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Le bufale sulla condanna di Marine Le Pen (open.online)

di David Puente

Sui social vengono omesse le informazioni riguardo le indagini e il processo, al fine di insinuare che non ci siano prove
Dopo la condanna in primo grado di Marine Le Pen per appropriazione indebita di fondi europei, sui social stanno circolando alcune narrazioni fuorvianti che mettono in dubbio la legittimità del procedimento e minimizzano la gravità dei fatti, omettendo elementi fondamentali e ignorando anni di indagini giudiziarie.
Analisi
La narrazione viene condivisa con il seguente testo:

ECCO PER COSA È STATA CONDANNATA MARINE LE PEN“Sto scoprendo cose sul caso Le Pen che nemmeno nella serie “ai confini della realtà”.Sapete quando è partita l’indagine che ha portato alla recente sentenza di primo grado contro la Le Pen per uso indebito dei fondi messi a sua disposizione dalla UE per svolgere la propria attività di europarlamentare? L’Ufficio europeo antifrode (OLAF) dichiarò di aver rilevato irregolarità e aprì un’indagine amministrativa nei suoi confronti, udite udite, nel… 2014! Guarda caso proprio l’anno in cui Le Pen iniziò il mandato da europarlamentare francese a seguito delle elezioni europee che videro il partito di destra Front National ottenere una vittoria storica in Francia con il 24,89% delle preferenze ottenendo ben 24 seggi.Quindi, secondo i fatti che dovremmo berci, alla neoeletta europarlamentare, forte di un’onda di consensi senza precedenti, venne praticamente concesso dalla UE di continuare ad accedere ai fondi e di utilizzarli indebitamente, fino al 2016, e la stessa Le Pen lo fece pur sapendo di essere sotto indagine dell’antifrodeNemmeno una banda di minus habens certificati avrebbe potuto mettere in piedi una situazione più incoerente di questa in tutti i sensi. Non solo. Per decidere se alla fine i fondi erano stati utilizzati indebitamente, sono serviti alla magistratura 10 anni e guarda caso si è arrivati a una conclusione proprio quando la Le Pen ha ipotecato la vittoria delle prossime elezioni francesi. Ora iniziate a capire un po’ meglio quello che è successo? Eh?”(Dall’account Twitter AXE)BONUS“Sapete su cosa è stata condannata Marine Le Pen? Sul fatto che un ex parlamentare del FN avrebbe scritto una mail in cui diceva che “Marine è d’accordo” sul fatto che non fossero i parlamentari a nominarsi i portaborse ma dovevano aspettare le indicazioni del partito”.(Bonifacio Castellane su X)STAY TUNED

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima parte del testo

Il testo è composto da due pubblicazioni su X. La prima viene attribuita all’utente X “AXE” (@axe_xx_). Ecco il post, pubblicato il primo aprile 2025:

Il post genera disinformazione in merito al corso degli eventi.

Marine Le Pen venne eletta per la prima volta europarlamentare durante le elezioni del 2004, concludendo la sua esperienza europea nel giugno 2017, sostituita da Christelle Lechevalier, dopo la sua elezione all’Assemblea Nazionale francese.

L’OLAF ha svolto un’indagine amministrativa all’insaputa di Marine Le Pen fino al 2016, quando l’ufficio europeo antifrode pubblicò il proprio report. Pertanto, l’OLAF avviò formalmente le indagini nel 2015 per poi notificare il risultato un anno dopo. Non ci sono prove che Marine Le Pen fosse a conoscenza delle indagini prima del 2016. Se l’utente “Axe” è a conoscenza del contrario, potrebbe aprirsi un ulteriore caso giudiziario.

L’OLAF, per chiarezza, non aveva il potere di bloccare i fondi e le operazioni di Marine Le Pen durante le indagini. Concluse le indagini, il caso venne trasmesso dall’OLAF alla magistratura francese, la quale avviò un procedimento penale nel 2017. Di fatto, tra il 2018 e il 2020, Le Pen e altri esponenti del partito vennero di conseguenza indagati interrogati dalle autorità francesi.

Nel 2018, il Tribunale UE confermò le accuse relative all’uso illecito dei fondi pubblici, richiedendo alla leader del Front National di restituire 298.497,87 euro al Parlamento europeo.

