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Gli indovini della resa che ci vendono la sconfitta dell’Ucraina (ildubbio.news)

di Daniele Zaccaria

Buffoni

Nelle ultime settimane molti seguaci del professor Orsini pretendono che il mondo dell’informazione italiana gli chieda scusa perché lui aveva previsto tutto.

Ma se oggi Kiev è messa all’angolo, non è per lo strapotere militare di Mosca…

Noi giornalisti quando intervistiamo esperti, professori e politologi chiudiamo spesso con una domanda stupidissima ma inevitabile: «Come andrà a finire?».

È una pulsione irrazionale ma legittima perché interpreta il bisogno di certezze che abbiamo di fronte a una grave crisi o a un conflitto minaccioso, la stessa che ci porta a consultare gli oroscopi anche se non crediamo nelle pseudo scienze.

Le osservazioni e le analisi non ci bastano, vorremmo degli indovini o dei profeti che ci rassicurino che ci orientino negli imperscrutabili labirinti dell’avvenire. Ma questo non è possibile: nessuno è mai stato in grado di prevedere il futuro in nessuna epoca storica. Altrimenti avremmo prevenuto ed evitato tante tragedie.

Qualcuno ha previsto gli attentati dell’11 settembre o che Adolf Hitler non si sarebbe fermato alla questione dei sudeti? Certo, c’è chi ha lanciato degli allarmi o chi, come Winston Churchill, mise in guardia il mondo sulle reali intenzioni della Germania nazista, ma fare la Storia con il senno di poi è un esercizio facile e non particolarmente onesto.

Ora, nelle ultime settimane molti seguaci del professor Alessandro Orsini pretendono che il mondo dell’informazione italiana gli chieda scusa perché lui «aveva previsto fin dall’inizio la sconfitta dell’Ucraina e la vittoria di Vladimir Putin». Insomma, ce l’aveva detto e noi non lo abbiamo ascoltato.

Trattato come un paria, il nostro esperto di questioni internazionali meriterebbe una riabilitazione e la deferenza che un tempo era riservata ai visionari e ai chiaroveggenti. Ma davvero il buon Orsini aveva indovinato tutto?

Cinque giorni dopo l’invasione Russa nel febbraio 2022, il professore definì l’Ucraina una causa persa, invitando l’Occidente ad abbandonarla permettendo la totale smilitarizzazione del Paese. Era convinto che i blindati di Mosca avrebbero marciato trionfalmente su Kiev e che Zelensky sarebbe scappato in una villa di Miami o eliminato dai russi.

Non è andata così, gli ucraini hanno resistito, soprattutto grazie agli aiuti occidentali. Tant’è che già nel 2023 assunse posizioni più sfumate, spiegando che «è difficile capire cosa accade al fronte». L’anno successivo, con l’offensiva ucraina nel Kursk Orsini sparisce dalle tv per poi riapparire quando cambia il vento e cioè quando l’armata russa lancia la sua controffensiva.

Se oggi l’Ucraina è messa all’angolo non è a causa dello strapotere militare di Mosca o delle diserzioni interne, ma perché l’elezione di Donald Trump ha radicalmente cambiato il contesto, con gli Stati Uniti che, da primo finanziatore di Kiev, sono diventati il primo alleato del Cremlino.

Orsini aveva previsto anche questo?

Gli americani preoccupati per il mercato immobiliare sotto Donald Trump: sondaggio (newsweek.com)

di

Mercati

Gli americani sono sempre più preoccupati per la direzione che il mercato immobiliare statunitense sta prendendo quest’anno, poiché i dazi di Donald Trump minacciano di causare un aumento dei costi di costruzione, bloccando i nuovi progetti di costruzione per l’inventario tanto necessario.

Secondo un nuovo sondaggio condotto dalla società immobiliare Clever Real Estate, con sede a St. Louis, il 70% degli americani teme un imminente crollo del mercato immobiliare, mentre il 95% è preoccupato per gli aumenti dei prezzi su tutta la linea quest’anno.

Perché è importante

Una crisi di accessibilità economica durata anni che ha spinto milioni di aspiranti acquirenti di case ai margini del mercato ha portato l’edilizia abitativa in prima linea nei problemi che riguardano gli elettori americani in vista delle elezioni presidenziali del 2024.

Trump si è candidato con la promessa di abbassare il costo della vita imponendo tariffe ai partner commerciali e rilanciando l’economia nazionale, mentre si è impegnato a rendere gli alloggi più accessibili liberando l’inventario attraverso le deportazioni di massa e aprendo terreni federali per la costruzione di nuove case residenziali.

Tuttavia, gli esperti hanno espresso preoccupazione per il fatto che alcune di queste politiche potrebbero esacerbare l’attuale carenza di manodopera nel settore delle costruzioni e il costo dei materiali per l’edilizia residenziale potrebbe aumentare a causa delle tariffe su paesi come il Canada, da cui gli Stati Uniti importano una notevole quantità di legname di conifere.

Cosa sapere

La maggioranza degli elettori americani ha espresso frustrazione per la gestione dell’economia statunitense da parte dell’amministrazione Joe Biden in vista del 5 novembre che ha determinato il ritorno di Trump alla Casa Bianca. Ma a poco più di due mesi dall’insediamento del presidente, pochi pensano di stare meglio ora.

Uno su quattro dei 1.000 americani intervistati da Clever Real Estate si sente economicamente meglio rispetto a sei mesi fa, e un terzo (34%) prevede di stare meglio tra sei mesi rispetto a oggi.

