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Giorgia ma non per tutti (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

È più forte di lei, di tanti, di quasi tutti i leader della nuova era.

Non parlano più alla Nazione ma alla fazione, come se fossero soltanto leader di partito, e di un partito eternamente all’opposizione. Dalla presidente di Fratelli d’Italia ci si può aspettare che segnali le contraddizioni del Manifesto di Ventotene, i cui autori teorizzavano un’Europa unita, ma anche l’abolizione della proprietà privata e la sospensione temporanea della democrazia.

Sono proprio queste le intemerate che i suoi elettori amano sentirle fare, perché servono a rappresentare lei come una combattente e la sinistra come degli snob ipocriti che disprezzano il popolo nel cui nome pretendono di parlare.

Dalla presidente del Consiglio dei ministri mi sarei invece aspettato che non si affacciasse in un’aula parlamentare per compiacere i suoi elettori e tirare calci negli stinchi ai suoi avversari. Da chi ricopre certe cariche è legittimo auspicare che voli un po’ più alto, no?

Che riconosca il valore simbolico di quel documento, scritto da persone mandate al confino dal fascismo e quindi in un contesto politico e psicologico molto particolare. E che, liquidate le contraddizioni con una battuta, ne faccia suoi i punti fondamentali, anziché prenderne le distanze nell’eterno giochino del Noi contro Loro.

Quando sei il capo del governo, o di un condominio, tutti i tuoi amministrati diventano Noi. Anche Loro. Ma forse la mia è un’illusione, molto più datata del Manifesto di Ventotene.

Manifesto di Ventotene: che cosa non torna nella lettura di Meloni (pagellapolitica.it)

