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Melenchon e la moralità alternata (corriere.it)

di Stefano Montefiori

Per gli Insoumis, i deputati della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon«è immorale essere miliardari», a meno che il riccastro non sia russo. In quel caso la virulenza anticapitalista scompare, le invocazioni all’esproprio vengono dimenticate, la lotta di classe abbandonata: di fronte all’ipotesi di confiscare i beni congelati degli oligarchi di Mosca, la proprietà non è più denunciata come un furto, ma doviziosamente tutelata. 

Gli Insoumis, di solito chiassosi rivoluzionari adepti del «rumore e del furore» anche all’Assemblea nazionale, diventano pensosi guardiani della legalità internazionale: non sia mai ledere il sacrosanto diritto alla ricchezza di un oligarca, magari amico di Putin e complice dei massacri condotti dalla Russia in Ucraina.

Nel momento in cui Trump volta la faccia e l’Unione europea è chiamata a aumentare gli sforzi per aiutare Kiev, uno dei modi possibili per trovare i soldi necessari è ricorrere agli oltre 200 miliardi di euro congelati nelle banche europee. È una questione difficile, controversa, e tra i meno entusiasti c’è anche il presidente francese Emmanuel Macron.

Ma Macron è sempre stato dipinto, proprio dagli Insoumis di Mélenchon, come l’ex banchiere di Rothschild, il servo della finanza mondiale, l’alfiere della prepotenza del capitale.

Se si tratta di difendere i beni dei miliardari russi, all’improvviso anche gli anticapitalisti «insoumis» si piegano alle ragioni del rispetto del patrimonio.

Il deputato Bastien Lachaud lo spiega così: «La bussola è il rispetto del diritto internazionale. E poi, se confiscassimo i beni russi, nessun investitore straniero metterebbe più i suoi soldi in Francia, e la Russia applicherebbe le stesse misure contro di noi. Invece di mettere in ginocchio l’economia russa, danneggeremmo la nostra».

Neanche il Medef, la Confindustria francese, avrebbe saputo esprimere meglio lo scrupolo di non turbare i capitalisti. Quanta prudenza, quanta cautela, grazie alla Russia

La sceneggiata di Conte e dei Cinquestelle contro il riarmo Ue (linkiesta.it)

Turisti del populismo

Deputati, senatori ed europarlamentari del M5s hanno srotolato striscioni e mostrato cartelli contro von der Leyen dentro e fuori il Parlamento europeo di Strasburgo, nell’indifferenza generale

C’è chi dice no, come recita una canzone neanche troppo vecchia, in fin dei conti. C’è Conte, Giuseppe, l’ex presidente del Consiglio volato a Strasburgo con l’intera delegazione europea del Movimento 5 Stelle proprio per dire «no» al piano di difesa comune “RearmEu” presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Una mattinata impegnativa per i pentastellati, intenti a urlare al mondo tutto il loro disappunto sui temi cardine di questa plenaria: difesa, sicurezza e spesa a sostegno dell’Ucraina, da tre anni costretta a subire l’aggressione da parte della Russia. «Urlo e non mi senti», sembrano dire Conte e gli altri Cinquestelle, richiamando un titolo stavolta ben più recente.

Nessuno gli ha dato troppo peso. Mentre il Parlamento europeo riunito in seduta plenaria si stava cominciando a popolare, di buon mattino il gruppo ha esposto uno striscione giallo con su scritto “Basta soldi per le armi”. Tutti in posa, cheese, qualche scatto e poi dentro che fa freddo a Strasburgo quando il sole è ancora basso.

Mentre già cominciano a circolare i primi comunicati dopo la prima azione dimostrativa della mattina, il caffè va preso in fretta perché alle 9 comincia la discussione. Ursula von der Leyen ha introdotto il dibattito sulla sicurezza europea e la difesa comune citando Alcide De Gasperi, sottolineando la necessità di tutelare l’Ucraina fornendo a Kyjiv «solide garanzie» e richiamando l’urgenza di agire compatti per difendere l’integrità dell’Europa.

