di Massimo Gramellini
Con quanto smodato entusiasmo reagirebbe alla notizia della sua chiamata alle armi il figlio di un gerarca di Putin,
cioè di colui che ha appena indetto la mobilitazione contro il nemico alle porte? Non servivano grandi esercizi di fantasia per immaginarselo, ma lo scherzo telefonico organizzato da un canale russo di opposizione ha tolto ogni dubbio.
Sentendosi convocare in caserma per il giorno seguente, il giovane Nikolay Dmitrievic Peskov, figlio del portavoce del Capo, ha subito tenuto a precisare di essere «il signor Peskov», e che diamine, per poi aggiungere che non credeva proprio che la faccenda lo riguardasse, ma che in ogni caso l’avrebbe risolta «a un livello più alto», cioè con una telefonata a papi. Il tono di voce tradiva la sorpresa di chi non riesce a capacitarsi che il suo interlocutore possa anche solo aver pensato di trattare un potente come se fosse carne da cannone, anziché un legittimo imboscato da congedare con tante scuse e ossequi al genitore.
Funziona così dall’inizio dei tempi, sotto tutti i climi e i regimi: chi si riempie la bocca di Dio, Patria e Famiglia è quasi sempre interessato solo alla famiglia, la sua, e dietro ogni fiore di Peskov si mimetizza un marchese del Grillo sinceramente convinto della propria superiorità, che ormai non è più di sangue, ma di relazione.
«Lei non sa chi sono io», cioè chi conosco io, perché io sono in quanto conosco: non qualcosa, ma qualcuno.