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Elena Cattaneo spiega perché l’Italia fuori dall’Oms non è una buona idea: «Il nazionalismo scientifico ci manderà a sbattere» (open.online)

di Alessandro D’Amato

La scienziata e senatrice a vita: «Tutelando la 
tua salute oggi tutelo anche la mia domani»

La Lega ha presentato una proposta di legge per far uscire l’Italia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Seguendo la decisione per gli Stati Uniti presa da Donald Trump. Elena Cattaneo, scienziata di fama internazionale e senatrice a vita, spiega cosa c’è che non va nella proposta: «Il nazionalismo scientifico è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione», esordisce in un’intervista a La Stampa.

Secondo Salvini l’Oms è «un centro di potere sovranazionale profumatamente pagato dai contribuenti italiani». E chiede di usare «quei cento milioni» per sostenere la sanità italiana.

L’Italia e l’Oms

«Continuo a credere che l’impegno dei leader politici mondiali dovrebbe essere rivolto a far sì che tutti, in ogni luogo, con ogni Pil, possano beneficiare dei prossimi traguardi sanitari. Non per astratta filantropia, ma perché tutelando la tua salute oggi tutelo anche la mia domani», spiega Cattaneo a Maria Rosa Tomasello.

E sulle critiche all’Oms, rievoca la scienziata, «mi ricorda quando l’alfiere della Brexit, Nigel Farage, sosteneva che abbandonare l’Ue avrebbe consentito di dirottare al sistema sanitario britannico 350 milioni di sterline. Era una bufala, fu lo stesso Farage a riconoscerlo, ma ormai il danno era fatto». Durante la pandemia «l’Oms ha permesso la condivisione di dati e risultati senza i quali vaccini e campagne vaccinali sarebbero arrivati più tardi. Con conseguenze enormi».

La pandemia

E ancora: «La dimensione mondiale dell’Oms ha permesso ai governi di ciascun Paese di attuare misure di protezione che, sebbene criticate per la loro durezza, hanno aiutato a contenere il numero delle vittime. Abbiamo letto di alcune decisioni sbagliate nel gestire una pandemia mai immaginata né sperimentata.

È importante studiare ogni aspetto di quanto accaduto per non ripetere gli stessi errori, se prevedibili». Poi spiega: «Oltre alla disamina dei costi dell’Oms sarebbe interessante capire come i promotori dell’Oms-exit intendano sopperire alle funzioni proprie dell’organizzazione.

Dove recupererebbero i dati globali su cui fondare le azioni necessarie a fronteggiare le emergenze sanitarie nel mondo che toccano tutti. Anche gli Stati Uniti».

Il nazionalismo scientifico

Cattaneo se la prende con «il nazionalismo scientifico, a partire dall’ambito biomedico, l’idea autarchica di una conoscenza che si arresta alle frontiere. Non solo è una contraddizione col metodo della scienza che ha il suo Dna nel confronto senza confini tra studiosi ed enti.

Ma è la ricetta più sicura per andare a sbattere contro il muro dell’ignoranza e della superstizione, producendo povertà e marginalità». Per la scienziata «quando si legifera ignorando, o peggio, distorcendo i dati scientifici salta il rapporto con la realtà, e tutto si riduce a un rapporto di forza, quantitativo, tra chi afferma il dato scientifico che due più due fa 4 e chi sostiene che faccia 3 o 5.

Oggi, sorprendentemente, vivere in una realtà alternativa, dove i dati cambiano a seconda di quello che fa comodo, viene visto da molti come un obiettivo, e non più un pericolo».

Il clima

Infine, Cattaneo rivela che nella comunità scientifica «il clima era di forte apprensione già nei giorni successivi alla rielezione del presidente Trump. Un editoriale della rivista scientifica Nature riportava la preoccupazione della comunità scientifica ma allo stesso tempo invitava gli scienziati degli Stati Uniti a non rinunciare a un dialogo con la nuova amministrazione e a impegnarsi ancora di più nel mettere a disposizione fatti ed evidenze, nella consapevolezza che non sarebbero stati da soli, perché la comunità della ricerca è globale».

elena cattaneo italia oms

Buono o comune, il (doppio) senso inganna (corriere.it)

di Aldo Grasso

Padiglione Italia

Eccessi. Anche nei trumpiani «nostrani» il non porsi limiti semplifica la realtà

Nel suo discorso d’insediamento, Donald Trump ha usato questa espressione: The revolution of common sense . Tutti hanno tradotto «buon senso».

Il concetto è poi stato ribadito in collegamento con Davos. Espellere i migranti in catene, uscire dall’Oms, chiudere gli uffici federali per la diversità, prendere provvedimenti aggressivi e isolazionisti rientra nella sfera di quello che noi chiamiamo «buon senso»?

Dobbiamo ancora fare ricorso a Manzoni quando, a proposito degli untori, scrive: «Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune». Il senso comune (common sense) si propaga come una cascata di gesti incongrui, irrazionali e travolge il buon senso.