Per lo più, sono incerti su ciò che accadrà all’economia degli Stati Uniti: l’81% è preoccupato per i dazi e le potenziali guerre commerciali, mentre il 72% crede che danneggeranno l’economia del paese.

Donald Trump(Il presidente Donald Trump parla alla stampa dopo aver firmato un ordine esecutivo nello Studio Ovale della Casa Bianca il 26 marzo 2025 a Washington, DC. Win McNamee/Getty Images)

Dubitano anche che il presidente possa risolvere la situazione: la maggioranza, il 63 per cento, pensa che il governo non stia attualmente prendendo le misure giuste per affrontare le loro preoccupazioni economiche.

E alcuni temono che una recessione dell’economia statunitense eroderà ulteriormente la loro capacità di tenere il passo con l’aumento del costo delle abitazioni. Il trentadue percento pensa che non sarà in grado di permettersi i pagamenti dell’alloggio a causa dell’economia del 2025.

Le principali preoccupazioni economiche per quest’anno, secondo l’indagine, sono l’aumento dei costi assicurativi (95%), l’inflazione (94%), l’economia statunitense in generale (89%), l’aumento dei costi di manutenzione e riparazione della casa (89%) e l’aumento delle tasse sulla proprietà (88%).

Tre quarti degli americani (74%) pensano che l’inflazione peggiorerà nel prossimo anno e il 70% è più preoccupato per l’aumento del costo della vita ora rispetto a settembre dello scorso anno.

Fondamentalmente, il sondaggio è stato condotto tra il 5 e il 9 marzo, prima che Trump imponesse una tariffa del 25% su tutte le auto e alcune parti di auto importate negli Stati Uniti.

Cosa dicono

Realtor.com economista senior Joel Berner ha dichiarato in una dichiarazione: “Non c’è dubbio che lo stato attuale del mercato immobiliare sia fonte di ansia per i potenziali acquirenti e venditori/ Gli acquirenti si trovano di fronte a tassi ipotecari elevati, che sono destinati a rimanere elevati a causa della natura inflazionistica della politica commerciale dell’amministrazione Trump”.

Ha aggiunto, indicando che un crollo immobiliare completo è improbabile a causa della domanda repressa: “Se i prezzi delle case scendessero, ci aspetteremmo una raffica di attività di acquisto da parte delle famiglie represse della nazione che sono in attesa di formarsi, il che sosterrebbe il mercato in modo naturale”.

Danielle Hale, capo economista di Realtor.com, ha dichiarato in precedenza a Newsweek: “Se l’economia statunitense dovesse entrare in recessione ora, le vendite di case sono appena al di sopra dei minimi a lungo termine e potrebbero non avere molto altro da scendere. Ma lo stress economico tra i proprietari di case potrebbe indurre una crescita più rapida delle scorte che potrebbe portare a un indebolimento dei prezzi, un fenomeno che non vediamo da molto tempo”.

Susan Wachter, professoressa di immobiliare presso la Wharton School dell’Università della Pennsylvania, ha dichiarato in precedenza a Newsweek: “È probabile che una recessione smorzi la domanda di abitazioni, inizialmente a causa dell’insicurezza sulle prospettive di lavoro. Tuttavia, è probabile che i tassi ipotecari diminuiscano ulteriormente e questo può spingere all’acquisto. Storicamente, i mercati immobiliari hanno aperto la strada alle recessioni, poiché i tassi di interesse in genere scendono in risposta a una politica monetaria espansiva e i prezzi delle case diminuiscono a seguito di un calo della domanda aggregata”.

Michael Ryan, esperto di finanza e fondatore di MichaelRyanMoney.com, ha dichiarato in precedenza a Newsweek: “Giovani coppie che rimandano a casa quell’antipasto. Famiglie bloccate nei cicli di affitto. È come guardare il sogno americano scivolare tra le loro dita, un punto decimale alla volta.

“Quanto di tutto questo è opera di Trump? È complicato. I suoi colloqui sui dazi e le politiche sull’immigrazione stanno spaventando i costruttori di case. L’indice del mercato immobiliare scende a 42? Questa è più di una semplice statistica; Questa è la fiducia che evapora”.

Qual è il prossimo passo

Il modo in cui le persone percepiscono l’economia ha un impatto diretto sull’andamento dell’economia. Il pessimismo che circonda l’economia e il mercato immobiliare degli Stati Uniti potrebbe tenere venditori e acquirenti in disparte, portandolo a un guaio.

Ti regalo Auchan e tu mi paghi (lespresso.it)

di Sergio Rizzo

Dietro la svendita a un euro del patrimonio 
immobiliare italiano del colosso francese una 
maxitangente agli ex vertici Conad. 

Girata attraverso lo schermo di una società con base in Lussemburgo e in cui figurano i parenti dei vecchi manager sotto inchiesta della società leader della grande distribuzione. Al centro il broker Mincione, già dentro lo scandalo vaticano del palazzo di Londra

Se esistesse una hall of fame dei manager italiani, nei primi posti ci sarebbe stato di sicuro anche il nome di Francesco Pugliese da Taranto, classe 1959. Pochi dirigenti d’azienda possono vantare una carriera come la sua, e risultati paragonabili.

