di Daniele Mastrogiacomo
Si vota il 2 ottobre, il vantaggio su Bolsonaro nei sondaggi sfiora i 15 punti percentuali
Luiz Inácio Lula da Silva potrebbe essere eletto presidente del Brasile subito, sin dal primo turno in programma per il prossimo 2 ottobre. È una prospettiva che comincia a farsi largo tra analisti e osservatori. Sarebbe un colpo storico, un successo che solo poche settimane fa appariva remoto, sicuramente incerto.
Ma la crescita costante delle preferenze nei suoi confronti, almeno nelle intenzioni di voto, avvicina il fondatore del Pt (Partito dei lavoratori) al traguardo. Adesso ci crede anche lui. È cauto ma lo scetticismo delle prime ore si è ridotto anche questa settimana. L’ultimo sondaggio Datafolha, il più accreditato tra gli istituti di rilevazione, porta Lula al 47 per cento; l’attuale presidente Jair Bolsonaro, il suo più diretto avversario, resta ancorato al 33 come nelle precedenti rilevazioni.
Quattordici punti di distacco. Basta poco per raggiungere e superare la soglia del 50 per cento e il padre della sinistra latinoamericana si ritroverebbe presidente per la terza volta nella sua storia umana e politica.
Mancano nove giorni a domenica 2 ottobre e il nuovo dato preoccupa lo staff elettorale di Bolsonaro che spinge per alzare il tono degli attacchi per screditare il leader del Pt, infiammare quel 37 per cento comunque non disposto a votarlo ed evitare che scatti l’ovvia reazione del cosiddetto “voto inutile”.
Gli altri due candidati, Ciro Gomes del Partito Democratico Laburista (Pdt), socialdemocratico, e Simone Tebet, del Movimento Democratico Brasiliano (Mdb), centrista, oscillano tra l’8 e il 5 per cento. Percentuali che andrebbero perse nella contesa. Sono entrambi già fuori dalla partita. È quindi verosimile che entrambe potrebbero confluire in parte su Lula e assegnargli la vittoria nella prima giornata di voto.
Questo eviterebbe il ballottaggio previsto per il 30 ottobre, 28 giorni dopo il primo turno. Quattro settimane di fortissima tensione dove si annidano colpi di scena. Jair Bolsonaro ha avuto atteggiamenti ondivaghi rispetto al futuro risultato. Ha parlato di probabile frode in caso di sconfitta, poi ha dichiarato ufficialmente che accetterà il verdetto. Che “consegnerà la fascia da presidente” a chiunque vinca.
Quindi, è tornato a battere sul tasto a cui è più sensibile. Anche su questo emula Donald Trump. Non si fida del sistema elettorale che da 26 anni è elettronico e non cartaceo, ha voluto e ottenuto che le Forze Armate siano presenti allo spoglio e giudici della macchina che analizzerà le schede. Una scelta anche questa storica.
I militari non hanno mai partecipato al processo elettorale, hanno sempre conservato il ruolo di garanti del risultato ufficiale. Lo registrano e lo fanno rispettare. Si limitavano, in modo egregio, a portare schede e urne anche nei villaggi più remoti dell’Amazzonia. Ma il presidente e leader della destra estrema sa di poter contare sulla simpatia del mondo castrense.
È stato nell’esercito fino al grado di capitano, ha varato riforme fiscali e salariali che premiano soldati e ufficiali. Ha ventidue militari come ministri del suo governo. Li ha difesi quando si ricorda la dittatura che imposero per 21 anni, dal 1964 al 1985. “L’unico errore che hanno commesso”, ha più volte ripetuto, “è aver torturato molto e ucciso poco” … leggi tutto