è stata rinchiusa c’erano tanti giovani, piccoli fino a quattordici anni, alcuni di loro prigionieri per motivi politici e simbolo dell’ipocrisia del concetto di un’infanzia felice e innocente che definisce un «pilastro apparentemente forte della propaganda russa ma che, in realtà, traballa come un dente da latte».

Parlando della loro condizione, Skochilenko si sofferma sulla crudeltà dei trattamenti che gli riservano le guardie carcerarie («rinchiusi con i delinquenti, picchiati e umiliati»), per tracciare subito dopo un parallelismo con la sua scarcerazione: «Se mi chiedessero di scambiare la mia libertà con un altro prigioniero politico forse accetterei, sapendo di mentire a me stessa, ma se mi dicessero che il mio posto sarebbe preso da un bambino, non avrei alcun dubbio: il bambino dovrebbe essere libero!».

Infine, a chiusura di una lettera che inneggia alla libertà, il richiamo anche alle migliaia di bimbi ucraini deportati oltre confine dall’inizio dell’invasione: «Sogno che la Russia restituisca tutti i bambini, sia ucraini che russi, che il Cremlino ha rubato restituendo loro ciò che è stato portato via: i loro anni dell’adolescenza e dell’infanzia, il tempo della gioia, della libertà, della vicinanza con i genitori, delle prime amicizie e del primo amore».

Un sogno che riecheggia come un grido acutissimo nel silenzio che grava sulle vite dei giovani prigionieri politici, così come sui piccoli deportati dalle loro case nel Donbas per essere ricollocati in campi di rieducazione o all’interno del sistema di adozioni russo, strappati al proprio Paese con un impatto drammatico per la loro crescita e il futuro stesso dell’Ucraina.

Il falso modulo del consenso informato sul vaccino anti Covid «sperimentale» (open.online)

di David Puente

Si tratta di una vecchia versione distorta del 
modulo per chi si vaccina con Pfizer

Circola un presunto modulo di consenso informato in cui si afferma che il vaccino anti Covid-19 a mRNA sia sperimentale, lasciando intendere che i cittadini italiani siano stati utilizzati come cavie.

Il documento non è nuovo: era già stato verificato nel 2021, riscontrando diverse informazioni scorrette sulla campagna vaccinale.

Analisi

L’immagine che circola riporta il seguente testo:

Di fatto la sperimentazione è giunta attualmente solo alla “FASE 3” (tuttora in corso) cioè non ha ancora concluso l’iter per l’approvazione definitiva. L’accettazione della somministrazione del nuovo trattamento deve avvenire quindi con la consapevolezza e la volontarietà del vaccinando di essere arruolato ad una fase ancora sperimentale.

[…]

Non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza, comprese conseguenze sul feto in caso di gravidanza futura, o ripercussioni sulla fertilità. Firmando e accettando il presente consenso, il vaccinato si assume quindi la responsabilità diretta e personale di eventuali conseguenze nella media e lunga distanza temporale.

Una vecchia bufala

Il documento circolava nel giugno 2021 a campagna vaccinale avviata. Di fatto, la fase 3 della sperimentazione era già stata superata da tempo e di fatto fondamentale per venire autorizzata la somministrazione da parte dell’EMA.

Infine, ricordiamo che per nessun farmaco è possibile conoscere tutti i possibili eventi avversi che si dovrebbero manifestare nel lungo periodo, mentre conosciamo con certezza cosa succede ai malati gravi di Covid-19 o le conseguenze nel lungo periodo sulla salute dei positivi, anche quelli che hanno manifestato sintomi lievi.

Se avessimo seguito gli stessi ragionamenti in passato la poliomielite oggi sarebbe ancora un problema.

Conclusioni

Il documento che circola online da anni, risulta falso e non ufficiale. Inoltre, riporta informazioni errate sulla sperimentazione dei vaccini anti Covid a mRNA e, di conseguenza, sul processo di autorizzazione da parte dell’EMA.

I soldati nordcoreani in Ucraina (butac.it)

di 

Post con affermazioni senza alcuna fonte circolano 
sui social: 

quando smetteremo di prenderli per oro colato e cominceremo a usare regolarmente il nostro spirito critico?

Ci avete segnalato un post che circola su Facebook, un post come tanti altri che abbiamo visto circolare, specie su Telegram, un post che racconta una specifica storia. La mail che ci è arrivata tra le segnalazioni recita:

Mente la stampa o chi ha postato?