Quando a 45 anni è arrivato al vertice di Conad il fatturato del consorzio della grande distribuzione alimentare con base a Bologna era di 6,4 miliardi. Quando è uscito, dopo oltre 18 anni e a 64 d’età, superava i 20. Pugliese aveva fatto le scarpe anche alla potente e imparentata Coop. E perfino ai potentissimi francesi: ma quello non l’avesse mai fatto…

Il problema è l’epilogo. Perché la causa che ora minaccia di macchiare la sua cavalcata trionfale è proprio la partita francese. Il reato principale per cui la procura di Bologna l’ha indagato assieme ad altre persone, coinvolte secondo i magistrati nell’operazione di cui stiamo per parlare, fino al 2012 neppure esisteva. La corruzione tra privati, perché è questa l’ipotesi, è stata introdotta nel 2012 dal governo di Mario Monti.

E prevede pene tutto sommato modeste, tre anni al massimo nel caso di imprese non quotate in Borsa. Ci sono poi altre fattispecie connesse, come l’autoriciclaggio. Ma se le indagini, e magari le sentenze, confermassero quanto sta già emergendo, saremmo di fronte a uno dei casi più clamorosi nel mondo degli affari da quando quel reato di corruzione è stato esteso ai rapporti fra privati.

Tutto comincia nel 2019, quando Conad acquisisce in blocco le attività italiane del gruppo francese Auchan. La digestione è lenta e complicata, ma soprattutto presenta aspetti decisamente singolari. Sono quelli che all’inizio del 2022 rivela Milano Finanza, contribuendo a far emergere con un’inchiesta e alcuni articoli successivi dettagli sconcertanti. Le attività italiane di Auchan si sono rivelate un disastro in piena regola, al punto che nel 2018 la holding francese ha dovuto svalutarle per ben 440 milioni.

Non bastasse, oltre a cederle a costo zero, si impegna a riconoscere a Conad un badwill altrettanto generoso pur di liberarsi di quell’ormai ingombrante fardello. Si profila quindi per il gruppo bolognese un affare clamoroso. Nel pacchetto ci sono migliaia di dipendenti, è vero, ma anche un enorme patrimonio immobiliare.

Ed è adesso che entra in scena un altro personaggio chiave della storia: Raffaele Mincione. Il 14 febbraio 2019, giorno di san Valentino, Conad e Pop 18, la società del gruppo lussemburghese WRM di Mincione, costituiscono dalla notaia milanese Debora Ferro la Bdc Italia. È la società veicolo nella quale verranno collocati tutti gli asset ex Auchan. Conad ha il 51 per cento, mentre il restante 49 appartiene a Mincione.

Ma qui bisogna aprire una parentesi. Chi è il finanziere con base nel Granducato che compare all’improvviso in questo business? Di Raffaele Mincione si è già parlato per le sue iniziative sul fronte bancario, riguardanti in particolare la Banca popolare di Milano, ma anche un tentativo di scalata a Carige.

La sua strada avrebbe anche incidentalmente incrociato quella del futuro presidente del Consiglio, l’avvocato Giuseppe Conte, che era all’epoca il braccio destro di Guido Alpa. Nel consiglio di amministrazione di Carige, Alpa rappresentava secondo la ricostruzione del Fatto quotidiano, proprio l’azionista Mincione allora impegnato in una contesa con l’industriale Vittorio Malacalza per il controllo della banca genovese.

Conte ha smentito di aver avuto un qualsivoglia ruolo nella vicenda Carige. La stessa presidenza del Consiglio ebbe tuttavia occasione di precisare che nel maggio del 2018, prima di assumere l’incarico di premier, Conte aveva redatto un parere pro-veritate «per conto della società Fiber 4.0 di cui il sig. Mincione risulta presidente».

Il nome del finanziere, a poca distanza di tempo, salta poi fuori in un’altra operazione, stavolta immobiliare. Si tratta dell’acquisto a prezzi stratosferici di un immobile a Londra per cui la procura del Vaticano tira in ballo il cardinale Giovanni Angelo Becciu. L’inchiesta della Santa Sede, che si conclude con le condanne di quasi tutti i coinvolti, mette in relazione gli interessi di Mincione con quelli di Gianluigi Torzi, broker dell’affare, titolare della Jci Capital ltd.

Una società, come emerge dalle carte vaticane, che poteva contare su un advisory board di profilo altissimo: c’erano il futuro presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, ex ministro degli Esteri del governo di Silvio Berlusconi, quindi Giulio Tremonti, a sua volta ex superministro dell’Economia del medesimo governo, e infine l’ex ambasciatore e vicepresidente di Leonardo Giovanni Castellaneta.

A dimostrazione del livello delle proprie relazioni, c’è una foto scattata a una cena che Torzi invia a un gruppo WhatsApp nel giugno del 2019. E dove, accanto a Torzi e Frattini, compaiono Giancarlo Innocenzi Botti, ex deputato di Forza Italia, ex commissario dell’Agcom ed ex presidente di Invitalia, nonché Francesco Rocca, ex capo della Croce Rossa oggi presidente della Regione Lazio.

Per completezza d’informazione va ricordato che, dopo la condanna del tribunale vaticano, Mincione ha avviato una causa civile a Londra contro la segreteria di Stato della Santa sede. Il motivo? Vuole un risarcimento per un procedimento che avrebbe ingiustamente offuscato la sua reputazione. Ma torniamo all’operazione Auchan. Mincione si ritrova dunque azionista di minoranza nella società in cui sono collocati tutti i beni ex francesi. Conad ha la maggioranza, ma non ha interesse a consolidare la Bdc Italia.