di Davide Leo, Federico Gonzato

La presidente del Consiglio ha citato alla Camera 
alcune frasi del documento, suscitando le critiche 
dei partiti all’opposizione
Il 19 marzo, durante le comunicazioni alla Camera di Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo, ci sono stati alcuni momenti di tensione tra la presidente del Consiglio e alcuni deputati dei partiti all’opposizione.
Meloni è intervenuta in aula e, al termine della sua replica, ha detto di non avere del tutto chiara «l’idea di Europa» sostenuta dai partiti all’opposizione. «Nella manifestazione che è stata fatta sabato a Piazza del Popolo, e anche in quest’aula, è stato richiamato da moltissimi il Manifesto di Ventotene.Ora, io spero che queste persone non abbiano mai letto il Manifesto di Ventotene, perché l’alternativa sarebbe spaventosa», ha detto Meloni, facendo riferimento alla manifestazione a sostegno dell’Unione europea tenutasi Roma il 15 marzo.
A seguire, la presidente del Consiglio ha citato alcuni passaggi contenuti nel Manifesto di Ventotene, alludendo al fatto che le idee di questo documento non siano democratiche. «Cito: “La rivoluzione europea per rispondere alle nostre esigenze dovrà essere socialista”.E fin qui vabbè. “La proprietà privata dovrà essere abolita, limitata, corretta, estesa per caso, non dogmaticamente caso per caso”», ha detto Meloni, riprendendo alcune parti del documento, aggiungendo: «Non so se questa è la vostra europa, ma certamente non è la mia».
Le parole di Meloni sul Manifesto di Ventotene hanno suscitato la reazione dei partiti di opposizione, che hanno protestato contro la presidente del Consiglio. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana è stato costretto a interrompere la seduta due volte, rinviando il voto finale sulle risoluzioni in vista del Consiglio europeo.
«Voler delegittimare gli autori, unanimemente riconosciuti come i fondatori morali dell’Europa, grazie ai quali Giorgia Meloni può sedere in Parlamento come presidente del consiglio, è stata un’operazione inaccettabile», ha commentato il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, deputato di Alleanza Verdi-Sinistra.«Non è accettabile fare la caricatura degli uomini protagonisti del Manifesto di Ventotene, lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qui grazie a quei visionari che erano confinati politici. Vergona! Vergogna! Vergogna!», ha detto in aula, con una certa enfasi, il deputato del Partito Democratico Federico Fornaro.
Un’Europa «libera e unita»
Il Manifesto di Ventotene, il cui titolo completo è Il Manifesto per un’Europa libera e unitaè un documento scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel 1941 quando erano confinati a Ventotene, un’isola del Mar Tirreno che oggi fa parte della provincia di Latina. Spinelli e Rossi erano due noti antifascisti che durante il periodo della dittatura fascista scontarono oltre dieci anni di carcere a causa della loro opposizione al regime.
Dopo essere stati detenuti in diverse carceri italiane, i due furono confinati entrambi a Ventotene, dove si incontrarono e iniziarono a collaborare politicamente.Il principale frutto di questa collaborazione è, appunto, il Manifesto di Ventotene, pubblicato per la prima volta nel 1944 in un’edizione clandestina a cura di Eugenio Colorni, anche lui confinato per un periodo sull’isola.Il testo completo del manifesto è scaricabile sul sito del Senato ed è diviso in tre parti: la prima è dedicata alla crisi della civiltà moderna e ai conflitti tra le nazioni (il documento è stato scritto nel pieno della Seconda guerra mondiale); la seconda parte è intitolata “Compiti del dopo guerra – L’unità europea” ed esprime la necessità, secondo gli autori, di un’azione politica per realizzare al più presto una Federazione europea che superasse i confini e l’autorità nazionale; la terza e ultima parte riguarda“La riforma della società”, intesa come un «potenziamento della civiltà» contro la disuguaglianza e i privilegi sociali dell’«era totalitaria».
In generale, le istituzioni italiane ed europeeconsiderano il Manifesto di Ventotene come uno dei «testi fondatori» dell’odierna Unione europea, per la sua capacità di individuare in anticipo la necessità di superare il concetto di Stato nazionale per unirsi in un’Europa di tipo federale. Proprio per la stesura del manifesto, oggi Altiero Spinelli è annoverato dalla stessa Ue tra i “Pionieri dell’Ue”.
Nonostante i riconoscimenti, però, in questi giorni e anche in passato più di una voce ha espresso dubbi sul fatto di considerare il Manifesto di Ventotene come un modello per l’Europa del futuro, soprattutto a causa della sua presunta matrice socialista e rivoluzionaria.
Le critiche al Manifesto
Di recente, il dibattito sul Manifesto di Ventotene è iniziato a partire dall’11 marzo, quando il quotidiano la Repubblica, principale organizzatore e sponsor della manifestazione del 15 marzo, ha allegato una copia omaggio del manifesto all’edizione giornaliera del quotidiano, sottintendendo quindi una certa continuità tra quanto scritto da Spinelli e Rossi e la manifestazione di Piazza del Popolo a Roma, a cui hanno partecipato principalmente le forze progressiste ed europeiste del centrosinistra.
Nei giorni successivi all’iniziativa di Repubblica, diverse testate e commentatori politici hanno criticato alcune parti del Manifesto di Ventotene. Con tutta probabilità, nel suo discorso Meloni ha fatto riferimento a un articolo pubblicatolo scorso 17 marzo da Il Giornale dal titolo: «Il manifesto europeista? Contro la proprietà privata».L’articolo riprende alcune frasi contenute nel manifesto di Spinelli e Rossi, affermando in sostanza che gli ideali dietro a questo documento non fossero del tutto democratici.
Tutte le frasi citate da Meloni sono effettivamente contenute nel Manifesto di Ventotene, da quella sulla necessità di una «rivoluzione socialista» in Europa al discorso sulla proprietà privata da limitare. Il giorno precedente sul sito del giornalista di Mediaset, Nicola Porroè stato pubblicato un articolo secondo cui «il Manifesto di Ventotene disegna un’Europa molto, molto simile all’Urss» e che in generale il testo «conserva passaggi orribili per un liberale», mentre per affaritalianiil documento del 1941 «non è un inno alla democrazia».

