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Gli attacchi russi sull’Ucraina alla vigilia dei colloqui, e la distanza tra parole e fatti (linkiesta.it)

di

Bad guy

Tra sabato e domenica, uno sciame di droni di fabbricazione iraniana ha colpito ancora Kyjiv. Undici persone sono rimaste ferite e tre uccise. Qualche giorno prima Steve Witkoff, inviato speciale dell’Amministrazione Trump, aveva definito Putin «non una persona cattiva»

La notte tra sabato e domenica, Kyjiv non ha chiuso occhio. Per tutta la notte, la difesa antiaerea ucraina ha cercato di fermare (l’ennesimo) attacco massiccio di droni iraniani lanciati dai russi contro le retrovie e le abitazioni civili della capitale ucraina.

La mattina presto, i notiziari hanno diffuso informazioni precise: cinque zone della capitale sono state colpite, undici persone ferite, tra cui un neonato di undici mesi, e tre persone uccise, tra cui una bambina di cinque anni e suo padre. La famiglia della piccola Nikol si era trasferita a Kyjiv dalla regione di Zaporizhzhia, dove gli attacchi russi sono continui. La sua città natale, Orikhiv, oggi si trova a quindici chilometri dalla linea del fronte.

A Kyjiv pensavano di trovare pace e un futuro per la loro famiglia. Invece, gli attacchi aerei russi colpiscono anche dove l’esercito non è (ancora) arrivato, rendendo la vita invivibile persino lontano dal fronte. Insieme alla piccola Nikol è stato ucciso suo padre, mentre la madre è stata portata in ospedale.

Nei video che documentano l’attacco alla capitale si vedono i droni iraniani colpire direttamente le abitazioni civili. Le zone prese di mira non ospitano obiettivi militari strategici, solo palazzi residenziali. Questa strategia limita anche la risposta della difesa aerea ucraina, che cerca di evitare di mettere a rischio la vita dei civili.

La mattina dopo l’attacco, i social media ucraini sono esplosi con messaggi di solidarietà per le vittime. Scorro i messaggi degli amici, che a loro volta hanno conoscenti tra i residenti degli edifici colpiti. Nel raccontare la tragedia, lanciano anche raccolte fondi per aiutare chi ha perso i propri cari o la casa a causa degli incendi provocati dall’impatto dei droni.

I volontari ucraini, esperti da tempo nella raccolta fondi, suggeriscono di trasformare la rabbia contro i russi in donazioni per l’esercito ucraino, l’unico modo per non sentirsi impotenti di fronte all’aggressione russa, che, secondo le dichiarazioni dello stesso aggressore, avrebbe dovuto essere sospesa per i trenta giorni pattuiti.

Dopo quelle dichiarazioni della scorsa settimana, il cessate il fuoco è stato interrotto appena un’ora dopo con attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine. Gli Stati Uniti, autoproclamatisi mediatori tra Russia e Ucraina, continuano a dichiarare (senza crederci davvero) che Putin avrebbe ordinato l’abbattimento dei droni diretti verso l’Ucraina subito dopo aver messo giù la cornetta, al termine della sua lunga conversazione con Trump.

Negli ultimi tre anni, l’Ucraina e gran parte dell’Europa hanno imparato a non credere alle parole del dittatore russo, ma a giudicare dai fatti. E i fatti di oggi sono i piani superiori di palazzi civili bruciati nella capitale e in altre città ucraine, come Sumy, dove nei giorni scorsi sono stati colpiti due ospedali.

La situazione nella città al confine con la Russia è estremamente grave: il governo ucraino ha avviato un piano di evacuazione per i villaggi più vicini al confine, sottoposti a bombardamenti sistematici ogni giorno. Nella regione vivono 270mila residenti locali, oltre a trentamila sfollati interni provenienti dai territori occupati dall’esercito russo.

L’evacuazione di queste zone si preannuncia un compito estremamente difficile, anche perché i convogli organizzati potrebbero essere colpiti dagli stessi droni, una pratica tristemente consolidata nella strategia russa di guerra.

Venerdì scorso, in un’intervista con il conduttore di destra Tucker Carlson, Steve Witkoff, inviato speciale dell’amministrazione Trump in Medio Oriente, ha definito Putin «non una persona cattiva» e un leader «abile» che starebbe cercando di porre fine al conflitto su larga scala lanciato da Mosca contro Kyjiv tre anni fa. L’ultimo attacco alla capitale tra sabato e domenica mostra chiaramente la sua «grande volontà» di fermare l’aggressione.