Nel 2024, Marine Le Pen viene condannata in primo grado in Francia per i reati contestati e confermati già in passato dalle autorità europee. Di fatto, non ci sono voluti 10 anni per determinare un uso improprio del denaro pubblico.

La seconda parte del testo

La seconda parte è una ripresa di un post X pubblicato il 31 marzo 2025 dall’utente Bonifacio Castellane:

Il post nasconde le reali motivazioni della condanna di Marine Le Pen. Non si basa su una singola email, ma su quanto riscontrato negli anni dall’OLAF attraverso l’analisi della gestione dei fondi europei, documenti contabili, contratti e testimonianze.

Secondo quanto riportato da Le Monde, attraverso una diretta dal Tribunale francese, le persone ritenute colpevoli avevano firmato «contratti fittizi», riscontrando un sistema all’interno del partito.

Nella stessa diretta, Le Monde riporta il testo di una email inviata il 22 giugno 2014 dal neoeletto Jean-Luc Schaffhauser, evidentemente preoccupato per le richieste di Marine Le Pen: «Quello che Marine ci chiede equivale a firmare per lavori fittizi… ed è il parlamentare che è penalmente responsabile dei propri soldi, anche se il partito ne trae vantaggio… Capisco le ragioni di Marine, ma saremo licenziati, perché i nostri usi saranno sicuramente esaminati con un gruppo così numeroso». L’email venne inviata al tesoriere del partito, il quale risposte così: «Credo che Marine sappia tutto questo…».

Ulteriori informazioni sul caso

Marine Le Pen non è l’unica persona coinvolta nel processo, in quanto risultano condannati anche altri 8 eurodeputati e 12 assistenti parlamentari. Il Tribunale francese ha stimato un danno totale di 2,9 milioni di euro.

Tra i condannati troviamo anche Yann Le Pen, sorella di Marine, indagata per ingiusta retribuzione mentre risultava collaboratrice dell’ex numero due del partito ed europarlamentare Bruno Gollnisch. Quest’ultimo è stato condannato a 3 anni.

Quello di Marine Le Pen non è l’unico caso, basti pensare che anche l’UKIP di Farage venne coinvolto in indagini simili, nel febbraio 2017, per 8 dei suoi europarlamentari. Tra il 2019 e il 2022, ben 108 europarlamentari hanno dovuto restituire oltre 2 milioni di euro per l’uso improprio dei fondi europei destinati agli assistenti. Altri 31 non restituirono le somme.

Conclusioni

Entrambi i contenuti copiati e incollati da X riportano informazioni fuorvianti sulla vicenda di Marine Le Pen, omettendo i reali dettagli relativi alle tempistiche e ai fatti presi in considerazione dai giudici per la condanna in primo grado.

Il ritorno in Ucraina dei bimbi rapiti. Ma non sorridono più (avvenire.it)

di Nello Scavo

Reportage

Viaggio tra i piccoli sequestrati e trasferiti forzatamente in Russia. Molti oggi vengono rimpatriati anche grazie alla missione voluta dal Papa. Domani colloqui Usa-Mosca a Istanbul

Ivan aveva ha smesso di parlare. A 4 anni e con un fucile puntato sulla mamma, lo spavento lo ha reso muto. Figlio di un militare ucraino, stava per essere separato dalla madre. Come Andrii, 7 anni, e sua sorella Mia, 12: spediti in un orfanotrofio russo erano già destinati all’adozione. Da alcuni giorni sono liberi e con loro un numero insperato di altri: 1.269.

Solo due anni fa sembrava una missione impossibile. Ma dopo l’emissione del mandato di cattura della Corte penale internazionale per Vladimir Putin e la sua commissaria per l’Infanzia, Maria Lova Belova, alcune serrature sono state aperte. Nel 2024 nella sola regione di Kherson sono rientrati 449 minorenni.

E il 2025 è cominciato con una serie di altri salvataggi. I dati ufficiali arrivano dalle autorità ucraine che hanno beneficiato del lavoro silenzioso e ostinato di chi, incurante delle critiche, persegue un solo scopo: ritrovare i bambini e riportarli indietro. Proprio grazie alle missioni diplomatiche internazionali, a cominciare da quella voluta da papa Francesco, il monoblocco russo ha iniziato ad essere scalfito, fino ad aprire complessi canali negoziali.