Frasi decontestualizzate

Secondo gli esperti, però, i riferimenti alla rivoluzione socialista, al superamento degli Stati nazionali e all’abolizione della proprietà privata vanno inseriti nel contesto storico in cui il Manifesto di Ventotene è stato scritto.
«Il Manifesto di Ventotene nasce in una fase in cui c’era una volontà di riscattarsi rispetto alla dittatura nazifascista», ha detto a Pagella Politica Marco Cuzzi, professore associato di storia contemporanea all’Università degli Studi di Milano. «È ovvio che il documento, come tutti i documenti, risente dei tempi e dei periodi storici in cui sono stati redatti. Non dobbiamo mai attaccarci a nessun documento come un dogma».
Anche Paolo Pombeni, professore emerito di Storia dei sistemi politici europei all’Università di Bologna, ha spiegato a Pagella Politica che «come sempre, ciascun documento è figlio di una storia». Nel 1941, quando il manifesto è stato scritto, secondo Pombeni c’era un sentire comune che pensava che «il futuro fosse il socialismo: poi c’erano diversi tipi di socialismo, autoritario, liberale, comunista. Lo stesso Alcide De Gasperi, democristiano, immaginava una socializzazione della società, che certo non era il socialismo di Palmiro Togliatti, comunista, ma era comunque il segno di un sentimento comune dopo il totalitarismo».
Che il Manifesto di Ventotene non sia un testo eversivo o rivoluzionario per gli storici lo si evince anche dalla personalità e dalla storia politica dei suoi autori. «Spinelli era la persona più lontana dall’idea di creare uno stato stalinista o sovietico, per non parlare dei suoi amici Rossi e Colorni», ha aggiunto Cuzzi. «Parliamo di socialriformisti, liberalsocialisti. Tutta gente che sotto i regimi comunisti sarebbe finita tranquillamente in galera o peggio».
Il documento quindi andrebbe considerato principalmente per la sua capacità di trattare per la prima volta di temi come l’Europa unita piuttosto che per un suo progetto di rivoluzione socialista. «Dal punto di vista della visione europea, il richiamo storico al Manifesto di Ventotene è d’obbligo e non si può non considerarlo uno dei documenti di riferimento dell’Europa di oggi», ha concluso Cuzzi.«Prendere alla lettera il manifesto di Ventotene, come fa Meloni, e alludere che sia un programma per l’oggi è ridicolo», ha affermato Pombeni.
«Tengo però a precisare che sarebbe importante anche per chi si oppone a Meloni di non prendere a sua volta il Manifesto di Ventotene come la “Bibbia”, altrimenti diventa un feticcio e si perde di vista il contesto in cui è stato scritto».
Entrambi gli studiosi quindi concordano nel considerare il testo di Spinelli e Rossi come uno dei simboli dell’Unione europea, ma i suoi obiettivi programmatici devono essere inseriti nel giusto contesto storico e non possono essere presi alla lettera come programma dell’Ue del futuro.
«Sarebbe come prendere il Capitale di Marx adesso e pensare che possa essere applicato all’economia attuale», ha concluso Pombeni.

Il piano von der Leyen potrebbe non bastare. Ma la Difesa europea non sia un’utopia (ildubbio.news)

di Antonella Rampino

L’analisi

Con il vento che tira sull’Atlantico, e che gonfia le vele a Putin, gli europei non possono più fare affidamento, in materia di sicurezza, sulle garanzie americane

Ma, proponendo all’Europa 800 miliardi di nuove spese militari, Ursula von der Leyen non avrà scambiato il mezzo per il fine?

Certo, con il vento che tira sull’Atlantico, e che gonfia le vele a Putin, gli europei non possono più fare affidamento, in materia di sicurezza, sulle garanzie americane. E dunque, la deterrenza è indispensabile. Certo, quei formidabili investimenti potrebbero essere un formidabile volano per la ripresa economica, e aprire la porta dell’extradeficit, sin qui tenuta chiusa a doppia mandata dai Paesi “rigoristi”.

Ma se anche solo una modesta parte di quel malloppo venisse prelevata dai fondi di coesione, come pare probabile, l’Unione Europea di Ursula von der Leyen avrà tradito se stessa due volte, riarmando Riarm Europe e non Protect Europe è lo slogan che ha lanciato la Commissione – una comunità nata sulle ceneri di due Guerre Mondiali con il preciso scopo di impedire che si ripetessero, e sottraendo risorse essenziali al suo scopo costitutivo che, Trattato di Nizza articolo 2, è lo sviluppo e il benessere e dei suoi cittadini.