Ormai, la serietà e l’accuratezza delle dichiarazioni della Casa Bianca convincono pochi, anche se in Italia si continua a spacciare per realtà il wishful thinking sulla fine del conflitto.

Siamo giunti a una fase estremamente delicata, in cui la distanza tra parole e fatti cresce in modo spropositato. Dobbiamo rimanere vigili per non cadere nel baratro delle false promesse russe, perché risollevarsi sarà estremamente doloroso. E gli ucraini, sul dolore, hanno molto da raccontare.

(AP Photo/Efrem Lukatsky)

Il futuro dell’Europa e dell’Ue (affarinternazionali.it)

Nathalie Tocci, Direttore dello IAI, è stata 
ospite a Spazio Transnazionale su Radio Radicale, 
il programma condotto da Francesco De Leo.

Durante l’intervista, ha discusso delle sfide future per l’Europa, dell’evoluzione dell’Unione europea e della difesa europea, considerando il contesto della guerra in Ucraina e le dinamiche transatlantiche.

Infine, Tocci ha commentato le dichiarazioni di Giorgia Meloni in merito al Manifesto di Ventotene e alla sua visione dell’Europa.

È impero dovunque (ilfoglio.it)

di Adriano Sofri

Piccola Posta

Trump e Putin parlano al telefono, prima e dopo droni e missili tempestano l’intera Ucraina. Netanyahu ha ribombardato Gaza e reimbarcato Ben Gvir. Erdogan, riaccolto tra gli europei, ha arrestato il suo rivale in capo, inscenando un colpo di stato

Cose così succedono una volta a ogni morte di papa, e nemmeno. L’uomo di Mosca alla Casa Bianca aveva parlato con Putin per più di due ore: devono essersene dette di tutti i colori, a proposito di donne e motori. “Ti ricordi di quella volta all’hotel Ritz Carlton di Mosca?” Sai che risate. In questo contesto, devono aver rifatto il nome di Odessa, mania di donnaioli.

Sul resto d’Ucraina si sono sbrigati. Bombardamenti sospesi sulle centrali “e le infrastrutture”. Per il resto, fuoco a libertà. Putin ha chiesto un piccolo favore di dettaglio: smettere di armare e illuminare l’Ucraina con l’intelligence.

Me lo tieni fermo mentre lo meno, e gli metti anche una benda sugli occhi. Gran bella telefonata, sarà ricordata più del telegramma di Ems. Gran bella giornata, il martedì 18 marzo 2025, trascorso nella trepidante attesa della telefonata fra i due bellimbusti.

Prima e dopo la telefonata, la Russia ha tempestato di droni e missili l’intera Ucraina – ha mandato in fiamme anche la frontiera occidentale di Palanca, per abbaiare alla Moldova.

L’Europa dei volenterosi un po’ aspettava un po’ si muoveva, includendo Norvegia e Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda, e un po’ di Giappone, e soprattutto la Turchia, il famoso secondo esercito della Nato. Tutt’attorno un piatto ricco, nessuno avrebbe rinunciato a ficcarcisi.

Netanyahu aveva appena ribombardato Gaza e reimbarcato Ben Gvir. Erdogan, riaccolto alla tavola europea – da quella russa non era mai uscito – aveva una prateria davanti a sé, come dicono. Ha insultato Israele e arrestato Ekrem Imamoglu, il suo rivale in capo.

Sono andati di notte in un battaglione di giannizzeri a casa sua, a frugare e ammanettare, però hanno lasciato che indossasse la camicia e si mettesse la cravatta e si riprendesse mentre faceva il nodo – gli avrebbero dato una mano a stringere. Invece che montare colpi di stato finti contro di lui, Erdogan questa volta ha semplicemente inscenato il proprio colpo di stato, e l’ha perfezionato facendo annullare il diploma di laurea di Imamoglu.

Tocco d’artista. Il rivale imprigionato e bocciato a scuola, da far invidia al Doge. E’ impero dovunque, tardo, tardissimo impero. Zelensky era andato in Finlandia. Ci pensate, alla Finlandia? C’è una universale comprensione in giro per il desiderio della Russia di non avere la Nato ai propri confini. Finlandia e Russia hanno un confine di 1340 km, si passa su e giù che è un incanto, pattinando sul ghiaccio.

Mentre scrivo, si aspetta, ma poco poco, che si telefonino Trump e Zelensky. Ancora una volta, niente sarà mai più come Prima. Quando è finito, Prima, e dove?