Anche perché è previsto nei patti che alla fine del percorso, quando attività e immobili ex Auchan saranno stati distribuiti presso le varie cooperative e i punti vendita del consorzio, il socio di minoranza ne rileverà l’intero capitale. Con due distinte mosse. Un 5 per cento finirà alla società lussemburghese Time and Life S.A., la cui sede legale coincide con quella di Pop 18. Mentre il restante 46 per cento è destinato al veicolo societario già titolare del 49 per cento. Normale ingegneria finanziaria, se non fosse per un particolare.

A un certo punto spunta un accordo riservato nel quale si stabilisce che la cessione a Mincione della tranche più grossa, ovvero il 46 per cento della società nella quale sono parcheggiati tutti gli asset appartenuti ad Auchan avverrà, alla fine dell’operazione, a un prezzo «che le Parti, in considerazione degli oneri di ristrutturazione di Auchan e delle società controllate (…) nonché dei conferimenti, quantificano sin da ora definitivamente in euro 1,00». Un solo euro. Possibile?

Possibile che al termine della divisione dei pani e dei pesci francesi ai consorziati non rimanga più nemmeno un negozietto, un magazzino, un sottoscala? Al punto che il valore della società in cui è finito tutto quel ben di dio sia ridotto a zero?

Nessuno, in realtà, è in grado di saperlo. L’entità degli eventuali resti, cioè del patrimonio ex Auchan che non è stato distribuito a valle non è nota, perché mancano a quanto pare i bilanci.

Ci sono però delle cosette che fanno drizzare le orecchie ad alcune centrali cooperative aderenti al consorzio. La prima è che mentre il 46 per cento della Bdc Italia verrebbe ceduto al prezzo simbolico di un euro, per quel misero 5 per cento destinato all’altra società lussemburghese una valutazione invece esiste. Viene comunicata al consiglio di amministrazione Conad il 4 agosto 2021, ed è ben diversa.

Sono 16 milioni di euro. In proporzione, l’intera società varrebbe 320 milioni; significa che il 46 per cento vale almeno 147 milioni. Qualcosa più di un solo euro. La seconda cosetta riguarda i compensi degli amministratori di Bdc Italia: presidente Pugliese, vicepresidente Mincione, e fra i componenti non manca il direttore finanziario di Conad Mauro Bosio.

Come detto, i bilanci sono difficili da trovare. Ma circola una bozza dei costi del solo primo esercizio, il 2019, durato neppure nove mesi. E lì c’è scritto che gli amministratori hanno avuto diritto alla bellezza di 2 milioni 989mila euro. Dettaglio che sembra cozzare con quanto previsto dall’accordo quadro confidenziale, dove c’è scritto che al presidente e al suo vice spetterebbero rispettivamente per il loro mandato diecimila e cinquemila euro oltre al rimborso spese. E gli altri 2 milioni 974mila euro come si giustificano?

Ma la terza cosetta è ancora più curiosa. Perché il 9 dicembre 2019, quando l’operazione Auchan è in pieno svolgimento, ecco un ulteriore accordo riservato. Questa volta i contraenti sono la Wrm capital di Raffaele Mincione e un’altra società italiana. Il suo nome è Ramaf srl, è stata costituita a Milano il 15 novembre del 2017.

L’accordo è vergato in un documento di 15 pagine. Secondo ciò che lì è nero su bianco il gruppo del finanziere con base a Lussemburgo, che ha appena concluso un’alleanza strategica con Conad, utilizzerà i servizi della Ramaf srl per gestire alcuni non meglio specificati investimenti finanziari. In cambio, Mincione pagherà a questa società 10 milioni di euro, entro e «non oltre il 31 dicembre 2020».

Chi c’è dietro alla Ramaf srl? La risposta non è facile, perché c’è di mezzo una fiduciaria, la Eurofindleasing spa, nella quale è custodito il capitale. Ma un piccolo indizio viene dalla visura, nella quale compare il nome dell’amministratore unico. È Fabio Bosio, fratello del direttore finanziario di Conad, con il quale era in società in una modesta ditta immobiliare, la Cube Italy srl.

Poi le insistenze di chi, nel consorzio Conad, vuole vederci chiaro, rendono obbligatorio comunicare ai soggetti interessati l’identità dei reali azionisti della Ramaf. Società, come risulta dai documenti, che «annovera tra i soggetti costitutivi la propria compagine sociale il dott. Pugliese Luigi e il dott. Bosio Paolo». I quali, scartando l’assai poco probabile eventualità di qualche omonimia, non possono che essere parenti, rispettivamente, di Pugliese e Bosio. La puzza di bruciato è sempre più forte.

E comincia a montare la protesta. C’è chi preme per un chiarimento con successiva resa dei conti. Pugliese replica alle critiche non senza una punta d’indignazione rivendicando in pubblico lo spettacolare risultato dell’acquisizione a una convention del consorzio del gigante della grande distribuzione alimentare organizzata in pompa magna. Dice che con l’operazione Auchan ha portato al sistema Conad «quasi 700 milioni di valore».

Ma poi forse gli scappa la frizione. Perché chiosa: «Ci saremmo potuti portare altri 300 milioni di patrimonio se l’avessimo fatta da soli». Cioè senza Mincione? Proprio così: «Siamo arrivati a questo chiedendo aiuto a un terzo, che non serviva. Ribadisco: non serviva».