Un lavoro cominciato, contro ogni speranza e tra molte critiche, dall’inviato del Papa, il cardinale Matteo Zuppi. Pressione e dialogo con la Russia che ha permesso di incrinare la rigidità delle autorità moscovite, più aperte ai richiami della “diplomazia umanitaria” su due temi chiave: lo scambio dei prigionieri e il ritorno dei bambini ucraini.

A febbraio la sola “Save Ukraine”, organizzazione guidata da Mykola Kuleba, già referente per i diritti dell’Infanzia del governo di Kiev, ha riportato indietro 41 bambini. Altri 70 da gennaio li ha recuperati “Bring kids back”, l’iniziativa promossa dalla presidenza ucraina.

Almeno un paio di volte alla settimana si svolgono missioni nelle zone occupate dai russi, dove i minori vengono presi in consegna dagli operatori delle organizzazioni umanitarie. «La Russia non solo sta privando i bambini ucraini della loro libertà, ma sta anche cercando di cancellare la loro identità, trasformandoli in ostaggio delle sue politiche», ripete Mykola Kuleba.

I rilasci dei minori confermano la sistematicità dei trasferimenti forzati. Secondo Kiev i minorenni trasferiti illegalmente sono 19.546, un numero che comprende anche casi da chiarire, come quei minori trasferiti insieme a qualche familiare in Russia ma dei quali non si sa quanto il trasferimento sia stato sotto costrizione e quanto volontario.

Di certo, grazie anche a una rete di informatori locali, le organizzazioni votate a queste missioni continuano a ricevere decine di segnalazioni. Il timore è che un crescente numero di minorenni possa essere trasferito nella Russia profonda, a migliaia di chilometri dall’Ucraina. A marzo il presidente americano Donald Trump ha tagliato i fondi per il dipartimento dell’Università di Yale che aveva permesso di ricostruire con precisione lo schema della deportazione, individuando centinaia di bambini e identificando diversi funzionari pubblici coinvolti nell’operazione illegale.

Gruppi di ragazzi sono stati segnalati in Cecenia, dove vengono “rieducati” dai corpi speciali del dittatore Kadyrov. Una fonte a conoscenza del programma di tracciamento dei bambini allontanati ha spiegato all’agenzia Reuters che «la cancellazione del contratto del Dipartimento di Stato con Yale ha portato alla cancellazione di 26 milioni di dollari di prove di crimini di guerra, il che aiuterebbe a proteggere Putin».

Nel corso delle missioni di recupero, gli operatori spesso si imbattono in storie difficili da gestire. Come quella di Angela Danilovych, madre di cinque figli. Era stata registrata come «migrante» nonostante fosse rimasta a casa sua, nell’Ucraina occupata.

A tre anni dall’occupazione si è rifiutata di prendere un passaporto russo. Gli ufficiali di Mosca l’hanno avvertita che se non avesse mandato i suoi tre figli più grandi alla scuola russa avrebbero preso misure contro di lei. Non avendo altra scelta, ha lasciato tutti i suoi averi per salvare i suoi figli dalla russificazione forzata. Insieme ai bambini è stata intercettata da “Save Ukraine” e portata nelle aree liberate.

Ci sono bambini che anche quando vengono finalmente rimpatriati non riescono a sorridere. Sasha nel 2022 aveva 8 anni. Ha visto i soldati russi uccidere la madre sotto i suoi occhi nei primi mesi di guerra. A quel punto stava per essere inviato in un orfanotrofio per prepararlo all’adozione, ma una parente è riuscita a mettersi in contatto con la rete umanitaria per l’infanzia.

Nel corso delle tappe di avvicinamento al territorio ucraino le autorità di occupazione hanno modificato più volte le regole per l’espatrio, facendo temere agli operatori umanitari di non riuscire a condurre il bambino fuori dai territori occupati. «Dopo un lungo e difficile viaggio, Sasha è finalmente al sicuro nel territorio controllato dall’Ucraina. Ora è alla ricerca di una famiglia amorevole che possa garantirgli cure e supporto adeguati», spiegano da “Bring Kids Back”.