E a seguire il post segnalato:

La foto che mostrerebbe la cattura di un nordcoreano da parte delle forze ucraine è FALSA è una Fake che Open non smascherera.
La foto è del 2022 e il prigioniero faceva parte della minoranza etnica russa, non è morto “oggi” ma due anni fa mentre era in mano ucraina
‼️Per chi non lo avesse capito, questa buffonata dei soldati nord coreani pompata da settimane dai media servi di regime, è stata utilizzata per giustificare i missili guidati dall’occidente sul territorio russo, ed è propedeutica a giustificare la sconfitta della NATO nel conflitto ucraino.

Prove a sostegno di quanto viene raccontato? Nessuna.

Eppure l’informazione viene presentata come certa, e lo stesso vediamo fare in mille altri post dello stesso profilo, tutti a difesa della Russia e di Putin.

Profili come questo sono numerosi in giro per la rete, e generano confusione in chi li incontra, confusione come quella di chi ci ha inviato la segnalazione. Confusione che, grazie alle informazioni a nostra disposizione e a uno spirito critico attivo, potrebbe risolversi in pochi minuti.

Perché diciamo questo? Non perché riteniamo la stampa – specie quella italiana – al di sopra di ogni sospetto: siamo assolutamente consci che può sbagliare e usare fonti inaffidabili. Il problema è che il post che ci è stato segnalato non è accompagnato da alcuna prova a sostegno delle proprie affermazioni, sono solo parole senza fonte alcuna.

Noi non siamo in Ucraina, come non vi è l’autore del post, e nemmeno i giornalisti che hanno riportato la notizia. Dobbiamo basarci su quello che viene riportato da chi è sul posto e mostra documentazione a sostegno di quanto raccontato. Nel caso dei soldati nordcoreani la (quasi) certezza che stiano operando a fianco dell’esercito russo viene da immagini e racconti come questo (tradotto dall’ucraino):

«Saldatori e copritetti» dalla Corea del Nord.

La Russia sta cercando di nascondere la presenza di militari nordcoreani, fornendo loro documenti falsi.

Secondo dati decrittati, i veri nomi dei soldati nordcoreani eliminati sono Ban Guk Jin, Li Dae Hyuk e Cho Chul Ho. Tuttavia, nei documenti russi risultano come Kim Kang Solat Albertovich, Dongnk Jan Suropovich e Belek Aganak Kap-Oolovich.

Le forze speciali continuano a eliminare il nemico, tra cui altri tre militari nordcoreani nella regione di Kursk, entrando in possesso dei loro documenti.

In questi documenti militari mancano timbri ufficiali e fotografie, i patronimici sono adattati in stile russo, e il luogo di nascita è indicato come Repubblica di Tuva, la terra natale del criminale di guerra Shoigu.

Ma il dettaglio più interessante sono le firme dei possessori, realizzate in coreano, a conferma della reale origine di questi soldati.

Questo episodio dimostra ancora una volta che la Russia ricorre a qualsiasi metodo per nascondere le proprie perdite sul campo di battaglia e celare la presenza di stranieri.

Le forze speciali continuano a monitorare ed eliminare i reparti di mercenari, vanificando i piani del nemico.

Questo post viene diffuso dai canali ufficiali delle forze armate ucraine, accompagnato da specifiche immagini:

Immagini che confermerebbero quanto raccontato appunto dalle forze speciali ucraine. Le tre foto difatti mostrano quelli che sono Военный билет, libretti militari russi, e come dichiarato ci sono alcuni elementi interessanti da notare:

  • le firme sembrano scritte in alfabeto coreano (hangul)
  • mancano completamente di timbri e fotografie

Il post delle forze armate mostra anche immagini coi cadaveri dei tre soldati a cui si fa riferimento, ma abbiamo preferito evitare di mostrarvele qui su BUTAC. Onestamente speravo di finire l’anno cercando il più possibile di evitare fact-checking del genere, ma le segnalazioni di episodi cruenti continuano ad arrivare.

Il profilo che ci è stato segnalato col post iniziale pubblica tra i venti e i quaranta contenuti al giorno, tutti provenienti da fonti filorusse, tra cui spicca il solito Giorgio Bianchi. Chi ha il tempo per condividere così tanti contenuti online ha chiaramente scopi ben precisi, nel caso specifico lo scopo è quello di generare dubbi che portino, tra l’altro, anche a segnalazioni come quella ricevuta.

Concludendo

Non è possibile fare veri fact checking su alcune notizie, ma è possibile riportare le fonti così che i lettori possano farsi un’idea della situazione anche quando non esistono reali certezze.

Noi non abbiamo trovato alcuna prova che le foto mostrate nel post segnalato risalgano a due anni fa, in compenso abbiamo trovato fonti che spiegano perché si pensa che in Ucraina stiano combattendo soldati nordcoreani. Sta a chi sostiene che non sia vero dimostrare che tali fonti siano in errore.