Vedremo dal vertice straordinario di oggi se la realtà si sarà hegelianamente incaricata di mettere ordine, visto che vige ancora il criterio delle decisioni all’unanimità e dato che alcuni dei 27 si metteranno di traverso, ma il progetto di incrementare la deterrenza è una condizione necessitata dalla brutalità con la quale la presidenza Trump ha ribaltato il vecchio ordine mondiale, nato sulle ceneri della Seconda Guerra Mondiale: Trump attacca quotidianamente l’Europa – e si vedrà di quale portata sarà la guerra commerciale contro Bruxelles – proprio perché la Ue di quel vecchio ordine mondiale è la personificazione.

In più, centrale in tutta l’operazione è il costituendo governo di Berlino, con il futuro Cancelliere Merz che ha annunciato mille miliardi di investimenti, quasi la metà in spese militari, in deroga al vecchio Patto di Stabilità. Una novità, questa, rilevantissima e positiva per un’eurozona mal sopravvissuta alle varie crisi finanziarie degli anni Dieci del millennio a furia di misure pro- cicliche ispirate e imposte proprio in nome di teutonici rigorismi.

Ma il punto è che, si trattasse pure di trilioni di trilioni, non basta la spesa militare a garantire sicurezza, e nemmeno a fare deterrenza. Serve la volontà politica. Ovvero, la proposta von der Leyen avrebbe avuto un senso eccome, se ce lo avrebbe avuto – se fosse stata un tassello, il gradino di una scala lungo la quale, condividendo un forte aumento di spesa in armamenti, si prendono decisioni comuni, aprendo la strada alla costruzione di una Difesa europea.

E di lì poi, scrutando l’orizzonte lungo, a una politica estera e a una politica economica comune. Utopia, la solita utopia europea, si dirà. Eppure l’Europa è nata, e cresciuta, proprio così.

L’inaspettata e immediata reazione di Francia e Gran Bretagna, il vertice di Parigi e quello di Londra convocati all’indomani del raccapricciante assalto al quale Trump e Vance hanno sottoposto Zelensky alla Casa Bianca, non erano prevedibili, specie considerando che il Regno Unito non è più nell’Ue, e considerando la storica “special relationship” che ha sempre legato Londra e Washington.

Non era prevedibile il cambio di rotta di Berlino, essendo tra l’altro Merz cresciuto nell’ombra del falco dei rigoristi tedeschi, quello Schauble che tentò tra l’altro in ogni modo di impedire l’ingresso dell’Italia nell’euro. Non era affatto detto che l’Europa avrebbe avuto uno scatto di dignità, che avrebbe prontamente reagito: sembrava caduto nel nulla anche l’ultimo grido di Mario Draghi, un paio di settimane fa, «fate qualcosa».

Adesso, perchè si proceda, perché si stabilisca qual è il fine e quali sono i mezzi, serve leadership. Quel che Macron e Starmer hanno mostrato di avere, e quel che purtroppo manca a von der Leyen che, con buona pace delle sue astuzie da doppiofornista, troppo spesso assomiglia a un portavoce più che a una presidente di Commissione.

Leadership, e volontà di andare avanti, anche non necessariamente a 27. Anche perché, senza un progetto chiaro, senza visione politica, difficilmente le opinioni pubbliche europee accetteranno i sacrifici che richiederanno quelle formidabili spese in armamenti.

E questo vale anche, e soprattutto, per l’Italia, che sarebbe colpita non poco dal taglio ai fondi coesione, e per il suo governo che al momento galleggia tra Washington e Bruxelles.

Ungheria: il Parlamento approva una legge per vietare la marcia del Pride (lemonde.fr)

di Le Monde con AFP

I partecipanti alla sfilata sono passibili di una 
multa fino a 500 euro. 

L’opposizione ha interrotto il voto accendendo fumogeni e suonando l’inno russo nell’emiciclo.

Martedì 18 marzo, il parlamento ungherese ha approvato a larga maggioranza una legge per vietare la marcia del Pride, segnando un’escalation nella politica del primo ministro nazionalista Viktor Orban di limitare i diritti delle persone LGBT+.

Il testo “vieta lo svolgimento di un assembramento che violerebbe la legislazione” del 2021, secondo la quale non è possibile promuovere “l’omosessualità e la riassegnazione del sesso” ai minori. Presentato solo il giorno prima, è stato adottato con una procedura eccezionale a larga maggioranza dalla coalizione di governo, sostenuta da parlamentari di estrema destra (136 voti a favore, 27 contrari).