Qualcuno si oppone? Nella casa della democrazia europea chiunque ha diritto a dire quello che pensa entro i canoni del rispetto reciproco. Ma di fronte alle immagini dei disastri di Bucha, Irpin e Mariupol – ci si augura – fisse negli occhi, fingere di non vedere la realtà suona forse peggio di non condividere una determinata posizione.

E così, ecco il secondo atto della manifestazione di dissenso a cinquestelle. Dalla tribuna più alta dell’emiciclo, per intenderci quella riservata ai turisti e alle scolaresche in gita, decine di cartelli gialli, neri e qualche bandiera della pace si sono alzate all’unisono per dire “no”, ancora, a chi invece dal centro dell’Aula si alternava per porre all’attenzione di Parlamento, Commissione e Consiglio proposte, strategie e idee per affrontare il tema della sicurezza europea in maniera costruttiva.

Turisti della democrazia. All’interno di un edificio che incarna con ogni sua pietra l’esaltazione delle differenze, scambiare visioni anche diametralmente opposte alimenta il processo democratico tanto caro ai padri fondatori. Farsi riprendere dalla security alsaziana per essersi alzati in piedi ed aver disturbato durante la discussione come una classe delle superiori in gita, invece, probabilmente non farebbe felici né De Gasperi, né Schuman, né chiunque altro ha dedicato la propria vita per la libertà europea.

La stessa che ora, con la minaccia di Vladimir Putin sempre più incombente e con l’avvicinamento di Washington al Cremlino, è più in pericolo di quanto non sia mai stata negli ultimi decenni. Undici e trenta, l’ora x comunicata a tutti i giornalisti.

E poco importa se Antonio Costa deve ancora pronunciare il suo intervento conclusivo in emiciclo, il punto stampa incombe. Tutti insieme per una foto ricordo davanti alla parete esterna color frassino dell’Aula con i cartelli e le bandiere, gli stessi che erano stati esposti poco prima dalle tribune.

Quousque tandem abutere, Conte, patientia nostra? Finalmente il presidente del Movimento arriva davanti alle telecamere, scortato da alcuni fedelissimi mentre il resto della delegazione tutta è in posa dietro di lui, a fare da sfondo alle dichiarazioni per la stampa italiana ed estera.

«Non vogliamo l’Europa delle armi, vogliamo l’Europa della pace. Non possiamo permetterci di spendere ottocento miliardi e programmare un’economia di guerra, vogliamo un’economia sociale, della sanità, della scuola, del welfare e del capitale umano. È il futuro dei nostri giovani: sembra che stiamo entrando in guerra, noi respingiamo tutto questo».

Poche parole, qualche frase fatta e poi l’invito ai cronisti a porre domande. Poi Conte risponde alle domande, dice che «l’architettura di sicurezza non si costruisce sperperando soldi in armi senza un serio progetto di difesa comune», peccato che in aula se ne stesse parlando proprio stamattina, a partire dalle opinioni di chi vive quotidianamente le difficoltà di frontiera con la Russia.

Una giornalista finlandese chiede di spiegare ai lettori di un paese confinante con la Russia com’è possibile sostenere di voler rafforzare la sicurezza europea senza spendere in armi: «La soluzione migliore è il dialogo e la mediazione», assicura Conte. «Ma come si fa a negoziare con Putin?», incalza la cronista. «Trump sta negoziando per noi a Riad, dovremmo essere lì», dice Conte, riferendosi a chi per primo lo rese celebre col nome Giuseppi.

Chissà se l’ex premier si è però accorto che a quei tavoli, oggi, l’Europa non c’è perché è stata tagliata fuori da Stati Uniti e Russia, ed è proprio questo il punto: parlare di sicurezza europea vuol dire prendere atto che dopo anni passati su allori a stelle e strisce è arrivato il momento di pensare a una difesa unica a stelle gialle su sfondo blu.

Che sono più di cinque, ma forse a qualcuno i conti non tornano.