Ma se non serviva, allora perché? Domanda che qualcuno, ora farà, ma non a una convention aziendale. Intanto sono stati sequestrati beni per 36 milioni e ci sono nove persone indagate, fra cui anche familiari di Pugliese, l’ex direttore finanziario Bosio e suo fratello. L’accusa principale è di aver ottenuto da Mincione 11,3 milioni attraverso una società di consulenza creata con il filtro di una fiduciaria.

Scenario perfettamente compatibile con le rivelazioni di Milano Finanza. Tuttavia dall’indagine della magistratura emergono anche particolari che nella ricostruzione a suo tempo fatta da quel giornale (nel silenzio generale) mancavano. Per esempio che Pugliese, juventino sfegatato e appassionato di auto storiche, avrebbe corso una Mille miglia con una macchina comprata, riferisce l’Ansa, «proprio utilizzando i profitti in ipotesi di accusa illeciti».

Vale sempre il principio per cui tutti sono innocenti fino a sentenza definitiva. Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Perciò il condizionale è d’obbligo. Ma una cosa, senza condizionale, si può dire: comunque vada a finire, non è stato un bello spettacolo.

Germania, Draghi: aumento spese difesa “punto di svolta”, ma Europa agisca (repubblica.it)

di Teleborsa

 La decisione della Germania di aumentare la spesa 
della difesa è "un punto di svolta", ma ci sono 
rischi sul modo in cui verrà attuata. 

Lo ha sottolineato, secondo quanto riporta Bloomberg, l’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi in un panel all’Hsbc Global Investment Summit di Hong Kong.

A preoccupare l’ex primo ministro italiano è il modo in cui la Commissione europea gestisce il cambiamento di politica.

“Se non viene gestito correttamente, la Germania si riarmerà, ma gli altri no”, ha affermato Draghi, soffermandosi poi anche sul tema dazi.

“Se Trump costruisce un muro tariffario, non è nel nostro interesse costruire un muro tariffario. Dobbiamo chiederci: reagire o no?”. L’Europa, ha aggiunto l’ex premier italiano, “è più vulnerabile” di fronte a potenziali shock sul commercio internazionale rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.

“L’Unione Europea ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza. Questi sono i valori costituenti della nostra società europea. Questi valori sono oggi posti in discussione. La nostra prosperità, già minacciata dalla bassa crescita per molti anni, si basava su un ordine delle relazioni internazionali e commerciali oggi sconvolto dalle politiche protezionistiche del nostro maggiore partner. I dazi, le tariffe e le altre politiche commerciali che sono state annunciate avranno un forte impatto sulle imprese italiane ed europee”, aveva detto pochi giorni fa Draghi, durante una audizione al Senato sul suo Rapporto sul futuro della competitività europea.

Ecco i piani di attacco che i consiglieri di Trump hanno condiviso su Signal (theatlantic.com)

di Jeffrey Goldberg and Shane Harris

Politica

L’amministrazione ha minimizzato l’importanza dei messaggi di testo inviati inavvertitamente al caporedattore di The Atlantic.

Pete Hegseth e Michael Waltz(Andrew Harnik / Getty)

Quindi, a proposito di quella chat di Signal.

Lunedì, poco dopo la pubblicazione di una massiccia violazione della sicurezza da parte dell’amministrazione Trump, un giornalista ha chiesto al segretario alla Difesa, Pete Hegseth, perché avesse condiviso i piani su un imminente attacco allo Yemen sull’app di messaggistica Signal. Lui rispose: “Nessuno mandava messaggi ai piani di guerra. E questo è tutto ciò che ho da dire al riguardo”.

Ieri, in un’audizione al Senato, il direttore dell’intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, e il direttore della Central Intelligence Agency, John Ratcliffe, sono stati entrambi interrogati sulla chat di Signal, alla quale Jeffrey Goldberg, caporedattore di The Atlantic, è stato inavvertitamente invitato dal consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz. “Non c’era materiale classificato che è stato condiviso in quel gruppo Signal”, ha detto Gabbard ai membri della Commissione Intelligence del Senato.

Ratcliffe ha detto più o meno la stessa cosa: “Le mie comunicazioni, per essere chiari, nel gruppo di messaggi Signal erano del tutto lecite e lecite e non includevano informazioni classificate”.

Il presidente Donald Trump, interrogato ieri pomeriggio sulla stessa questione, ha detto: “Non si trattava di informazioni classificate”.

Queste dichiarazioni ci hanno posto di fronte a un dilemma. Nella storia iniziale di The Atlantic sulla chat di Signal – il “piccolo gruppo di PC Houthi”, come è stato chiamato da Waltz – abbiamo nascosto informazioni specifiche relative alle armi e alla tempistica degli attacchi che abbiamo trovato in certi testi.

Come regola generale, non pubblichiamo informazioni sulle operazioni militari se tali informazioni potrebbero mettere a repentaglio la vita del personale statunitense. Questo è il motivo per cui abbiamo scelto di caratterizzare la natura delle informazioni condivise, non i dettagli specifici sugli attacchi.

Le dichiarazioni di Hegseth, Gabbard, Ratcliffe e Trump, combinate con le affermazioni fatte da numerosi funzionari dell’amministrazione secondo cui stiamo mentendo sul contenuto dei testi di Signal, ci hanno portato a credere che le persone dovrebbero vedere i testi per giungere alle proprie conclusioni.