L’opposizione ha interrotto il voto accendendo fumogeni e suonando l’inno russo nell’emiciclo. La legislazione, che modifica la legge sulla libertà di riunione, mira a garantire che possano aver luogo solo eventi “che rispettino il diritto dei bambini a un corretto sviluppo fisico, mentale e morale”.

Per gli organizzatori della parata, prevista per il 28 giugno di quest’anno, si tratta di “un ulteriore passo avanti nella fascinazione della società”. “Fin dall’infanzia, abbiamo dovuto lottare per l’accettazione e la parità di diritti. La Pride March porta alla luce questa lotta quotidiana”, hanno reagito, denunciando “il tentativo del governo di disumanizzarli”.

Riconoscimento facciale

I partecipanti alla sfilata sono passibili di una multa fino a 500 euro, somma “che sarà devoluta a scopo di tutela dell’infanzia”. Con la possibilità per la polizia di identificare i trasgressori grazie a strumenti di riconoscimento facciale.

Nonostante questa minaccia, la gente “vuole venire e mostrare il proprio sostegno alla comunità”, ha detto il portavoce della marcia Mate Hegedus all’Agence France-Presse (AFP). “Non ci lasceremo intimidire dal governo, che sta cercando un capro espiatorio”, ha insistito.

Questo voto ha spinto diverse migliaia di persone in strada. “Non abbiamo paura!”, hanno scandito, bloccando l’accesso a un ponte della capitale in serata.

Martedì sera hanno ricevuto il sostegno del commissario europeo per l’uguaglianza. “Siamo al fianco della comunità LGBTQI, in Ungheria e in tutti gli Stati membri”, ha scritto Hadja Lahbib su X. “Il diritto di riunione pacifica è un diritto fondamentale che deve essere difeso in tutta l’Unione europea”, ha aggiunto.

Contesto teso

Incoraggiato dall’arrivo del suo alleato Donald Trump alla Casa Bianca, Viktor Orban continua a rafforzare la sua retorica e l’arsenale legislativo. Sabato ha definito i suoi nemici politici – giudici, media e ONG – “cimici”, promettendo di “eliminare questo esercito ombra”. All’ordine del giorno ci sono anche revisioni costituzionali, con l’obiettivo di espellere le persone con doppia cittadinanza ritenute traditrici della nazione o stabilire che una persona è “o un uomo o una donna”.

Questa offensiva arriva in un contesto pre-elettorale teso, con Viktor Orban che affronta una sfida senza precedenti in quindici anni di governo nella persona di Peter Magyar, un conoscitore dei misteri del sistema che è diventato un feroce critico.

“È molto facile guadagnare voti limitando i diritti di una tale minoranza in una società molto conservatrice”, ha detto Szabolcs Hegyi dell’associazione per le libertà civili TASZ.

Anche se la legge ha principalmente lo scopo di “dissuadere le persone dal partecipare”, l’esperto mette in guardia contro un divieto del modello russo, “senza equivalenti nell’Unione europea” e “totalmente contrario alla Carta europea dei diritti fondamentali”.

Dove “ci fermeremo?” si preoccupa. Se la libertà di riunione viene modificata per “adattarla agli interessi politici, c’è il rischio di una situazione in cui praticamente nessuno sarà in grado di manifestare, tranne coloro che sostengono il governo”.

Nel suo discorso sullo stato della nazione a febbraio, Viktor Orban aveva “consigliato agli organizzatori della marcia del Pride di non preoccuparsi di prepararsi per la parata di quest’anno: è uno spreco di denaro e tempo”. Dal suo ritorno al potere nel 2010, il leader affiliato al Cremlino è stato accusato dalla stragrande maggioranza dei suoi alleati europei di aver gradualmente minato lo stato di diritto.

Ciò ha portato a diverse procedure da parte di Bruxelles, tra cui il congelamento di diversi miliardi di euro di fondi europei.

Davanti al Parlamento ungherese, a Budapest, 14 giugno 2021. (Davanti al Parlamento ungherese, a Budapest, 14 giugno 2021.