Non tutte sono storie a lieto fine. Erik, 16 anni, e Alla, 10 anni, hanno raccontato come la loro sorella Kseniia sia stata rapita dalle forze armate russe mentre cercava di fuggire dalla città occupata in cui abitavano. È stata tenuta in uno scantinato per diversi giorni, mentre la madre veniva costretta a registrare un video in cui ringraziava la Russia per aver «salvato» sua figlia.

Ma di Kseniia si sono perse le tracce. Intanto, domani a Istanbul, si rivedranno (ospiti di Erdogan) le delegazioni russa e americana per tentare di uscire dal pantano in cui si trovano le trattative per la tregua.

Nel 2024 nella sola regione di Kherson 449 minori sono tornati in Ucraina (Nel 2024 nella sola regione di Kherson 449 minori sono tornati in Ucraina – Ansa)

Schlein ha lasciato a Conte il ponte di comando, e lei non sa in che direzione andare (linkiesta.it)

di

ReArm Giuseppi

La piazza contro la difesa europea ha sancito la subalternità della segretaria del Pd al populista dei Cinquestelle. Ormai è come se ci fosse un partito unico estraneo alla famiglia socialista internazionale, e l’unico leader è l’avvocato del popolo

E adesso povera Ellyhow does it feel, diceva Bob Dylan? Come si sente, questo Partito democratico che ha lavorato per il re di Prussia, alias Giuseppe Conte, a furia di lisciare l’antieuropeismo e la demagogia sociale?

Elly Schlein ha contribuito a forgiare e poi regalare al campione del trasformismo italiano (un amico di Vladimir Putin che si dice contro le armi) una massa radicale e estremista: quanti elettori democratici all’adunata travagliesca di sabato a Roma, che si sono sentiti coperti da Francesco Boccia, Sandro Ruotolo e gli altri giovanotti del Nazareno.

Sono accorsi tutti ai Fori Imperiali seguendo il richiamo pacifista degli anni di Berlinguer, rievocato da Andrea Orlando per stabilire una continuità, che poi è reale, tra i comunisti contro i missili anti-Breznev e Barbara Spinelli contro i missili anti-Putin. Solo che, quarant’anni dopo, il capo della sinistra del Partito democratico non dovrebbe fare fatica a criticare l’Orlando diciottenne che marciava contro quegli euromissili che servirono a garantire l’equilibrio mondiale.

Evidentemente il tempo è passato invano per i professionisti del pacifismo tipo Flavio Lotti e quelli di Arci-Acli-Anpi, il cui ardore antieuropeo che chiude gli occhi davanti agli orrori di Bucha è stato facilmente strumentalizzato da un ex premier che quando stava a palazzo Chigi aumentava le spese militari e faceva i salamelecchi al Trump Uno. Ma questo appartiene alla indubbia capacità trasformistica dell’avvocato, ed era nel conto.

Conte oggi torna a essere il leader di quel pezzo di elettorato di sinistra e del Partito democratico il cui gruppo dirigente, non a caso proveniente dalla vendoliana Sel, poi LeU, poi Articolo Uno, al massimo dalla corrente bersaniana e dalemiana, chiamato sul ponte di comando da una segretaria estranea alla cultura riformista del Pd e dei partiti che lo generarono.

Anche lei, Schlein, se non proprio trasformista, è una che si sta barcamenando molto: dice no al riarmo nazionale, e dunque europeo, ma sì alla difesa europea, si astiene, vota a favore, vota contro, si dissocia dal Partito socialista europeo, si accorda col Partito socialista europeo, va alla manifestazione di piazza del Popolo, manda i suoi a quella di Conte e aderisce a quella di Bologna di ieri.

Michele Serra il 15 marzo intelligentemente aveva apparecchiato una bella piattaforma per offrire al Pd una chiara via europea alla pace, solo che tre settimane dopo Schlein ha abbracciato Marco Travaglio, che con il suo giornale la percula tutti i giorni. Lo stesso Serra, parlando ieri a Bologna, ha ricordato che «da un lato c’è l’Ucraina, dall’altra Trump, e Gaza che ci vede totalmente assenti con zero diplomazia, zero presenza, ed è una cosa che succede a mille chilometri da noi».