C’è un chiaro interesse pubblico a divulgare il tipo di informazioni che i consiglieri di Trump hanno incluso nei canali di comunicazione non sicuri, soprattutto perché le figure di alto livello dell’amministrazione stanno tentando di minimizzare il significato dei messaggi che sono stati condivisi.

Gli esperti ci hanno ripetutamente detto che l’uso di una chat di Signal per discussioni così delicate rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale. Goldberg ha ricevuto informazioni sugli attacchi due ore prima dell’inizio previsto del bombardamento delle posizioni degli Houthi.

Se queste informazioni, in particolare gli orari esatti in cui gli aerei americani stavano decollando per lo Yemen, fossero cadute nelle mani sbagliate in quel cruciale periodo di due ore, i piloti americani e altro personale americano avrebbero potuto essere esposti a un pericolo ancora maggiore di quello che normalmente avrebbero dovuto affrontare.

L’amministrazione Trump sostiene che le informazioni militari contenute in questi testi non sono state classificate, come di solito sarebbe, anche se il presidente non ha spiegato come sia giunto a questa conclusione.

Ieri abbiamo chiesto ai funzionari dell’amministrazione Trump se si opponevano alla pubblicazione dei testi integrali. Nelle e-mail alla Central Intelligence Agency, all’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale, al Consiglio di Sicurezza Nazionale, al Dipartimento della Difesa e alla Casa Bianca, abbiamo scritto, in parte: “Alla luce delle dichiarazioni di oggi da parte di diversi funzionari dell’amministrazione, anche davanti al Comitato di Intelligence del Senato, che le informazioni nella catena Signal sull’attacco degli Houthi non sono classificate, e che non contenga ‘piani di guerra’, The Atlantic sta valutando la possibilità di pubblicare l’intera catena del segnale”.

Abbiamo inviato la nostra prima richiesta di commento e feedback ai funzionari della sicurezza nazionale poco dopo mezzogiorno, e abbiamo dato seguito la sera dopo che la maggior parte non ha risposto.

Nella tarda serata di ieri, l’addetto stampa della Casa Bianca Karoline Leavitt ha inviato una risposta via e-mail: “Come abbiamo ripetutamente affermato, non c’erano informazioni classificate trasmesse nella chat di gruppo. Tuttavia, come hanno espresso oggi sia il direttore della CIA che il consigliere per la sicurezza nazionale, ciò non significa che incoraggiamo la pubblicazione della conversazione.

Si trattava di una deliberazione interna e privata tra il personale di alto livello e sono state discusse informazioni sensibili. Quindi, per questi motivi [sic] – sì, ci opponiamo al rilascio”. (La dichiarazione di Leavitt non ha affrontato quali elementi dei testi la Casa Bianca considerasse sensibili, o come, più di una settimana dopo i primi attacchi aerei, la loro pubblicazione avrebbe potuto avere un impatto sulla sicurezza nazionale).

Un portavoce della CIA ci ha chiesto di nascondere il nome del capo dello staff di John Ratcliffe, che Ratcliffe aveva condiviso nella catena Signal, perché gli ufficiali dell’intelligence della CIA non sono tradizionalmente identificati pubblicamente.

Ratcliffe aveva testimoniato ieri che l’agente non è sotto copertura e ha detto che era “del tutto appropriato” condividere il loro nome nella conversazione di Signal. Continueremo a nascondere il nome dell’ufficiale. In caso contrario, i messaggi non vengono oscurati.

Come abbiamo scritto lunedì, gran parte della conversazione nel “piccolo gruppo Houthi PC” riguardava la tempistica e la logica degli attacchi contro gli Houthi, e conteneva osservazioni di funzionari dell’amministrazione Trump sulle presunte carenze degli alleati europei dell’America. Ma il giorno dell’attacco, sabato 15 marzo, la discussione si è spostata verso l’operatività.

Alle 11:44 ora orientale, Hegseth ha postato nella chat, in maiuscolo, “AGGIORNAMENTO DELLA SQUADRA:”

Il testo sottostante iniziava: “TEMPO ORA (1144et): Il tempo è FAVOREVOLE. Ho appena confermato con il CENTCOM che siamo a GO per il lancio della missione”. Il Centcom, o Comando Centrale, è il comando militare combattente per il Medio Oriente. Il testo di Hegseth continua:

  • “1215et: LANCIO degli F-18 (1° pacchetto d’attacco)”
  • “1345: Inizia la finestra di primo attacco dell’F-18 ‘Trigger Based’ (il terrorista bersaglio è @ la sua posizione nota, quindi DOVREBBE ESSERE PUNTUALE – anche, lancio di droni d’attacco (MQ-9)”

Fermiamoci qui un attimo per sottolineare un punto. Questo messaggio di Signal mostra che il segretario alla Difesa degli Stati Uniti ha inviato un messaggio a un gruppo che includeva un numero di telefono a lui sconosciuto – il cellulare di Goldberg – alle 11:44 del mattino.

Questo avvenne 31 minuti prima del lancio dei primi aerei da guerra statunitensi, e due ore e un minuto prima dell’inizio di un periodo in cui ci si aspettava che un obiettivo primario, il “Terrorista Bersaglio” degli Houthi, sarebbe stato ucciso da questi aerei americani.

Se questo testo fosse stato ricevuto da qualcuno ostile agli interessi americani – o da qualcuno semplicemente indiscreto e con accesso ai social media – gli Houthi avrebbero avuto il tempo di prepararsi per quello che doveva essere un attacco a sorpresa alle loro roccaforti. Le conseguenze per i piloti americani avrebbero potuto essere catastrofiche.

