Arrestato pizzaiolo italiano in Ucraina. Combatteva per i russi (euronews.com)

Gianni Cenni ha 51 anni ed è originario di Napoli. 

Si era arruolato a novembre scorso ed è stato catturato durante una ricognizione ucraina

Un cittadino italiano è stato catturato dalle forze ucraine l’otto gennaio scorso durante un’operazione di ricognizione nella regione di Kupiansk.

L’uomo, Gianni Cenni, 51 anni, ha lavorato per diversi anni come pizzaiolo in Russia prima di arruolarsi con l’esercito russo il 13 novembre scorso. Cenni, sposato e con due figli, è stato riconosciuto in un video diffuso dall’esercito ucraino “Buonasera, sono Giovanni, sono italiano”, dice l’uomo, barba lunga e seduto in un luogo buio.

Da Napoli all’arruolamento

La sua storia è stata raccontata grazie a un lavoro su OSINT, intelligence su fonti aperte. Basandosi sul suo profilo Linkedin (unico social attivo dell’uomo), pare che Cenni abbia lavorato alla pizzeria “Al Presidente” di Napoli. Ma nessuno sa nulla di lui.

Si trasferisce poi a Samara, città sul Volga. Di lui si ricorda il console onorario Gianguido Breddo, dicendo che ha lavorato per lui come dipendente fino a un anno fa, “prima di spostarsi a Sud, non sapevo dove. È un tipo particolare, non mi stupisce che sia andato a combattere”.

A Samara Gianni Cenni organizzava master class per insegnare alla Scuola di cucina italiana di Samara, gestita dal console Breddo. Allo stesso tempo, sempre sull’account Instagram del console lo si può vedere immortalato in una foto del 2015 con la maglietta “io sto con Putin”.

E arriviamo appunto a novembre. Dopo la cattura, l’esercito ucraino ha diffuso anche la foto di un documento militare russo con la sua foto e con un timbro.

Proprio oggi Giorgia Meloni doveva incontrare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’eventuale estradizione dell’italiano potrebbe essere stata un tema caldo.

Cosa rischia Cenni in caso di rimpatrio

In caso di rimpatrio, Cenni rischia una condanna molto seria. Infatti, per lo Stato italiano è vietato arruolarsi in un altro esercito. Il problema dei cosiddetti foreign fighters è preso sempre più sul serio dalle autorità italiane, soprattutto dopo l’arrivo dell’ISIS e le prime radicalizzazioni.

Nel 2016 una ragazza, Maria Giulia Sergio, si era radicalizzata e unita all’ISIS. Soprannominata “Lady Jihad”, è stata condannata a nove anni di reclusione. Condanna mai eseguita, dal momento che la famiglia sostiene che sia morta in Siria. La sorella Marianna è invece stata condannata nel 2018 a 5 anni e 4 mesi per accuse analoghe. Alice Brignoli, altra donna radicalizzata e partita per la Siria, si è pentita e ha patteggiato una pena di 4 anni nel 2021.

Tornando a contesti più vicini a quelli di Cenni, c’è la storia di Alessandro Bertolini. Trentino, 29 anni, secondo l’accusa era partito per il Donbass nel 2016 (a soli 21 anni) e aveva combattuto per i russi. Tornato in Italia nel 2022, era stato immediatamente incarcerato. L’anno seguente Bertolini, proclamatosi innocente fino a quel momento, ha patteggiato e ha ottenuto una pena di due anni di reclusione.

Foreign fighters in Ucraina: mancano le statistiche

Statistiche ufficiali sui foreign fighters e sugli italiani arruolati nell’esercito russo non ce ne sono da tempo. Allo scoppio della guerra se ne contavano circa 60 per la difesa del Donbass, ma fare stime è difficile.

D’altra parte, l’agenzia di stampa russa Tass (fonte non neutrale) stimava che l’esercito russo avesse ucciso 5962 volontari pro-Kiev su un totale di 13600 arrivati nel Paese. Di queste vittime, 33 sono italiani.

Dall’altra parte, manca qualsiasi tipo di dato. L’unica cosa che è certa è un massiccio apporto di nepalesi, ai quali viene offerta una corsia preferenziale per ottenere la cittadinanza russa e uno stipendio di 2000€ al mese.

Ogni dettaglio sui foreign fighters italiani in Donbass o gli italiani che hanno seguito l’esempio di Gianni Cenni è inesistente.

Attenzione agli africani, così astuti che infiltrano i neonati… (unita.it)

di Angela Nocioni

Il caso a Lanzarote

Il bambino che è nato a bordo del gommone sovraffollato dove 63 persone, (tra le quali altri 4 bambini) hanno tentato di fare spazio alla donna mentre partoriva.