Ecco, dov’era l’Ucraina nei discorsi di Conte? Ma dov’era anche Trump? Si può sostenere che, al di là delle cifre e delle presenze, politicamente la manifestazione del Movimento 5 stelle ha segnato un punto a favore di quella sinistra radicale, antieuropea che contiene frange espressamente filoputiniane: è un pezzo di Italia che esiste e che ha comprensibilmente paura delle armi e delle guerre, ma che andrebbe convinto che nell’attuale fase della storia il vecchio pacifismo è come quei begli oggetti inservibili che si trovano nei bauli della nonna.

Schlein invece è totalmente subalterna alla facile narrazione del no alle armi, malgrado un esperto come l’ambasciatore Piero Benassi al recente conclave dei deputati democratici abbia spiegato per filo e per segno come sia sbagliato dire no al piano militare europeo («Serve per rimpinguare le scorte nei magazzini che abbiamo svuotato per mandare le armi a Kyjiv, è una questione di sicurezza nazionale.

E poi il fondo europeo serve anche per l’intelligence e la cybersicurezza») e tanti nel partito osservino che non c’è contraddizione, ma semmai congruenza, tra la fase della spesa militare nazionale e l’obiettivo della difesa europea.

Ma Elly niente. Di fatto lei, Conte e Nicola Fratoianni sono ormai i capi di un partito unico, e se lo facessero per davvero sarebbe un contributo alla chiarezza. Un partito unico che vuole di fatto espungere le Picierno e i Gentiloni dalla vita di questo radicale campo non largo.

Nel quale prende slancio la figura di Giuseppe Conte, che adesso è nella posizione di rivendicare qualunque cosa, anche la leadership di questo virtuale partito unico. Perché a differenza di Schlein ha alle spalle un’esperienza di governo e può persino farsi accettare dall’uomo nero di Washington che lo chiamava “Giuseppi”, mentre Elly Schlein non sa nemmeno chi sia. Conte potrebbe anche vincere le primarie di coalizione contro la segretaria del Pd.

Il capolavoro del Partito democratico, fondato illo tempore per governare l’Italia, sarà stato dunque quello di regalare la competizione per il governo ai due grandi populisti della politica italiana, Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, cui il partito di Francesco Boccia e Sandro Ruotolo in cerca di ministeri e sottosegretariati reggerà la scala.

E questa probabilmente cascherà addosso a un’Elly sempre più with no direction home.

La spada nella doccia (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Mi ero ripromesso di non parlare per qualche giorno di Donald Trump, a meno che non avesse combinato qualcosa di ulteriormente eccentrico e folle: che so, firmare un’ordinanza esecutiva contro i rubinetti del suo bagno.

Ebbene, lo ha fatto. Ha firmato un’ordinanza esecutiva che vieta i soffioni delle docce a basso flusso, definiti «deboli e inutili», due aggettivi che detesta e che per lui sono sinonimi.

I vecchi soffioni ormai fuorilegge (presto potrebbero venire ammanettati ed esposti in qualche prigione sudamericana per servire da monito a sciacquoni e lavandini) obbediscono a ragioni di risparmio energetico, che però devono cedere il passo di fronte a un’emergenza ben più drammatica, di cui lo stesso Trump si è fatto portavoce: i suoi capelli.

Quelli col colore di un amplesso tra una zucca e un’albicocca. Il presidente ha esposto in pubblico il dilemma che lo arrovella: a che serve avere comprato lo shampoo più caro in commercio, se poi gli tocca restare mezz’ora sotto la doccia perché i democratici, con quelle giacche piene di forfora, gli hanno imposto dei rubinetti da cui esce una goccia alla volta?

«In che mani mi sono messo!» starà pensando il suo shampoo. Speriamo che prima o poi cominci a chiederselo anche l’americano medio che lo ha scelto (Trump, non lo shampoo). Per lo meno da questa lacrimosa vicenda abbiamo tratto un’informazione riservata: Mr. President trascorre mezz’ora al giorno in bagno sotto la doccia.

E nessuno che porti mai via la chiave.