Il testo di Hegseth poi continuava:

  • “1410: LANCIO di altri F-18 (2° pacchetto d’attacco)”
  • “1415: Attacca i droni sul bersaglio (QUESTO È IL MOMENTO IN CUI LE PRIME BOMBE CADRANNO DEFINITIVAMENTE, in attesa dei precedenti obiettivi ‘Trigger Based’)”
  • “1536 F-18 2nd Strike Starts – anche, vengono lanciati i primi Tomahawk basati in mare.”
  • “ALTRO A SEGUIRE (per cronologia)”
  • “Al momento siamo puliti sull’OPSEC”, ovvero sulla sicurezza operativa.
  • “Buona fortuna ai nostri guerrieri.”

Poco dopo, il vicepresidente J. D. Vance scrisse un messaggio al gruppo: “Dirò una preghiera per la vittoria”.

Alle 13:48, Waltz ha inviato il seguente testo, contenente informazioni in tempo reale sulle condizioni di un sito di attacco, apparentemente a Sanaa: “VP. L’edificio è crollato. Aveva più ID positivi. Pete, Kurilla, l’IC, un lavoro fantastico.” Waltz si riferiva qui a Hegseth; il generale Michael E. Kurilla, comandante del Comando Centrale; e la comunità dell’intelligence, o IC.

Il riferimento a “ID positivi multipli” suggerisce che l’intelligence statunitense aveva accertato l’identità dell’obiettivo o degli obiettivi Houthi utilizzando risorse umane o tecniche.

Sei minuti dopo, il vicepresidente, apparentemente confuso dal messaggio di Waltz, ha scritto: “Cosa?”

Alle 14:00, Waltz ha risposto: “Digitando troppo velocemente. Il primo obiettivo – il loro capo dei missili – avevamo un documento d’identità positivo di lui che entrava nell’edificio della sua ragazza e ora è crollato”.

Vance ha risposto un minuto dopo: “Eccellente”. Trentacinque minuti dopo, Ratcliffe, il direttore della CIA, scrisse: “Un buon inizio”, seguito da Waltz con un testo contenente un’emoji del pugno, un’emoji della bandiera americana e un’emoji del fuoco. Il ministero della Salute yemenita gestito dagli Houthi ha riferito che almeno 53 persone sono state uccise negli attacchi, un numero che non è stato verificato in modo indipendente.

Più tardi quel pomeriggio, Hegseth ha postato: “Il CENTCOM era/è sul punto”. In particolare, ha poi detto al gruppo che gli attacchi sarebbero continuati. “Ottimo lavoro a tutti. Altri scioperi in corso per ore stasera e forniremo un rapporto iniziale completo domani. Ma in tempo, in linea con l’obiettivo e finora buone letture”.

Non è ancora chiaro il motivo per cui un giornalista sia stato aggiunto allo scambio di testo. Waltz, che ha invitato Goldberg nella chat di Signal, ha detto ieri che stava indagando “su come diavolo è entrato in questa stanza”.


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La democrazia che lotta per sopravvivere (corriere.it)

di Orhan Pamuk

La mia Turchia che protesta per la libertà

Lo scrittore turco premio Nobel: «L’ultima parvenza di libertà è al capolinea. Inaccettabile e insopportabile»

Nei miei cinquant’anni di vita trascorsi a Istanbul, non ho mai visto tali e tante cosiddette misure di sicurezza per le vie della capitale come negli ultimi giorni.

La stazione della metropolitana di Taksim è stata chiusa, e così pure molte altre stazioni, tra le più trafficate della città. Il governo regionale ha limitato l’accesso a Istanbul per auto e autobus interurbani. La polizia controlla i veicoli in arrivo e respinge chiunque sia sospettato di viaggiare verso la città per prendere parte alle proteste.

Qui e in tutto il Paese, gli schermi televisivi restano accesi ininterrottamente affinché la gente possa seguire gli ultimi drammatici sviluppi politici. Da una settimana, l’ufficio del governatore di Istanbul ha vietato le proteste pubbliche e le manifestazioni politiche — diritti sanciti dalla Costituzione.

Eppure, cortei spontanei e non autorizzati, così come gli scontri con la polizia, sono continuati senza sosta, nonostante sia stato limitato l’accesso a Internet nel tentativo di impedire assembramenti. La polizia usa senza scrupoli i gas lacrimogeni e ha arrestato un numero incalcolabile di persone.

Ci si chiede come questo sia possibile in un Paese membro della Nato e in cerca di adesione alla Ue. Mentre il mondo è distratto da Trump, dalle guerre tra Palestina e Israele, tra Ucraina e Russia, oggi quel poco che resta della democrazia turca sta lottando per la sopravvivenza.

L’incarcerazione del principale rivale di Erdogan, un politico che gode di ampio sostegno popolare, ha portato il giro di vite autoritario del governo a livelli mai visti prima. L’arresto di Imamoglu avviene a pochi giorni dalla nomina formale a candidato presidenziale durante le primarie da parte del principale partito di opposizione turco. Ormai, sia i sostenitori che gli oppositori del governo sono giunti alla medesima conclusione: Erdogan considera Imamoglu una minaccia politica e vuole liberarsene.