Credits: Reuters via Daily Mirror

Questa foto, pubblicata dal quotidiano inglese Daily Mirror, è stata scattata al largo dell’isola di Lanzarote, in Spagna, la mattina del 6 gennaio da una motovedetta della guardia costiera spagnola.

Il bambino che vedete è nato a bordo del gommone sovraffollato dove 63 persone, (tra le quali altri 4 bambini) hanno tentato di fare spazio alla donna mentre partoriva.

Madre e figlio sono stati trasferiti in un ospedale di Arrecife.

Il capitano del mezzo della guardia costiera che ha soccorso il gommone, Domingo Trujillo, ha raccontato a una tv locale: “Quando siamo arrivati era nato da dieci minuti, il cordone ombelicale era già stato tagliato, l’ha tagliato uno dei migranti. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato tenere in braccio il bambino, darlo alla madre e tenerli al caldo in attesa dell’elicottero che li ha portati a terra. Questa volta per fortuna non ho dovuto tagliare io il cordone. Nel 2020 m’è toccato farlo. Avevamo soccorso dei migranti, una ragazza ha partorito a bordo e il cordone ho dovuto tagliarlo io. È un ricordo bellissimo, ma tagliarlo richiede coraggio, avevo paura di non farlo bene”.

A scuola di integrazione (lavoce.info)

di  e 

Un programma realizzato nelle scuole superiori del 
Nord Italia indica che si possono costruire 
atteggiamenti più aperti e inclusivi nei confronti 
degli stranieri. 

Smontando stereotipi e pregiudizi, spesso alimentati dal dibattito politico e mediatico.

La retorica anti-immigrazione

La retorica e le politiche anti-immigrazione sono diventate sempre più pervasive in Europa e nell’area atlantica, trasformando gli scenari politici e alimentando atteggiamenti ostili verso gli immigrati.

La recente elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, con le sue promesse di “deportazioni di massa”, o la costruzione di centri di accoglienza in Albania da parte di Giorgia Meloni, confermano la centralità degli atteggiamenti e delle preferenze dell’opinione pubblica sull’immigrazione nel plasmare gli orizzonti politici e sociali delle società contemporanee.

Comprendere i fattori che influenzano tali atteggiamenti è dunque una questione urgente, oggetto di studio in diversi campi delle scienze sociali e politiche.

In una recente indagine che abbiamo condotto nelle scuole superiori nel Nord Italia (Milano e Genova), abbiamo rilevato che anche i giovani non sono immuni da una relativa ostilità nei confronti degli immigrati, spesso basata su stereotipi e pregiudizi sul fenomeno migratorio. Nello stesso studio abbiamo disegnato e valutato un programma educativo sperimentale che mostra come lo sviluppo di un pensiero critico e l’apprendimento fra pari possono contrastare efficacemente i pregiudizi e migliorare l’atteggiamento dei ragazzi verso l’immigrazione.

L’Italia rappresenta un contesto ideale per studiare l’efficacia di un intervento educativo di questo tipo. Negli ultimi vent’anni, la quota di popolazione straniera è cresciuta rapidamente (dal 2,3 per cento nel 2001 al 10 per cento nel 2022) e con una grande diversità nella sua composizione. Il cambiamento si riflette anche tra i banchi di scuola, dove circa il 10 per cento degli studenti (21 per cento nel Nord Italia) ha un background migratorio o non ha la cittadinanza italiana (i cosiddetti “immigrati di seconda generazione”).

Secondo i dati Pisa-Ocse del 2018, gli adolescenti italiani si collocano ben al di sotto della media europea per “atteggiamenti di apertura verso gli immigrati” e “rispetto delle altre culture”. I nostri dati confermano che, nonostante vi siano legami di amicizia e integrazione tra studenti italiani e stranieri all’interno della stessa classe, circa un terzo dei ragazzi pensa che in Italia “ci sono troppi immigrati”, che “gli immigrati aumentano il tasso di criminalità” e che “ci rubano il lavoro”.

Il programma “Integrazione – Oltre i pregiudizi”

In collaborazione con Helpcode Onlus e l’Università di Genova, abbiamo dunque sviluppato “Integrazione – Oltre i pregiudizi” (Ibp), un programma di pedagogia attiva pensato per gli studenti delle scuole superiori, che ha come obiettivo la decostruzione dei pregiudizi e la costruzione di atteggiamenti più aperti e inclusivi nei confronti degli stranieri.

Il programma si svolge nell’arco di due lezioni da due ore ciascuna, integrate nel normale orario scolastico, e si concentra su due aspetti fondamentali: (i) fornire dati reali sull’immigrazione, correggendo le false credenze; (ii) sviluppare il pensiero critico attraverso attività di gruppo interattive, volte a stimolare la riflessione sui propri pregiudizi e favorire il dialogo nelle classi tra studenti italiani e immigrati.