È un giudizio affrettato ma condiviso da molti e, come sostiene B. Russell, aiuta a mantenere l’ordine in una società che si adatta all’incompetenza collettiva. È una caricatura di «conoscenza condivisa» che ci accompagna e permette di prendere decisioni più velocemente, semplificando la comprensione della realtà.

In Trump e nei trumpiani nostrani (anche la Lega vuole uscire dall’Oms) tutto è eccesso. Per loro «buon senso» significa non porsi limiti, non riconoscere i contrappesi, sfuggire la complessità: esistono solo maschi e femmine, qualsiasi auto va bene, drill, baby, drill, trivella finché vuoi. Con la forza virile del doppio senso.

Ramy, il video del testimone esisteva ma è stato cancellato: la perizia della Procura inguaia i carabinieri (unita.it)

L'inchiesta

Il video che riprende la parte finale dell’inseguimento avvenuto nella notte tra il 23 e 24 novembre scorso a Milano da parte dei carabinieri, in cui perse la vita Ramy Elgaml, è stato cancellato dallo smartphone di Omar E., testimone presente sul luogo dell’incidente in via Quaranta, all’angolo con via Ripamonti.

A riferirlo sono Agi e Ansa in base a quanto scritto nella consulenza della Procura di Milano depositata oggi: l’esperto chiamato ad analizzare lo smartphone del testimone, richiesto dai pm Marco Cirigliano e Giancarla Serafini, ha infatti spiegato che sul telefono era presente un file video di un minuto e 10 secondi, filmato poi cancellato ma di cui sono rimaste tracce e un singolo frame in cui secondo quanto riferisce l’Agi si vedono quelle che sembrano le luci dell’auto dei carabinieri che arrivano.

Il testimone dell’incidente costato la vita al 19enne Ramy, morto nello schianto dello scooter T-Max guidato dall’amico Fares Bouzidi, aveva riferito che i militari giunti sul posto dopo lo schianto dei due giovani contro il palo di un semaforo gli intimarono di far sparire il video dal suo smartphone, in caso contrario sarebbe stato portato in caserma.

“Quando hanno visto che stavo filmando, erano due pattuglie, due carabinieri in divisa, non so se della prima o seconda macchina – ha messo a verbale il testimone – i carabinieri sono venuti vicino a me e mi hanno fatto una foto al documento e mi hanno detto ‘cancella immediatamente il video, adesso che hai fatto il video ti becchi anche una denuncia’”.

L’analisi tecnica condotta dallo specialista informatico Marco Tinti ha permesso di chiarire che la telecamera del cellulare del testimone era in funzionamento proprio nei momenti in cui si è consumata la tragedia costata la vita a Ramy. Dalla consulenza è emerso inoltre che il giovane alle 4:49, pochi minuti dopo l’incidente, fece delle ricerche online subito dopo la cancellazione del filmato sul tema “come recuperare i file cancellati dal cestino” per tre volte.

Al momento sono tre i carabinieri sotto indagine per la morte di Ramy: oltre al militare alla guida della gazzella coinvolta nell’incidente, indagato per omicidio stradale, altri due colleghi sono sotto inchiesta per depistaggio e frode processuale proprio per la vicenda relativa alle presunte minacce al testimone per la cancellazione del filmato.

Quanto emerso dalla consulenza informatica disposta dalla Procura di Milano potrebbe ovviamente aggravare la posizione dei carabinieri.

Anche Sinner può sbagliare (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Salvo ripensamenti dell’ultima ora, oggi Sinner non parteciperà ai festeggiamenti del tennis italiano al Quirinale e la sua assenza farà più rumore di quanto ne avrebbe fatto la sua presenza.

La giustificazione addotta è medica: il paziente ha bisogno di riposo. Ma se le condizioni di Sinner sono tali da sconsigliare persino una corvée di breve durata — un volo di due ore, quattro fotografie e una stretta di mano con Mattarella — significa che la situazione è davvero preoccupante.

Preferiamo pensare a un’altra ipotesi: che qualcuno lo abbia consigliato male. L’invito del presidente della Repubblica non è equiparabile a quello del festival di Sanremo: chiamarsene fuori procura disagio, specie se il tuo nome è il primo della lista degli invitati. Sembra uno sgarbo, anche se non vuol esserlo.

Uno sgarbo, oltretutto, a un presidente che ama lo sport: chi non lo ricorda alle Olimpiadi, in giacchetta sotto il diluvio?

Queste cerimonie ufficiali sono solo dei riti, obietterà qualcuno. Certamente, ma la forma è sostanza. Andare al Quirinale con gli altri protagonisti del Risorgimento tennistico italiano significava riaffermare la propria appartenenza a quel gruppo.

Disertando l’evento, il nostro fenomeno rischia di mandare il segnale che la sua squadra si esaurisca in sé stesso. Il che probabilmente è vero per ogni campione.

Ma nella sinfonia di Sinner, che un po’ tutti abbiamo contribuito a suonare, appare come una nota stonata.