Imamoglu ha ottenuto più voti rispetto al Partito della Giustizia e dello Sviluppo di Erdogan nelle ultime tre elezioni municipali di Istanbul. Quando, nell’aprile 2019, Imamoglu sconfisse il candidato del partito di governo, Erdogan annullò il risultato, citando presunte irregolarità tecniche. Le elezioni furono ripetute due mesi dopo.

Imamoglu vinse di nuovo, con un margine di vittoria addirittura superiore rispetto al primo scrutinio. Alle successive elezioni amministrative del 2024, dopo cinque anni in carica, Imamoglu ha nuovamente sconfitto il candidato del partito di Erdogan, ed è stato eletto sindaco di Istanbul per la terza volta. Il suo solido percorso elettorale e la sua crescente popolarità lo hanno reso il principale candidato dell’opposizione, l’unico in grado di sfidare con successo Erdogan alle prossime elezioni presidenziali.

Il rovescio della medaglia è che Erdogan ha adottato contro il suo avversario la stessa strategia che fu usata contro di lui ventisette anni fa. Nel 1998, Tayyip Erdogan era il sindaco eletto di Istanbul e una figura molto popolare.

L’establishment laico e militare considerava pericolosa la sua versione dell’Islam politico e pertanto fu arrestato e incriminato (nel suo caso, per incitamento all’odio religioso dopo aver recitato una poesia politica durante un comizio). Erdogan venne successivamente rimosso dalla carica di sindaco e trascorse quattro mesi in prigione.

Tuttavia, la sua incarcerazione e il suo rifiuto ostinato di collaborare con l’establishment e di piegarsi alle richieste repressive dell’esercito contribuirono ad accrescere ulteriormente il suo profilo politico. Come hanno sottolineato alcuni commentatori, l’arresto di Imamoglu, che ha respinto le accuse e ha promesso a sua volta di «non piegarsi», potrebbe avere lo stesso effetto indesiderato, rendendolo persino più popolare.

Nato ed Europa

Com’è possibile che accada in un Paese della Nato che vuole entrare nella Ue?

Tuttavia, oggi la situazione non è esattamente la stessa. Imamoglu è vittima di un tentativo deliberato e determinato di estrometterlo dalla corsa politica. Il giorno prima del suo arresto, la stampa filo-Erdogan e il rettore dell’Università di Istanbul, nominato da Erdogan, hanno dichiarato non valido il suo titolo di studi, citando presunte irregolarità nel suo trasferimento da un’università privata.

Poiché in Turchia solo i laureati possono candidarsi alla presidenza, la mossa mira a squalificare Imamoglu, che ha già annunciato l’intenzione di contestare la decisione. A queste accuse sono seguite le imputazioni di corruzione e terrorismo.

Tacciare di «terroristi» gli oppositori politici è una tattica che Erdogan ha adottato dopo il fallito colpo di Stato militare del 2016, quando una fazione delle Forze armate turche cercò di prendere il controllo del governo. Nel 2019, quando lo scrittore austriaco Peter Handke, criticato per aver sostenuto l’ex leader serbo Slobodan Milosevic, vinse il Premio Nobel per la Letteratura, Erdogan si oppose fermamente alla decisione.

Colto alla sprovvista, senza tener conto del telesuggeritore, dichiarò: «Hanno dato lo stesso premio a un terrorista turco!». Proprio quel giorno rientravo a Istanbul da New York e stavo quasi per cancellare il volo, quando il portavoce di Erdogan è intervenuto per chiarire che il presidente non si riferiva al sottoscritto.

Un tribunale manovrato da Erdogan ha ora incarcerato Imamoglu con l’accusa di corruzione, ma senza formulare il reato di «terrorismo». Un’accusa del genere consentirebbe a Erdogan di insediare un suo candidato alla guida del Comune di Istanbul — una posizione che il suo partito non riesce a conquistare da ben tre elezioni consecutive — e, come molti temono, di stornare parte delle entrate fiscali della città per finanziare attività di propaganda e pubblicità per il suo partito.

Incarcerando Imamoglu, Erdogan non si limita a emarginare un rivale politico più popolare di lui, ma tenta altresì di mettere le mani sulle risorse economiche che non ha potuto toccare per sette anni. Se dovesse riuscirci, alle prossime elezioni presidenziali solo i volti di Erdogan e del suo candidato riempiranno i muri della città e i cartelloni luminosi municipali.

Quanto accade non sorprende affatto chi segue da vicino la politica turca. Da un decennio a questa parte, la Turchia non è più una vera democrazia, ma solo una democrazia elettorale: si può votare per il proprio candidato preferito, ma non esiste libertà di parola né di pensiero. Il governo turco ha infatti cercato di ridurre la popolazione a un’uniformità forzata.

Nessuno osa parlare nemmeno dei molti giornalisti e funzionari pubblici che sono stati arrestati arbitrariamente negli ultimi giorni, sia per dare maggior peso e credibilità alle accuse di corruzione contro Imamoglu, come pure nella convinzione che, con tutto quello che sta succedendo, nessuno ci farà caso.

Ora, con l’arresto del politico più popolare del Paese, il candidato che avrebbe sicuramente ottenuto la maggioranza dei voti alle prossime elezioni nazionali, persino questa forma limitata di democrazia è giunta al capolinea. Tutto questo è inaccettabile e profondamente insopportabile, ed è il motivo che spinge un numero sempre maggiore di persone a partecipare alle recenti proteste. Per il momento, nessuno può prevedere che cosa ci riserva il futuro.

(Traduzione di Rita Baldassarre)