Una caratteristica importante del programma è il coinvolgimento di studenti universitari formati come “educatori tra pari”, una figura chiave per migliorare il coinvolgimento degli studenti più giovani e by-passare i potenziali pregiudizi degli insegnanti.

L’efficacia del programma è stata valutata rigorosamente attraverso un esperimento controllato su oltre 4.500 studenti di quaranta scuole superiori situate a Milano e Genova, città con una forte presenza di immigrati. Le classi sono state divise in maniera casuale in due gruppi: uno ha partecipato al programma, mentre l’altro ha continuato le normali attività scolastiche.

Abbiamo misurato gli effetti dell’intervento attraverso questionari individuali sugli atteggiamenti verso l’immigrazione ed esperimenti comportamentali, come giochi strategici che simulano decisioni economiche e richieste di donazione a favore di associazioni che forniscono supporto agli immigrati.

I risultati: meno stereotipi e più apertura

Gli studenti che hanno partecipato al programma hanno mostrato un significativo miglioramento degli atteggiamenti verso gli immigrati. Il numero di quelli che affermano che “ci sono troppi immigrati in Italia” è diminuito del 10 per cento dopo il trattamento; allo stesso modo, la percezione che gli immigrati aumentino la criminalità è calata dell’8 per cento.

Inoltre, nel contesto di un gioco incentivato (ultimatum game), nelle classi di controllo osserviamo comportamenti discriminatori nei confronti dei giocatori di origine straniera, che invece vengono completamente annullati nelle classi assegnate al programma.

Uno dei risultati più interessanti riguarda l’effetto della composizione delle classi. Il programma ha avuto il maggiore impatto in quelle con una percentuale più elevata di studenti immigrati. Ciò indica che in contesti più diversificati, il dialogo e l’interazione tra studenti italiani e di origine straniera giocano un ruolo fondamentale nel superamento dei pregiudizi.

Nelle classi miste, infatti, è probabile che il programma dia voce e valorizzi il punto di vista degli studenti stranieri, contribuendo quindi a costruire una vera cultura di inclusione e partecipazione all’interno della classe. Riportando queste considerazioni alla società nel suo complesso, i risultati sono coerenti con altre evidenze empiriche relative al contesto italiano, dove emerge che le caratteristiche socio-culturali e i livelli di integrazione dei contesti che accolgono gli immigrati rivestono un ruolo fondamentale nel ridurre l’ostilità nei confronti dell’accoglienza.

Perché funziona?

Attraverso l’analisi di molteplici fattori che possono contribuire a spiegare i meccanismi alla base del successo del programma educativo, i due elementi che nel nostro studio emergono come particolarmente significativi sono: (i) miglioramento delle conoscenze: molti studenti hanno acquisito informazioni più accurate sul fenomeno migratorio, superando credenze errate e stereotipate; (ii) cambiamento delle norme sociali percepite: gli studenti coinvolti nel programma ritengono che i loro compagni abbiano opinioni più favorevoli nei confronti degli immigrati, riducendo così la pressione a conformarsi a pregiudizi negativi.

Il programma, invece, non sembra ridurre i pregiudizi impliciti, né aumentare i livelli di empatia o la frequenza delle interazioni sociali con gli studenti stranieri. Nel complesso, quindi, i risultati suggeriscono che le attitudini anti-immigrati sono principalmente influenzate da preoccupazioni sociotropiche legate a questioni collettive e a dinamiche di gruppo, più che da esperienze o preferenze esclusivamente individuali.

Pertanto, per superare queste preoccupazioni è necessario aprire il dibattito pubblico, coinvolgendo anche i diretti interessati (nel nostro caso gli studenti stranieri).

Un modello per il futuro?

La nostra ricerca mostra che i pregiudizi non sono immutabili. Attraverso programmi educativi di pedagogia attiva è possibile decostruire stereotipi e pregiudizi, spesso alimentati da un dibattito politico e mediatico generalizzante, promuovendo così una maggiore apertura e una cultura del rispetto della diversità.

L’esperienza del progetto dimostra che, facendo leva su competenze sia emotive che cognitive, è possibile affrontare apertamente la diversità senza necessariamente avere un contraccolpo sociale. Interventi anche di breve durata, integrati nel contesto scolastico, possono affrontare la complessità dei fenomeni sociali e produrre effetti positivi tangibili sulla percezione e sugli atteggiamenti verso gli immigrati.

Naturalmente, programmi simili potrebbero essere estesi anche agli adulti, amplificando ulteriormente il loro impatto positivo sui processi di integrazione. L’immigrazione e la diversità rappresentano sfide centrali del mondo globalizzato; imparare a convivere con gli altri, costruendo società più inclusive, non è un processo scontato, ma qualcosa che può essere appreso e coltivato.