Perché la fortuna di Tesla è in calo mentre Elon Musk si avvicina sempre più a Donald Trump? (milanofinanza.it)

di Becky Peterson e Sean McLain

The Wall Street Journal

Le posizioni politiche del ceo Musk erodono l’attrattiva del marchio tra alcuni acquirenti di veicoli elettrici: «Lo idolatravo»

Pochi marchi sono così strettamente legati alla figura del loro ceo come Tesla. Per gran parte della sua storia, questo legame ha rappresentato un vantaggio per l’azienda. L’impegno di Elon Musk nel ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e la sua missione di rendere le auto elettriche più accessibili hanno attratto moltissimi acquirenti, desiderosi di supportare la sua visione di un futuro tecnologico e sostenibile.

Ora che Musk si è avvicinato a Donald Trump ed è entrato a pieno titolo nel panorama politico nazionale, molti proprietari di Tesla e potenziali acquirenti si stanno chiedendo che tipo di messaggio trasmette oggi guidare un’auto della casa automobilistica. Questo cambiamento si sta riflettendo in numeri preoccupanti per l’azienda.

Garth Ancier, dirigente televisivo di Los Angeles, ricorda una conversazione avuta più di un anno fa con altri due proprietari di Tesla sul percepito pubblico della vettura: «Mi dissero: mi sento a disagio a guidare questa macchina in giro, è come indossare un enorme cappello rosso Maga».

Oggi, Ancier sta cercando di vendere la sua Model X, acquistata quattro anni fa. «Se non fosse per il comportamento di Musk, probabilmente resterei con Tesla».

Un calo della fedeltà al marchio

Tesla, leader indiscusso nella produzione di veicoli elettrici negli Stati Uniti, ha sempre goduto di una forte lealtà da parte dei suoi clienti. Tuttavia, recenti sondaggi indicano un’erosione della sua attrattiva, con conseguenze finanziarie evidenti.

Nel 2022, prima che Musk si immergesse nelle elezioni presidenziali, un sondaggio della società di consulenza automobilistica Strategic Vision rivelava che il 22% degli acquirenti di auto avrebbe preso in considerazione l’acquisto di una Tesla, una percentuale simile a quella di marchi di lusso come Mercedes-Benz e BMW.

Nell’estate del 2023, questa percentuale era scesa al 7%, un livello paragonabile a Lincoln Dodge, e da allora non si è più ripresa. «Al momento, non vediamo segni di miglioramento», ha dichiarato Alexander Edwards, presidente della società di consulenza, sottolineando come l’orientamento politico di Musk sia in contrasto con l’approccio ambientalista che ha storicamente attratto gli acquirenti di Tesla.

A dicembre, il 63% degli intervistati ha dichiarato che non prenderebbe in considerazione l’acquisto di una Tesla, con un aumento di circa 10 punti percentuali rispetto alla primavera precedente. Né Tesla né Musk hanno risposto alle richieste di commento su queste dinamiche.

Proteste e difficoltà di mercato

Di recente, dopo che Musk ha sostenuto licenziamenti di massa nel settore pubblico e ha appoggiato un partito di estrema destra in Germania, sono scoppiate proteste davanti agli showroom Tesla negli Stati Uniti e in Europa. Alcuni negozi e stazioni Supercharger sono stati vandalizzati, con graffiti e simboli come svastiche.

Le difficoltà di Tesla, però, vanno oltre la reazione alle posizioni politiche del suo ceo. L’azienda sta affrontando una forte concorrenza da parte di altri produttori di veicoli elettrici, che stanno lanciando nuovi modelli e offrendo promozioni aggressive. Inoltre, problemi di qualità e la svalutazione dell’usato stanno minando la percezione del marchio, proprio mentre la concorrenza si avvicina a Tesla in termini di tecnologia e autonomia delle batterie.

Vendite in calo

Nel 2023, le consegne globali di Tesla sono diminuite dell’1%, la prima contrazione in oltre un decennio, mentre il mercato complessivo delle auto elettriche è cresciuto del 25%. Negli Stati Uniti, le vendite di Tesla sono scese del 7% l’anno scorso e di un ulteriore 2% nei primi due mesi del 2024, secondo i dati della società di ricerca Wards Intelligence.

Le difficoltà si stanno manifestando anche nei mercati internazionali. A febbraio, le immatricolazioni di Tesla sono crollate del 76,3% in Germania e del 26% in Francia. In CinaTesla ha consegnato 30.688 auto, registrando un calo del 49% rispetto all’anno precedente, in parte a causa della crescente concorrenza delle case automobilistiche locali.

Gli analisti attribuiscono questi cali a vari fattori di mercato, incluso il fatto che alcuni clienti stiano aspettando il restyling della Model Y previsto per questo mese. Tuttavia, le scelte politiche di Musk sembrano avere un impatto, soprattutto in Europa. «Quando entri in politica, c’è sempre un rischio», ha osservato Felipe Munoz, analista della società di ricerche automobilistiche Jato Dynamics.

L’effetto Trump

Dopo la vittoria di Trump, il valore delle azioni Tesla era aumentato, con gli investitori convinti che la vicinanza di Musk al presidente potesse avvantaggiare l’azienda. Inoltre, il maggiore focus del ceo sull’intelligenza artificiale e la robotica aveva alimentato l’ottimismo su nuovi sviluppi tecnologici, come il lancio di un’auto completamente autonoma nel 2026.

Nel 2024, tuttavia, il titolo è crollato del 35%, cancellando gran parte dei guadagni post-elettorali. Nonostante ciò, Tesla mantiene una valutazione di circa 847 miliardi di dollari, più di qualsiasi altra casa automobilistica.

I dati di vendita e i sondaggi indicano che la politica sta influenzando la domanda. Secondo una ricerca di Morning Consult, i repubblicani sono ora più propensi ad acquistare una Tesla rispetto ai democratici, un’inversione di tendenza rispetto al passato.

La percentuale di democratici interessati a comprare una Tesla è scesa dal 23% nell’agosto 2023 al 13% a febbraio 2024, mentre quella dei repubblicani è salita dal 15% al 26%. Tuttavia, alcuni analisti sottolineano che gli elettori conservatori sono più esitanti nell’acquistare un veicolo elettrico, il che potrebbe rendere difficile convertire questo nuovo sostegno in vendite effettive.

I dati sulle immatricolazioni raccolti da S&P Global Mobility suggeriscono un calo delle vendite Tesla in aree tradizionalmente progressiste come New York, Los Angeles, San Francisco e Dallas, mentre si registra un aumento in città come Las Vegas, Salt Lake City e Miami-Ft. Lauderdale.

Dipendenti e azionisti in fuga

Alcuni clienti e investitori stanno prendendo le distanze da Musk. Diego Leporini, imprenditore della California, ha acquistato la sua prima Tesla nel 2023, ma ora vuole venderla e ha già ceduto le sue 83 azioni dell’azienda in segno di protesta contro il legame tra il ceo e Trump. All’interno di Tesla, alcuni dipendenti stanno esprimendo preoccupazioni. Jared Ottmann, ingegnere della supply chain, ha criticato pubblicamente le posizioni di Musk su LinkedIn e ha rivelato di aver sollevato internamente il problema più volte senza ottenere risposte dall’azienda.

Dopo essersi rifiutato di cancellare il post, è stato licenziato. Anil Patel, ingegnere Tesla per oltre quattro anni, ha lasciato l’azienda a dicembre, scrivendo ai colleghi: «Le scelte di Musk in politica sono il motivo principale per cui me ne vado».

Il futuro di Tesla

Alcuni membri del consiglio di amministrazione e dirigenti ritengono che il rapporto di Musk con Trump possa portare vantaggi a lungo termine. Tuttavia, per molti ex sostenitori, il cambiamento è stato troppo drastico. Bob Eckert, un ex fan di Musk, ha venduto la sua Model Y a febbraio, subendo una perdita di 3.000 dollari, e l’ha sostituita con una Ford Mustang Mach-E, approfittando di un finanziamento a tasso zero e un bonus per chi abbandonava Tesla.

Larry Broughton, pensionato del Texas, ha cancellato i suoi ordini per due Cybertruck: «Non voglio più avere nulla a che fare con Tesla».

(Translated from the original version by Milano Finanza Editorial Staff)